martedì 1 agosto 2023

#Libri: Flipper, 1973

Come accennato nell’articolo recensione su “Ascolta la canzone del vento”, Flipper, 1973 è il secondo romanzo breve di Haruki Murakami, e seguito del primo.     

È stato pubblicato nel 1980 ed è stata proprio questa pubblicazione a dare il via alla carriera dello scrittore giapponese, che mollerà la sua vita precedente per dedicarsi alla letteratura.

Il protagonista della storia continua a raccontare le vicende appartenute al suo passato, ambientate, questa volta, circa tre anni dopo le prime memorie. Non è più uno studente universitario, ha messo su un’attività di traduzioni assieme a un suo amico e con questo lavoro sembra vivere senza problemi. Ha un suo metodo che gli consente di rimanere tranquillo anche nei periodi più intensi, quando sono molti i faldoni da dover tradurre. 

Come sempre nei romanzi di Murakami, troviamo situazioni assurde che sembrano del tutto normali, come il fatto che improvvisamente lui si ritrovi a convivere con due gemelle assolutamente identiche apparse in casa sua senza un perché e di cui non sa neanche i nomi. Le due indossano sempre gli stessi vestiti che lavano a mano una volta a settimana, si occupano di sistemare la casa e cucinare e non avvertono nessun moto di gelosia nei confronti del ragazzo. Perché stiano lì non è dato sapere, è come se avessero preso l’appartamento come albergo che accetta i pagamenti in attività domestiche o di altro tipo fisico. Comunque a loro non pesa essere considerate quasi nulla e non fanno poi molto per dare l’impressione di avere una sorta di identità unica. 

“Ogni anno era la stessa cosa: per tutto l’autunno e tutto l’inverno, quel ragazzo fuoricorso di famiglia ricca e quel solitario barista cinese passavano la stagione fredda insieme, sostenendosi l’un l’altro, come una vecchia coppia.”

Il narratore-protagonista continua a farci sapere come stanno andando avanti le vite del Sorcio e di Jay ma quella che è davvero diventata un’ossessione per lui è la ricerca spasmodica di un tipo di flipper con cui giocava quando era un ragazzino. Forse perché si sta approcciando alla vita adulta e non ha voglia delle responsabilità, di accettare che oltre il lavoro deve esserci molto altro, e allora è meglio dedicarsi al tornare indietro nel tempo, quando giocare a flipper e cercare di battere il record precedente era davvero l’unico problema al mondo.

“Non ricordavo quanto tempo fosse trascorso dal giorno in cui erano venute a stare da me. L’unica cosa che sapevo era che, da quando vivevo con loro, il mio orologio interiore era palesemente in ritardo. Credo sia questo il modo in cui gli organismi che si moltiplicano per partenogenesi avvertono il passare del tempo.”

Se nella recensione passata abbiamo detto che il ragazzo sembrava vivere la vita tanto per, adesso troviamo in lui una sorta di maturazione che gli ha permesso di aprire la propria attività e di rincorrere con costanza qualcosa che sembra impossibile da trovare.     
Sappiamo che nel tempo  in cui scrive si è sposato ma il suo rapporto con la figura femminile, almeno nel 1973, non sembra poi diverso da quello che aveva nel 1970: le donne arrivano a lui senza un motivo, non succede praticamente niente – lui tenta di aprirsi, ma riceve solo muri – e come sono arrivate, vanno via. Nessuna spiegazione, forse non è colpa sua ma è anche vero che non ne cerca poi molte. Insomma: quanti di noi con due gemelle estranee in casa che neanche si presentano accettano di buon grado la cosa senza fare domande? 

Però, allo stesso tempo, notiamo la crescita interiore soprattutto perché descrive in maniera migliore Naoko: la sua ex fidanzata ormai morta. Se precedentemente sembrava quasi che non avessero un dialogo, ora possiamo percepire l’amore che li univa e possiamo sostenere che il protagonista stia cominciando così a processare il lutto dopo anni di totale indifferenza. 

“Ora che aveva parlato con Jay, provava un insopportabile senso di vuoto. Come se i diversi rivoli che tenevano a malapena insieme la sua coscienza avessero improvvisamente preso direzioni diverse. Quando si sarebbero riuniti per formare un’unica corrente? Il Sorcio non lo sapeva. Erano come canali scuri destinati a perdersi nel vasto mare. Forse non si sarebbero ricongiunti mai più. Venticinque anni vissuti per arrivare a quel risultato. E a quale scopo?, si chiese. Non ne aveva la più pallida idea. Era una buona domanda, ma la risposta lui non la conosceva. Le buone domande non hanno mai risposta.”

Forse è tutto qui il senso di questo secondo capitolo. Non sappiamo con esattezza quando abbandoniamo l’età della gioventù per entrare in quella adulta. Molti associano questo passaggio sul finire dell’adolescenza, altri a metà dei propri anni trenta, o altri ancora circa verso i venticinque-ventisette anni. Crediamo che non sia importante il quando, ma come arriviamo a una nuova consapevolezza di noi stessi.

Prima o poi le esperienze di vita che facciamo fanno crollare ogni nostra certezza, cambiano moto, ci danno nuove prospettive. Noi ci sentiamo impauriti, inermi, ci chiediamo quando torneremo a essere come prima. Ecco, forse molti dei frustrati in giro (sia per il mondo virtuale che per quello reale) non hanno ancora accettato l’idea che non si tornerà mai come prima e che ben vengano le tempeste interiori che distruggono tutto: ci danno modo di ricostruire al meglio una nuova versione di noi stessi.

Inseguiamo pure quel simbolo che è il flipper dei bei vecchi tempi andati, perché riaverlo davanti agli occhi può solo darci il motivo di cercare altro, qualcosa che ancora non abbiamo. Il passato rimane morto e sepolto dietro di noi, per procedere bisogna andare con fiducia verso lignoto.

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