lunedì 25 dicembre 2023

#Racconti: Pensieri di un personaggio

È un intramezzo tra un racconto e un pensieri, ma si sa, noi scrittori quando non vogliamo affrontare la realtà tendiamo sempre a farla fare ai nostri alter ego: personaggi che creiamo a nostra immagine e somiglianza per far ricadere su di loro traumi, colpe, vittorie e ricompense.

Un meccanismo sadico dove creiamo vite solo per comprendere noi stessi. Ironico, vero? Chissà se questi altri, una volta librati nel mondo della realtà e lasciati vagare per le menti degli esseri umani acquisiscano una loro coscienza che permetta di domandarsi: chi mi ha creato? E soprattutto: perché?
 
Nasce così la mia storia: sono uno scrittore creato da un altro scrittore, a sua volta creato da una scrittrice.
Nella mia storia vivo in maniera agiata, tra lussi e sfarzi fin dalla mia nascita. Sono il figlio ozioso e bislacco di un ricco produttore vinicolo e di una donna che amo alla follia e che ha pagato a caro prezzo il suo essere per un quarto aristocratica. Sì, perché più si è ricchi, meno si è liberi e lei ha avuto modo di arredare la sua prigione di quadri, romanzi, amanti e magiche pillole che le danno un’aria vispa durante il giorno e pianti incontrollati nelle ore notturne.


Io sono stato creato sulla base di questa vita, da uno dei tanti amanti della mia adorata e sempre premurosa madre che non ha mai mancato per me e le mie sorelle di baciarci e abbracciarci, nonostante questo nel giro d’amicizie fosse considerato al pari di un rapporto soffocante.

Avrete sicuramente capito che mia madre esiste, invece della mia vita fuori da carta e inchiostro, nessuno può sapere. Questo amante di mia madre sognava di avere una vita con lei, eppure dopo qualche ora passata insieme, si rivestiva veloce quanto il temporale estivo che li aveva uniti la prima volta al parco privato del maggior Kneyiserth, questo nome di fantasia che lo scrittore ha celato persino a noi personaggi.

Ah, mia madre. A volte penso se il mio amarla oltremisura sia per la meravigliosa infanzia che mi ha fatto vivere, o per la mano e l’anima di chi mi ha ideato. Lo ha fatto, dicevo, per dare vita alla sua fantasia che incauta lo catapultava in una vita al suo fianco con cinque figlie femmine e un unico maschio, io, che lo deludeva giorno dopo giorno.
Non so perché mi avesse voluto affibbiare il ruolo da figlio miserabile, probabilmente per sfogarsi di suo padre: avvocato di successo che sognava di poter destinare studio e clienti al primogenito poi divenuto il figlio defunto quando invece ha deciso di lambiccarsi tra libri polverosi e vorticose idee sconclusionate che svelavano il loro profondo senso solo quando venivano ordinatamente trascritte su fogli ingialliti da luce o tempo, non è dato sapere.

E a sua volta questo scrittore diseredato e difatti disperato, era nella mente di una ricca donna annoiata, trascurata dal marito al punto da non aver mai concepito alcun figlio. Ora, sarete d’accordo con me che se il suo grembo è rimasto inattivo per mancanza di virilità del consorte o per Grazia Divina non è elegante trascriverlo e farlo così sapere a chicchessia.

Come ho scoperto il passato del mio padre creatore? È semplice: quando scrive parla, piange, si dispera, cambia idea, accartoccia i fogli e li butta nel camino. Più volte ho dovuto saltargli vicino all’orecchio, sussurrargli di non uccidermi. Ho avuto sicuramente più forze di lui che ha lasciato che la sua madre creatrice lo lasciasse in preda alle ossessioni per mesi, annoiata, ancora una volta, dall’ennesimo hobby per non pensare al marito che preferisce la compagnia maschile alla sua.


Ecco, l’ho detto. Pazienza.

Il mio creatore mi ha dato un’infanzia meravigliosa, dicevamo, ma ora anch’io vivo nell’impetuosa e impietosa crisi di un ragazzo maturo che ama le donne quanto ha amato sua madre e odia gli uomini quanto odia suo padre. È evidente che io e il marito della signora abbiamo qualcosa in comune.

Le donne per me sono oasi dove andarmi a riparare quando tutto viene distrutto. Solo loro sanno ricucire, ricostruire, ridarmi alla vita.
Gli uomini, beh, gli uomini. La virilità mi dà quel senso di eccitazione e spavento che mi fa essere come l’ospite perfetto: arriva, trova la stanza sempre ordinata, un programma studiato ai minimi dettagli per essere intrattenuto, ma in tre giorni è fuori dalle vite dei padroni di casa.
Così mi ha creato: come un ospite che ama divertirsi, inconsapevole del distruggere matrimoni, anche se molti li ho aiutati a saldarsi, credetemi, e menefreghista nei confronti dell’orgoglio ferito di un padre che per me voleva solo... farmi divenire capo dell’azienda? Essere una pedina per poterla espandere? Non lo so io e non lo sa neanche lo scrittore, relegato in un silenzio che urla: “Non dimenticarti di me, non farmi morire. Dove sei? Perché non mi porti avanti?”

No, non è per vanagloria che vogliamo essere presi in considerazione, né per curiosità nei confronti di un finale che a volte è già stato scritto, altre viene totalmente deciso da noi.
È che noi siamo parte di loro, noi viviamo in loro. Qualcuno potrebbe dire che la signora è mia nonna, ma io dico che anch’essa è mia madre. Non ci ha abbandonati per noia, ma per paura.
Lei non vuole mettersi faccia a faccia col fatto che ha spinto la sua famiglia a farle sposare chi non avrebbe mai potuto amarla solo perché dal suo punto di vista amore ha sempre significato dolore. Lo ha visto nella madre, nelle sorelle, nelle zie, ancora prima nelle nonne.
Amare un uomo voleva dire temere per il proprio corpo, voleva dire vederlo martoriare in spinte che lo rendevano vuoto mentre si riempiva di vita nuova, speranza. No, meglio condividere i propri respiri con chi mai l’avrebbe toccata, neanche per un erede, in quanto da ereditare c’è davvero ben poco.
Però certi impulsi chiamano e quando la realtà non li asseconda, ci pensa la fantasia. E allora ecco che i racconti della sua migliore amica diventano il passatempo preferito, per non arrossirle davanti, la fantasia galoppa durante la notte in sogni, sensazioni, e quando il corpo ne vuole ancora ma è stanco di tremare godendo grazie a se stesso, ecco che ci pensa la penna.

Lei crea un uomo misterioso, oscuro, che desidera una donna in un modo totalmente carnale, quasi animale. Per quel lasso di tempo la protagonista non è la madre di bambini che ama, lei non è più sotto il volere di un uomo di cui conosce a memoria voglie e movimenti.

E ancora, l’uomo brutale deve anch’esso avere un’anima, non può essere solo selvaggio, o sarebbe un toro. Perché è ospite in quella casa? Perché conosce quelle persone? E cosa c’è di meglio di un’artista, un poeta, un pittore… uno scrittore: colui che coniuga il tutto.
Un personaggio solo non basta per portare in superficie tutto, ed eccomi, allora. A essere passato da avventuriero instancabile a manichino deperito rilegato nei più remoti sotterranei della mente di qualcuno.

Forse un giorno verrò scoperto, anche se la mia storia non ha conclusione, e forse chissà, nella mente del mio fortunato lettore avrò la fine che temo e bramo.

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