sabato 6 novembre 2021

#DivinaCommedia: Canto VI

Il nostro appuntamento mensile con la Divina Commedia continua, e oggi analizziamo il sesto canto, quello dedicato ai golosi. Vi ricordiamo che non stiamo qui per darvi nozioni storiche e/o letterali, sappiamo che ne avete avute abbastanza durante i vostri studi. Siamo qui per analizzarla dal punto di vista esoterico. Vogliamo togliere sempre più oscurità in un’opera che è stata privata a lungo della sua luce. 

Al tornar de lamente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d’i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,

novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch’io mi mova
e ch’io mi volga, e come che io guati.

Dante si è risvegliato dopo il suo svenimento, e vi abbiamo già detto come svenire e riprendersi indichino un ciclo di apprendimento della lezione. Ogni iniziato, nel momento in cui apprende una lezione dal passato, o nel presente, lascia morire una parte di sé per farne nascere una nuova. Più diamo spazio al nuovo, più ci avviciniamo a quell’illuminazione presente nel Paradiso.  

Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maledetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.

Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.

Avendo imparato la lezione sull’amore e sui legami, Dante, e anche noi, siamo pronti a impararne una nuova. Al girone precedente ricordiamo che l’elemento padrone è stato il vento, simbolo di passione. Ora ci ritroviamo con l’acqua e per di più fredda. L’acqua è un simbolo esoterico estremamente importante: è un elemento vitale, ricco di potere trasformativo e di purificazione. Nella sua pioggia fredda e grandine, è sicuramente una purificazione violenta, intesa quasi come una punizione. E non a caso ci ritroviamo all’Inferno. 

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.

E ‘l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.

Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ‘l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,

cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ‘ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.

Il Cerbero è il famosissimo cane a tre teste che ha il compito di sorvegliare l’Inferno affinché nessun’anima possa uscire di lì. È rabbioso, fa tanta paura, ma di certo non a Virgilio. Ricordiamo che Virgilio è la parte di noi che conosce bene il nostro Inferno personale. Sa tutte le sfumature più oscure della nostra anima e non le giudica. È la parte di noi che ci aiuta a comprenderle.

Il Cerbero ha il compito di non farci osservare nulla, anzi, ci spaventa. “Fatevi un esame di coscienza”, quante volte abbiamo sentito questa frase? E quante volte ce lo siamo fatti sul serio? Ecco, diamo retta al Cerbero ogni volta in cui non vogliamo prestare attenzione al nostro interno, spaventati da quello che potremmo trovare, e spaventati quindi dal fatto che potremmo uscirne.

Virgilio, guida di Dante, in questo momento di auto-osservazione non cede al volere del Cerbero, quindi prende un po’di terra dal suolo e gliela butta. Il cane demone se la divora, divenendo quieto.

Ovviamente non è un caso che Virgilio gli lanci proprio la terra, e non qualcosa di vero da mangiare. La terra è sia un simbolo sotterraneo (Inferno vuol dire proprio: “che si trova in basso”) che materiale. Ed è proprio questo che interessa al Cerbero: nutrirsi di materialità e di cose che non si vedono in superficie.

Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavan le piante
sovra lor vanità che par persona.

Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
ch’ella ci vide passarsi davante.

Tutte queste anime sono sdraiate al suolo, mentre la pioggia continua a scendere. Sappiamo bene che quando l’acqua incontra la terra, si crea il fango. Questo fango è un qualcosa che sporca e appesantisce, per questo nel significato esoterico è la consapevolezza di aver sbagliato in qualche momento della nostra vita, senza purtroppo avere il coraggio di uscirne o di toglierci il fardello. Stiamo nella fase: ho sbagliato, è giusto che io paghi le conseguenze. Il che può anche essere un pensiero nobile, se non continuiamo a punirci in eterno. Altrimenti siamo come vittime di noi stessi.

Se ci sporchiamo di terra asciutta, basta una scrollata per togliere il tutto. Ma quando abbiamo a che fare con il fango, più cerchiamo di toglierlo, più ci sporchiamo. Ecco perché le anime sono distese, senza fare nulla. Sono come arrese al proprio destino. Una sola si alzerà, Ciacco, per presentarsi a Dante, ma come vi abbiamo già detto, cercheremo di evitare le nozioni che già si conoscono.  

E ‘l duca disse a me: «Più non si desta
di qua dal suon de l’angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta:

ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch’in etterno rimbomba»

Nonostante Ciacco si sia alzato per parlare con loro, Virgilio spiega a Dante che da qui nessuno si alza più finché non verrà il Giudizio Universale e tutti riprenderanno il proprio corpo, in attesa del loro verdetto ultimo.

Ci fa sorridere come sono trattati i golosi: sono persone che cercano di purificarsi dal materiale rimanendo sotto la pioggia, ma che in realtà non fanno nulla per scrollarsi quel materiale di dosso.  

“Goloso: che prova una particolare predilezione per alcuni cibi o bevande o non si stanca mai di mangiarne o di berne.”

Quando mangiamo o beviamo esclusivamente per gola, stiamo proiettando un pensiero inconscio che è distruttivo: pensiamo che dopo non avremo la stessa possibilità di sostentarci. Stessa cosa può valere, ovviamente, per chi accumula beni materiali per tutta la vita, o per chi accumula rancori, risentimenti, rabbia, attaccamenti, ma questo lo vedremo poi.

Il nostro cammino sulla strada della vita è proprio come un cammino qualsiasi. Ogni volta che superiamo un ostacolo, possiamo decidere se portarlo con noi, oppure lasciarlo lì dov’è. Spesso decidiamo di prenderlo, credendo così che avendolo sempre con noi, non dimenticheremo la lezione. Ma così facendo stiamo appesantendo il nostro zaino e prima o poi non riusciremo ad andare avanti.

Rimarremo, appunto, fermi, seduti o sdraiati, sul fango della strada, impossibilitati ad andare oltre.

per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti
crescerann’ei dopo la gran sentenza,
fier minori, o sarn sì cocenti?».

Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza.

Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là più che di qua essere aspetta».

Sì, lo sappiamo che l’immagine che vi abbiamo offerto prima può farvi sentire in ansia o mandare nel panico, e lo sa anche Dante. Ecco perché chiede a Virgilio se al momento del Giudizio Universale, quando nessuno può più decidere se fare un cammino su di sé, ma ne è obbligato, queste loro pene aumenteranno o meno. 

Virgilio dà una risposta che viene compresa sul serio a chi è entrato nel pieno nel cammino iniziatico. Vedete, vi assicuriamo che all’inizio è tutto molto bello: le pene interne vengono affrontate con facilità. Poi arriva il momento in cui tutto crolla addosso e spesso non sappiamo come muoverci. È difficilissimo alzarsi dal letto, figuriamoci fare altro.

Ecco, Dante, con la semplicità unica di chi ha provato ed è uscito da tutto ciò, replica tramite le parole di Virgilio, e quasi citando la Fisica di Aristotele, che quanto più si vuole andare verso la perfezione (purificarsi dai propri errori, svuotare lo zaino) tanto più si avrà dolore. Non può esistere una guarigione senza una cura, e non possiamo capire cosa curare, se non proviamo l’estremo dolore di una ferita profonda e sanguinante.

I golosi però, sono tutte quelle persone che credono di arrivare alla guarigione senza fare nulla, semplicemente rimanendo sotto la pioggia battente, illudendosi che una purificazione esterna possa mandare via tutta la terra che hanno accumulato.  

Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch’i’ non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:

quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
 

Facciamo attenzione al fatto che Dante qui non sviene. Perché? Vedete, alcune lezioni non sono per niente facili, e spesso c’è bisogno di ripetere l’esperienza da vari punti di vista, prima che possiamo apprenderla sul serio. Nel canto successivo troviamo un altro punto di vista, che ha la stessa radice di questo. Avarizia e prodigalità sono ovviamente i due opposti, ma sono anche un’altra sfumatura della golosità.

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