giovedì 11 aprile 2024

#Intervista: Giulia Piccionetti

Ecco un’altra intervista che sono molto orgogliosa di fare – sì, di nuovo la prima persona, quindi avrete capito che stiamo di nuovo parlando di una persona a me vicina – perché riguarda una mia amica da ormai… meglio non specificare quanti anni.


Ma si sa: essere artisti vuol dire avere amici nello stesso campo, soprattutto se si è scrittori. Ho già scritto di lei parlando del suo primo libro: “Centuries” e in questa occasione faremo qualche accenno al secondo, che pubblicherà in breve tempo del quale ancora non possiamo dire il titolo quindi verrà chiamato Progetto Nikita.

Prima delle domande, ovviamente, una breve biografia dell’autrice.  
 
Giulia Piccionetti, classe 1992. È nata e cresciuta a Roma, ma dopo il conseguimento della laurea in comunicazione decide di emigrare a Londra, dove ottiene un master in giornalismo. Negli anni successivi si trasferisce in varie città d’Europa, alla ricerca di un luogo da chiamare casa: Liverpool, Edimburgo, Parigi e Bruxelles. Al momento è ferma in Belgio, dove lavora per il Parlamento Europeo nel campo delle politiche estere.
Dopo una lunga gavetta sulle piattaforme di scrittura, nel 2020 autopubblica il suo primo romanzo storico, Centuries.


Hai pubblicato “Centuries” qualche anno fa, come ti è arrivata l’ispirazione per questa storia non propriamente comune?


Come per la maggior parte delle migliori idee per le mie storie, il cuore di “Centuries” è venuto a trovarmi di notte, in un sogno. Da quella scena con immagini ed emozioni nitidissime (che non rivelo per non fare spoiler del libro) ho iniziato a pormi tante, troppe domande alle quali ho cercato di rispondere nei successivi cinque anni di stesura.


Hai vissuto in Italia, ma anche nel Regno Unito, Belgio, possiamo dire Francia? Arriva quindi la mia domanda polemica: pensi che oltre le Alpi l’arte venga considerata in maniera differente rispetto al nostro paese? E se sì, in meglio o in peggio?


In linea generale, direi di no: purtroppo questo snobismo generalizzato verso chi decide di fare dell’arte la propria vita esiste un po’ ovunque io sia vissuta. Forse i Paesi oltremanica sono un po’ più aperti da questo punto di vista, spalleggiati dalla consapevolezza che il mercato angolofono è molto più ampio e può potenzialmente “dare da mangiare a tutti”. Penso che, più che una questione geografica, qui si ricada su una questione generazionale e sociale: con l’arte sei in grado di mantenere uno stile di vita adatto alle aspettative? Se sì, daje, buon per te. Se no, sei uno sfigato visionario destinato a vivere sotto ai ponti. E questa è una mentalità che funziona ovunque.

È una domanda che vale sia “Centuries” che per “Progetto Nikita”: in quanti (e quali) dei personaggi riesci a ritrovarti?


Vorrei tanto poterti rispondere che no, i miei personaggi non sono uno specchio di me, ma la realtà è che non sono mai stata in grado di scernere la mia vita dalla mia penna. Ognuno di loro, chi più chi meno, rappresenta un aspetto di me che generalmente tengo nascosto e che ho la possibilità di mostrare solo su carta (e qui immagino il mio terapista colto da déjà-vu perché questa è una faccenda che esce fin troppo spesso durante le nostre chiacchierate).
In “Centuries”, Rhiannon ha le mie stesse paure e determinazione, Lorrayne quel lato giocoso che riservo a pochissimi, Vincent la difficoltà nell’aprirsi al nuovo, Olivier la lealtà.
Per “Progetto Nikita”, invece, la faccenda si fa un po’ più complicata. Nel complesso, però, sicuramente ho lasciato che Nairne esprimesse ad alta voce i miei pensieri, e forse è anche per questo che la considero odiosa il più delle volte.

Visto che mi è impossibile parlare con te senza citare i Beatles, c’è una canzone, una frase, un momento, ispirato dai Fab 4 che ti ha aiutata nella scrittura?

Nel mio rituale pre-scrittura, quello che seguo maniacalmente ogni volta che mi devo preparare psicologicamente a una sessione di scrittura intensiva, c’è anche il punto “ascoltare Paperback Writer”. Non di certo una delle migliori canzoni dei Beatles, ma mi aiuta a vivere lo sprint con la giusta mentalità.
Tante volte, poi, mi ritrovo a pensare alle mie trame sotto al punto di vista “In the end the love you take is equal to the love you make”, un mantra a cui non credo affatto nella vita vera ma che mi piace applicare ai miei personaggi.

Avendo letto entrambi i libri, mi viene da chiederti: in quale epoca passata ti vedresti a vivere meglio in Francia?


Partendo dal presupposto che io non mi vedo affatto a vivere in Francia, né ora né mai, se dovessi scegliere un periodo storico sarebbe sicuramente quello a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, proprio come Nairne in “Progetto Nikita”.

Avendoti chiesto della nascita di “Centuries” non posso non chiederti anche come è stato concepito “Progetto Nikita”?

La nascita e lo sviluppo di “Progetto Nikita” è stato molto diverso da quello di “Centuries”, più complesso ma spalmato in molto meno tempo.
Era già da qualche anno, in seguito a una sessione di meditazione regressiva che mi aveva lasciato in testa tantissime domande, che avevo in mente l’idea di scrivere la storia di una ragazza che si aggira per le vie di Montmartre a fine Ottocento, includendo vibes alla Moulin Rouge.
La storia di Nairne, poi, ha iniziato a prendere forma nel 2021 quando, in un momento molto buio della mia vita, ho iniziato a (ri)cercare nella scrittura la valvola di sfogo e di catarsi di cui avevo bisogno.
Poi, però, l’idea iniziale è stata totalmente stravolta nell’arco del 2022, arrivando alla versione attuale della storia. Questo stravolgimento è menzionato anche nella dedica del romanzo (o meglio, nell’unica copia cartacea esistente al momento!).

Per me i libri sono un po’ come figli, cosa ti auguri per i primi due?


Se i libri sono come figli, allora io sono davvero una pessima madre!
Nonostante io abbia da poco pubblicato una nuova versione di “Centuries” (nuova copertina e alcune correzioni sul testo), ormai non posso non vederlo come un bellissimo capitolo della mia vita che però non mi appartiene più. Anche nel rileggerlo, non riconosco più la Giulia che lo ha scritto, pur senza dimenticare il lungo processo che l’ha portata a scriverlo. Perciò, più che augurargli qualcosa tutto ciò che posso fare è ringraziarlo di tutto cuore per avermi restituito la speranza e il desiderio di aprirmi al mondo.
Per “Progetto Nikita”, invece, la storia è diversa. Il mio più grande augurio per questa storia, per i suoi personaggi, è prima di tutto quella di essere capita, di essere accolta dalle persone giuste in grado di farla brillare nonostante sia ancora molto grezza. Le auguro di trovare una casa dove sentirsi parte integrante e non mero soprammobile. Le auguro di raggiungere lettori capaci di emozionarsi e che la amino tanto quanto la amo io. E, più di tutto, auguro a me di essere in grado di lasciarla andare presto con tanto orgoglio e poca sofferenza, proprio come farebbe un genitore con un figlio che se ne va dal nido.

Ringraziamo di vero cuore Giulia, augurandole non solo di diventare un’ottima madre per i prossimi duecento figli, ma anche di avere una lunga vita all’insegna della scrittura.

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