Qualche tempo fa un professore di estetica mi aveva raccontato dell’esistenza di un libro in cui l’autore sostiene che questa disciplina può apprendere molto dai videogiochi. In sostanza, all’arte si può affiancare il medium videoludico perché secondo l’autore quest’ultimo permette di osservare meglio l’esperienza per risalire ai principi che la originano.
Purtroppo, non ricordo il titolo del libro, ma potete recuperare l’articolo “Estetica ed esperienza” per avere un inquadramento può chiaro dei pilastri di questo discorso.
Non avevo compreso a pieno il significato di quelle parole, non prima di un evento in particolare. Una notte stavo giocando a un videogioco (Dragon’s Dogma su PS4 per la precisione) e il mio personaggio si era ritrovato a dover attraversare dei cunicoli bui munito solo della flebile luce emanata dalla sua lanterna.
Lo spazio era confuso e ogni passo procedeva incerto verso l’ignoto. A un certo punto, ho scorso una luce spettrale e in quel momento la colonna sonora si era trasformata in un motivo agghiacciante e carico di angoscia. La luce era scomparsa, ma il motivo cresceva d'intensità. In quel momento si era materializzata davanti a me la figura della morte: un’entità sospesa a mezz’aria coperta da una coltre d’ombra che somigliava a un mantello nero. Portava con sé una falce e una lanterna.