venerdì 11 giugno 2021

#DivinaCommedia: Canto II

Stiamo al nostro terzo appuntamento con la Divina Commedia, anche se in realtà è il secondo, visto che il primo articolo ha funto da introduzione. Nel primo canto Dante ha fiducia in Virgilio, non vede l’ora di affrontare il cammino, spinto in realtà più dalla sensazione di pace e armonia che avrà una volta finito, che da altro.


Ora, cerchiamo di immedesimarci nel Poeta: immaginiamo un momento della nostra vita in cui abbiamo finalmente ottenuto qualcosa che desideravamo da tempo. Può essere una relazione, un lavoro, un percorso di studi, un viaggio… non importa. Siamo emotivamente felici, appagati, ma più si avvicina l’ora dell’inizio, più si affacciano i primi dubbi: “Sarò all’altezza?”, “Mi basteranno le cose che ho portato con me?”, “E se fosse troppo difficile?”.

Vi abbiamo parlato più volte della non dualità, dell’unità del tutto, e ci fa sorridere pensare che la parola “dubbio” derivi dal sanscrito "dva" o "dvi": due. Il dubbio, quindi, sorge quando cominciamo a dubitare dell’Uno e si fa sempre più luminoso ogni volta che si presentano scenari diversi da quello che è il nostro obiettivo. Dante non sfugge da questo comportamento umano, ma fortunatamente ci incoraggia ad andare lo stesso avanti, ecco in che modo. 

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.

I ricordi scolastici riaffiorano prepotenti, urlando che qui Dante sta richiamando le muse (non noi) affinché gli ricordino tutto ciò che ha visto. E in effetti è vero. Ma se stiamo qui, ora,  è per cercare ciò che è occulto, e nascosto nel velame dei versi strani. “O mente che scrivesti ciò ch’io vidi”, i verbi sono al passato. Perché Dante parla di una mente che ha scritto al passato? Ha forse già scritto tutta l’opera prima del secondo canto?

Ovviamente no. Uno dei primi insegnamenti che apprendiamo quando iniziamo un cammino iniziatico, riguarda la nostra mente: è lì che viene scritta la nostra realtà. Per poterla cambiare bisogna prima cambiare il punto di vista. Dante, quindi, ci ha appena detto che il cammino per l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso l’ha affrontato dentro di sé. Tutto ciò che ha visto è frutto del suo interno, inconscio, in un linguaggio più moderno.

Ecco perché la Divina Commedia non è solo tutto quello che abbiamo studiato con passione, ma anche (e soprattutto) il cammino interiore che ognuno di noi dovrebbe intraprendere. Ed ecco perché il vero significato è stato svelato solo di recente, a cavallo tra Ottocento e Novecento: perché solo nel 1885 Freud cominciò a studiare l’inconscio.

Qui si parrà la tua nobilitate”, e qui il verbo è al futuro. Dante sa bene che dopo l’iniziazione la mente diventa uno strumento da utilizzare come e quando vogliamo noi. Non ha più il potere di decidere della nostra vita, Il comando lo abbiamo solo noi. È in questo momento, quindi, che si vedrà l’alta nobiltà che essa ha: sarà in grado di riportare alla memoria concetti, emozioni e insegnamenti che il Maestro ha appreso?

Seppure non ci sia una convinzione totale, Dante ancora non esprime i suoi dubbi, piuttosto si mette in gioco, si sfida. È un po’ come se ci dicesse: “Vediamo se ho appreso sul serio”.

Io cominciai: “Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.”
 
Avendo letto la Bhagavadgītā (che vi consigliamo assolutamente), ritroviamo le stesse insicurezze di Arjuna poco prima di un’importantissima battaglia. Lui si affida a Kṛṣṇa, proprio come Dante si affida a Virgilio. Entrambi (si) chiedono se possono essere davvero in grado di affrontare ciò che devono; (si) domandano se le virtù, le armi che hanno, siano capaci di vincere la “battaglia.”


Perché abbiamo messo i si tra parentesi? Perché vogliamo ricordare, passo dopo passo, che il tutto avviene internamente. Non c’è nessun due, nessuna dualità. Dante è anche Virgilio, così come Arjuna è anche Kṛṣṇa.

Ma io, perché venirvi? o chi ‘l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri l crede.

Oltre a elencare tutti i dubbi a Virgilio, Dante si paragona ai soli che hanno potuto attraversare l’altro mondo uscendone indenni: Enea e San Paolo. Il primo –proprio dalle parole di Virgilio- ha poi fondato Roma, il secondo ha rafforzato il cristianesimo (e quindi il potere di Roma).

Noi lettori del nuovo millennio sorridiamo davanti a questi dubbi, perché sappiamo bene che Dante ha dato vita alla lingua che ora parliamo, e siamo a conoscenza dei lunghi secoli di guerre e rivoluzioni che hanno portato poi Roma a essere la capitale d’Italia. Dante non si sente all’altezza di tutto ciò, ma ha unificato l’Italia ben quattro secoli prima della data riconosciuta storicamente.

Quante volte, di fronte a una nuova sfida della vita, ci sentiamo insicuri? Quante volte pensiamo di non essere all’altezza di qualcosa, e quante volte, dopo aver superato quel qualcosa, guardando indietro, sorridiamo pensando: “Beh, non era poi così difficile come credevo”.

“S’i’ ho ben la parola tua intesa”,
rispuose del magnanimo quell’ombra,
“l’anima tua è da viltade offesa;

la qual molte fiate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra.”

Non sappiamo per quale motivo questi versi vengano spesso ignorati, perché secondo noi sono di estrema importanza, proprio come tutti gli altri. Virgilio risponde a Dante che comprende ogni suo dubbio. L’incertezza che prova è sacrosanta, ma a chi appartiene?

L’anima tua è da viltade offesa”. Virgilio sta facendo notare a Dante (e a noi tutti: “la qual molte fiate l’omo ingombra”) che quando stiamo nella dualità (ricordiamoci la radice etimologica di dubbio), stiamo offendendo l’anima con la paura, la viltà.

Questo stato d’animo, di spavento, è molto simile a quando scambiamo un’ombra per un animale. Nell’Advaita Vedanta (dove Advaita vuol dire “non dualità”) troviamo un’espressione simile: “scambiare la corda per il serpente”.

Ogni qual volta siamo alle prese con i timori dei dubbi, dobbiamo ricordarci queste espressioni. Nessuna situazione, per quanto orribile, è mai contro di noi. Se viviamo nel timore, viviamo nell’irrealtà, nell’allucinazione. Nulla è davanti a noi per farci del male.

Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch’io venni e quel ch’io ‘ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:

“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ‘l mondo lontana,

l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura;

e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.


Virgilio, comprendendo i dubbi di Dante, sa anche come farli tacere e per questo non solo gli fa notare che vivendo nella dualità si confonde il reale con il non reale, ma gli dice anche chi l’ha spinto a ricercarlo: Beatrice.


Ora, noi tutti sappiamo che Beatrice è la massima musa ispiratrice di Dante, l’incarnazione dell’amor cortese, la donna irraggiungibile… tutte nozioni verissime, ma chi altro è Beatrice? Ce lo spiega sempre il Poeta:

“I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d’esto ‘ncendio non m’assale.”

Certo, sappiamo che Beatrice qui dice che essendo beata lei non teme nessun fuoco infernale, né alcuna miseria dei dannati. E allora perché non è scesa lei stessa all’Inferno? Una domanda che noi di 4Muses abbiamo sul serio posto alle nostre professoresse al tempo, ma che solo una di loro ha risposto in maniera esaustiva. Chissà che non ci stia leggendo ora…

Il cammino iniziatico ci esorta nel fare domande profonde, perché è l’unico modo per avere risposte profonde. Richiediamocelo: perché un’anima beata, creata e voluta da Dio, che non teme dolore né tristezza, non scende all’Inferno?

Vedete, forse questa spiegazione è più diretta nella Bhagavadgītā: la nostra anima ci parla, bussa e a volte urla con tutte le sue forze, ma finché non interrompiamo il processo dell’Ego, della mente pensante (tornate all’inizio della lettura), noi non potremmo mai ascoltarla.

Allora capiamo che se Beatrice non scende non è per paura, ma perché sa quanto sia inutile. Dante potrà incontrarla solo dopo aver superato l’Inferno e il Purgatorio, perché solo in quel momento potrà ascoltarla.

Riusciamo a farci guidare dalla nostra anima solo ed esclusivamente dopo aver superato tutti i vari gironi. Solo quando, ritrovandoci dinanzi al muro di fuoco, (che troveremo alla fine del Purgatorio) abbiamo il coraggio di oltrepassarlo.

“Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!

Tu m’hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto.

Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro”.
Così li dissi; e poi che mosso fue,
 
intrai per lo cammino alto e silvestro.

Ricordiamoci ancora una volta che Dante è sia Virgilio che Beatrice. L’iniziato sa che se si ritrova in procinto di un determinato percorso, è perché ha udito, seppur in maniera molto lontana, le parole della propria anima.

Non riuscendo a comprenderle subito, ha bisogno di una guida che lo accompagni lungo il cammino. Nella mitologia può essere un Dio (solitamente Odino), una figura realizzata, (Gesù, Buddha) un filosofo; nei giorni nostri possiamo trovare tra le guide un qualsiasi film della Disney, un testo di una canzone, la Divina Commedia stessa…

Non importa chi o cosa decidiamo ci faccia da guida, l’importante è mettersi in moto. Dante, quindi, trovando come guida Virgilio, con le sue parole, comincia il percorso che lo porterà verso la sua anima: Beatrice.

E attenzione: è lei che decide il tutto. Non è stato Dante che in vita ha deciso di perdersi in un bosco, né è stato Virgilio che ha deciso di aiutarlo. È stata Beatrice che, vedendo Dante in seria difficoltà, ha “bussato” al cuore di Virgilio.

È la nostra anima che decide quando e come iniziare il tutto, e noi non possiamo che accettare con umiltà il percorso da lei stabilito.

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