Nel quindicesimo canto della
Divina Commedia siamo ancora nel girone dei
violenti contro Dio, la
natura e l’
arte. Abbiamo già visto i
bestemmiatori, nel
canto precedente, mentre oggi ci approcciamo ai
sodomiti; questi due canti, a loro dedicati, sono molto oscuri, tant’è che molti storici e commentatori non sono ancora in grado di capire il
perché ci siano certi nomi, né quale sia la pena effettiva inflitta.
Un po’ sorridiamo, perché a molte domande può rispondere la chiave di lettura
esoterica, e siamo proprio qui per questo.
Se rimaniamo nella sfera più superficiale, per “
sodomita” si intende chi ha intrapreso relazioni omosessuali, ma
Dante non condanna l’
omosessualità. Ricordiamoci che Dante è ogni personaggio che incontra, così come lo siamo noi che leggiamo. La filosofia di Dante era che ogni gesto, opera e parola avesse come scopo Dio. In questo caso la sodomia riguarda tutti quegli atti che noi pensiamo di fare in Suo nome ma che in realtà provengono dal nostro
Ego. Stiamo nel raccontarcela, insomma.
Certo, era pur sempre il 1300, l’omosessualità era severamente sanzionata, ma per Dante il senso è: anche se pensi di agire per
amore, se non hai come scopo Dio, allora è
peccato. (Ricordiamo il senso esoterico di peccato: mancare il bersaglio).
Nel 2022 certe idee sono più che superate, il sesso senza amore è accettato, quindi possiamo interpretare il senso del canto con maggiore profondità: qualsiasi gesto di carità non ha valore, se poi nel nostro intimo utilizziamo parole d’odio o giudizio nei confronti degli altri.
Scusateci la lunga introduzione, ma è necessaria per la descrizione di un canto non proprio semplice.