mercoledì 30 agosto 2023

#Mitologia: In viaggio

Copia del Fitzwilliam Museum
Parlare del viaggio dell’eroe è estremamente facile, viverlo è tutto un altro conto. Se dovessimo seguire il nostro Ego che ci ripete costantemente di rimandare tutto quello che è difficile, rimarremmo fermi e inermi al punto di partenza. Certo, sarebbe bello essere serviti e riveriti, non cambiare mai i propri schemi mentali perché tanto ci appoggiamo sulle metamorfosi altrui, ma prima o poi la domanda “Che ci sto a fare su questo pianeta?” arriva per tutti, e con essa la strigliata che ci sveglia e stravolge la vita.

Quando nasciamo la nostra identità è plasmata prima di tutto dalle indicazioni di chi ci cresce (genitori e/o tutori), poi crescendo veniamo manipolati dalla società con le sue norme comportamentali ed etiche. Nella realtà dei fatti, però, noi non siamo né quello che desidera il nostro nucleo famigliare, né quello che pretende l’esterno. Noi siamo esseri unici, dotati di un proprio dovere nei confronti dell’umanità che va a scontrarsi con quanto ci viene insegnato. Certo, questo non vuol dire prendere la strada dell’illegalità, si presuppone che dovremmo essere sempre guidati dall’amore, dalla comprensione e dall’integrazione.

Per comprendere meglio tutto quanto, oggi vi parleremo della leggenda di Sigurd stando bene attenti a ricordare la simbologia delle storie: la strada rappresenta il nostro cammino, i cavalli le nostre emozioni, risorse potenzialità, le armi sono i nostri talenti, i cavalieri siamo noi stessi e la Guida è il nostro Sé superiore.
Nella storia di Cappuccetto Rosso, per esempio, la madre indica alla figlia la via più sicura, che la tiene lontana dal lupo. Ma il lupo è l’ombra stessa di Cappuccetto, è la sfida che deve affrontare per poter crescere e divenire la persona che è destinata a essere.

Soffrire fa paura ma questo non significa dover scappare per tutta la vita dall’incertezza. O meglio, potremmo farlo, ma di certo non diventeremmo le persone forti, coraggiose e positive che in realtà gia siamo, seppur nascoste dalla maschera che abbiamo costruito.

L’uomo e la sua via

Dipinto di Andrew Judd
Forse non c’è bisogno di specificarlo, ma di questi tempi non si sa mai. Quando scriviamo “uomo” intendiamo l’essere umano in totale, non è mai questione di genere sessuale. Così come quando parliamo di
maschile” e femminile ci riferiamo ai due tipi di energie.

Prima di procedere con il mito di oggi è doveroso approfondire il discorso accennato nell’introduzione. Crediamo che in una società come questa, dove tutto viene servito con la didascalia del “è facile”, “non ci vuole molto”, certi messaggi siano fuorvianti.

Come spiegato nell’articolo su Mila e Shiro, raggiungere i propri obiettivi, qualsiasi essi siano, è un accumulo di giorni, mesi e anni di sacrifici, notti insonne, fatica, cadute, pianti, dolore… non si arriva in cima perché ci si sveglia un giorno e lo si vuole fare.

Nel Canto di Ulisse abbiamo visto la netta differenza tra genio e follia, perché va bene superare certi limiti, ma bisogna ricordare che tutti noi siamo sempre vivi nella materia e non si può pretendere di andare oltre una certa soglia.

Ma pensiamo alla nostra Storia, ancora prima che si chiamasse così. Siamo quindi nella Preistoria, quanti uomini sono andati oltre quello che era conosciuto? Pensiamo alle continue migrazioni, al percorrere nuove strade, provare nuove cure, tutto ciò ha portato poi a straordinarie scoperte. Certo, in un clima dove dopo il film “Oppenheimer” c’è chi infierisce contro gli scienziati, addossando su di loro la responsabilità della bomba atomica, non ci sorprende che ci sarà sempre chi preferisce rimanere inerme perché questo porta a meno sofferenza. Ma è l’altra faccia della medaglia: fuggire allo sviluppo socio-economico e al sapere per paura che possa provocare danni. Ed ecco spiegato il perché degli americani che nascondono o rompono le statue di Cristoforo Colombo, a loro detta il capostipite di un pensiero schiavista e classista. Dall’Eroe dei due mondi a bersaglio inconsapevole – e insensato – della rabbia e frustrazione umana è un attimo, ma continueremo a perpetrare questi comportamenti nocivi finché non ci renderemo conto che sono tutti dovuti al terrore di scoprire il nuovo.

No, non si stava meglio quando si stava peggio (già spiegato abbondantemente nell’articolo “L’aria innocente dell’estate”) né ora abbiamo raggiunto il nostro massimo. Bisogna sempre migliorarsi, anche se questo vuol dire abbandonare ogni certezza.

Il viaggio di Sigurd

Questa storia, di tradizione germanica, ricorda molto quella di Re Artù e de La Bella Addormentata. Sono due le fonti letterarie da cui l’abbiamo appresa, la prima è dai poemi dell’Edda, la seconda dal poema “La Canzone dei Nibelunghi”. Il nome che useremo è Sigurd, ma in molti possono conoscerlo anche con quello più latino di Sigfrido.


Un giorno lontano, nel palazzo Volsung, nei pressi delle rive del Reno, si stava celebrando un matrimonio; tra gli invitati figuravano i più alti nobili e i più valorosi dei cavalieri. A un certo punto entrò un vecchio mendicante, dai vestiti logori e dal volto interamente coperto da un cappuccio. Questo brandì una spada che conficcò su un grosso ceppo di legno dicendo: «Chiunque saprà estrarla, possederà la spada più forte di tutto il regno!» dopodiché scomparve tra lo stupore degli invitati. Per quelle parole e per il modo di fare, fu chiaro ai presenti che si trattasse del dio Odino.
A uno a uno provarono tutti nell’intento, ma a nessuno riuscì di estrapolare la spada, fino all’arrivo di un giovanotto di nome Sigmund che con forse fin troppa facilità la liberò dal ceppo di legno. Guardando l’impugnatura si accorse che era incisa la parola “Gramr”, dal significato di “dolore”. Nonostante il monito, Sigmund non ne fu spaventato e nel corso del tempo, grazie al potere della spada, aumentò la sua maestria nei combattimenti, tanto da diviene vero e proprio nobile, quasi al pari di un re.

Passarono gli anni e Sigmund continuava a essere chiamato in causa contro ogni nemico. In una di queste battaglie il ragazzo ormai divenuto uomo, si trovò a combattere contro un re barbaro protetto da Odino stesso. Va da sé che la lotta era del tutto squilibrata, perché il re barbaro, nonostante fosse un mortale, combatteva come un dio.
Solo una delle figlie del dio, la valchiria Brunilde, ebbe compassione di Sigmund e lo aiutò nella battaglia, scatenando l’ira del padre che frantumò la spada. A questo punto il nemico ebbe facilmente la meglio, Sigmund morì e Brunilde venne severamente punita. Odino la portò sulla cima di una montagna, addormentandola con una spina fatata. Rea di aver avuto compassione per un mortale, la sua condanna fu quella di sposarne uno e vivere come tale. Ma, rimanendo pur sempre figlia di un dio, l’eroe in questione avrebbe dovuto affrontare l’incantesimo di fuoco che circondava l’armatura dove la dormiente Brunilde giaceva.


Fonte
In tutto ciò il morente Sigmund riuscì a parlare con la moglie Siglinda e le fece promettere di conservare i pezzi della spada per ricostruirla e darla un giorno al loro figlio appena nato, Sigurd. Siglinda, però, morì poco dopo per il dolore e il bambino venne affidato al nano Reginn, un abile fabbro che si prese carico della crescita del piccolo e promise di adempiere lui alla promessa del padre. Reginn, però, era in realtà interessato al tesoro che il piccolo aveva così ereditato e decise di nasconderlo, senza mai rivelare al figlioccio i suoi natali.


Il giovane Sigurd crebbe ignaro delle sue nobili origini e prese lavoro come stalliere. Detestava questa situazione perché dentro di sé sentiva che avrebbe dovuto possedere un cavallo, simbolo di racchezza e valore, invece di prendersi cura di quelli degli altri. Spinto da questo moto, un giorno si incamminò alla ricerca del cavallo perfetto e lungo il cammino incontrò un vecchio (sempre Odino) che lo avrebbe condotto verso il cavallo Grani, figli del magico cavallo a otto zampe Sleipnir. Se il ragazzo fosse riuscito a domarlo, allora sarebbe divenuto suo. Con molte difficoltà, Sigurd riuscì nell
’impresa e quando tornò verso casa chiese a Reginn di forgiare una spada che potesse essere forte quanto il suo nuovo cavallo.

Il primo tentativo andò a vuoto perché la lama si spezzò all
’istante quando raggiunse l’incudine; a questo seguirono diverse prove, fino a quando Sigurd, insospettivo dalle improvvise doti di fabbro andate perdute di Reginn, viene a scoprire dei pezzi di spada lasciati dal padre. Reginn è così costretto a sistemarla e questa volta è l’incudine a spezzarsi in due sotto il suo primo colpo. Gramr è di nuovo forgiata.

Con il cavallo e la spada, Sigurd apprese tutto sui suoi nobili natali, così decise di tornare in possesso dei tesori di famiglia, custoditi dal terribile drago Fafnir. Appresa la volontà del ragazzo, Odino continuò a consigliarlo sempre sotto le sembianze di un vecchio. Il piano fu interamente studiato dal dio: Sigurd avrebbe dovuto scavare una buca, nascondersi lì dentro e attendere l’arrivo del drago, per colpirlo poi alla pancia e ucciderlo. Sigurd, che aveva ascoltato attentamente i consigli del dio, lo eseguì alla lettera e riuscì a sconfiggere il terribile mostro che morendo gli sanguina addosso. È in questo modo che ottiene il dono dell’invulnerabilità.
Odino continuò nel suo ruolo di Guida, esortandolo ad arrostire e mangiare il cuore del drago. Da questo atto il ragazzo ricevette ben due doni: comprendere il linguaggio degli uccelli (quindi il linguaggio del non logico) e quello della profezia.

Il suo viaggio, però, non finì qui. Ucciso il drago, Sigurd era intenzionato a conoscere l’amore e i suoi segreti, per questo si mise in partenza per andare a risvegliare Brunilde. Passato l’incantesimo di fuoco, anche grazie a tutti i doni ricevuti, baciò la bella valchiria e per ricompensarlo dell’immenso coraggio, lei gli rivelò i segreti delle Rune.

Il viaggio dell’eroe

Dipinto di Ary Scheffer
In questa storia vediamo la nascita misteriosa di Sigurd che, rimasto orfano quando era ancora in fasce, viene cresciuto dal nano Reginn che lo tiene all
’oscuro dei suoi nobili natali. Nonostante sia totalmente ignaro delle sue radici, gli indizi vivono dentro di sé, come la voglia di possedere lui per primo un cavallo perché si sente destinato a grandi cose. Lo stesso lo rivediamo in Aurora: cresce lontano dai suoi genitori, Re e Regina di un Regno, accudita dalle tre fatine Flora, Fauna e Serenella che la costringono a rimanere per tutta la vita dentro casa. Lei, però, dentro di sé sente il bisogno di evadere per i boschi e sa che un giorno sposerà il principe dei suoi sogni: Filippo. Lo stesso ragazzo a cui era destinata per volere dei padri per unire così i loro due regni.

Le armi sono fondamentali per tutti gli eroi e rappresentano le virtù di verità, coraggio e giustizia. Esse vengono date nel momento in cui si riconosce il proprio passato e si accetta di prendere le redini del nostro il destino.     
È Odino, nel caso di Sigurd, a guidarlo. Così come è Mago Merlino a guidare Artù e le fatine a guidare Filippo verso il salvataggio di Aurora, con lo scudo di Virtù e la spada di Verità che insieme formano le armi della Giustizia contro il male.


Non c’è da prendersela con i personaggi femminili per i loro ruoli di belle addormentate, il tutto è stato già spiegato in “Misteri del femminile”. Se è l’uomo a dover sconfiggere il drago è solo perché la nostra anima è preda della ragione e dell’Ego i quali vanno domati con le loro stesse armi. L’energia maschile, basata su logica e razionalità è la sola che può intervenire (ancora, ricordiamo che non parliamo di genere, ma di energie che tutti noi abbiamo, indipendentemente dal sesso nel quale ci riconosciamo). Affrontare la propria zona ombra è terribile e far paura, ma poi ci vengono rivelate le ragioni dietro quei demoni (rappresentati dal drago) che ci portiamo sempre dietro.

È lì che diveniamo gli eroi della nostra storia, che liberiamo l’anima e cominciamo a procedere guidati da essa. È in quel momento che riscopriamo la vera ricchezza e la vera saggezza, apprendendo linguaggi fino ad allora sconosciuti. Il tutto è finalizzato per metterli a disposizione dell’umanità stessa.

Eroe e anti-eroe

Fonte Pinterest
Il cattivo non è mai cattivo in toto. Odino uccide il padre di Sigurd, eppure è lo stesso che lo indirizza verso i suoi obiettivi. Gli ostacoli servono sempre per forgiare il carattere che avremo quando raggiungeremo i nostri obiettivi. Ogni cattivo ha una sua utilità. Jafar è utile per Jasmine e Aladdin, così come Malefica lo è per Filippo e Aurora e Grimilde, Madame Tremaine, Anastasia e Genoveffa servono a Biancaneve e Cenerentola. I cattivi rappresentano sempre i nostri Ego, le principesse le anime da liberare e i principi il modo in cui farlo.


Ecco quindi che rivedere sotto questa chiave ogni classico Disney, ogni storia e mito è diverso e non ci dovrebbe far venire il pensiero moralista che “la principessa deve salvarsi da sola”, perché certo, la nostra anima saprebbe fare tutto da sé, essendo divina, ma che senso avrebbe la nostra incarnazione? Perché non continuare a fluttuare nel mondo del divino, allora? Persino in Soul le anime devono andare alla ricerca della scintilla, quel motivo che poi ci dà la vita.

Proviamo a riprendere la profondità del tutto e non vedere le storie solo nella loro superficie, perché sono sempre molto di più.

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