sabato 10 aprile 2021

#Arte: La grande onda di Kanagawa

Quando pensiamo all’arte asiatica, il primo pensiero va spesso a ripescare nei meandri della nostra memoria un’opera in particolare, ovvero “La grande onda di Kanagawa” (la traduzione letterale sarebbe "Una grande onda al largo di Kanagawa") del pittore giapponese 
Katsushika Hokusai. È la prima opera della serie intitolata “Trentasei vedute del monte Fuji” ed è stata pubblicata per la prima volta tra il 1830 e il 1831.

Questa xilografia di tipo ukiyo-e (una stampa fatta su carta e impressa con delle matrici di legno) rappresenta un’onda minacciosa in procinto di colpire tre imbarcazioni in una zona a largo della prefettura di Kanagawa. Il monte Fuji si staglia sul fondo, in un placido silenzio, come se osservasse la scena in assoluta tranquillità. In alto a sinistra compaiono due scritte: “Trentasei vedute del monte Fuji / al largo di Kanagawa / sotto un’onda” e “dal pennello di Hokusai, che cambiò il nome in Iitsu”. Nel corso delle trentasei opere, Hokusai cambiò firma ben quattro volte (Hokusai aratame Iitsu hitsu, Zen Hokusai Iitsu hitsu, Hokusai Iitsu hitsu e Zen saki no Hokusai Iitsu hitsu) e nel corso della sua carriera cambiò nome una trentina di volte – fatto non inusuale per gli artisti giapponesi, anche se mai in così enorme quantità.

L’opera si compone di tre elementi: l’onda anomala, il monte Fuji sullo sfondo e le barche con i pescatori. Come avevamo già detto nell’articolo di Koson Ohara, le opere giapponesi hanno una forte nota spirituale e “La Grande onda” di Hokusai non fa eccezione. Veicola, infatti un significato simbolico e spirituale: l’onda rappresenta la forza della natura contrapposta alla fragilità umana su cui incombe con fare minaccioso. La natura incombe e minaccia l’essere umano, mentre il Monte Fuji sul fondo richiama al divino che osserva indifferente il compimento del dramma. Vedendola da un’altra prospettiva, l’onda sembra una mano scheletrica pronta ad afferrare i pescatori, la morte in procinto di abbattersi sull’uomo che, contro di lei, non può fare nulla.

Il monte Fuji è per i giapponesi una sorta di divinità, ricorrente nelle opere del Giappone perché rappresenta la bellezza. I pendii del monte Fuji sono colmi di santuari buddisti, archi, torii e altri elementi della cultura giapponese. Anticamente, i samurai si allenavano ai piedi del monte per canalizzare la forza che la montagna sacra trasmetteva loro. Secondo una leggenda, una divinità chiamata “Miogi-no-Mikoto” chiese ospitalità al monte Fuji per la notte, che rifiutò. Costretto a cercare un’altra sistemazione, la divinità si vendicò, condannando il Fuji a essere sempre ricoperto di neve e a passare la sua esistenza in isolamento. Essendo, inoltre, un vulcano, fin dall’antichità suscitava sia timore che rispetto, al punto da essere considerato come una divinità, appunto. Monte e onda sono entrambe realizzate con i colori bianco e blu, legati simbolicamente al fuoco e all’acqua, rappresentando la forza del vulcano e le conseguenze di uno tsunami.


Le barche che compongono l’opera sono tre, con otto vogatori ciascuna e due passeggeri a prua. Stanno trasportando del pesce vivo e, dato che indossano una veste color indaco, questo dettaglio ci permette di inquadrare il periodo dell’anno in cui è ambientata l’opera, perché quei particolari abiti da lavoro venivano usati in primavera. Se vediamo l’opera leggendola “all’orientale” (un po’ come i manga che si leggono da destra verso sinistra), i pescatori stanno per tornare a casa, ma l’onda sbarra loro la strada e li travolge, mandandoli incontro al loro destino.


Nell’opera non mancano allusioni al buddhismo, a quanto le cose degli umani siano effimere di fronte alla natura, e allo shintoismo, con la natura onnipotente. Non manca il riferimento allo yin e allo yang, con l’onda violenta e l’apparente calma dei pescatori. Nell’opera ci sono due elementi che la contraddistinguono: il blu di Prussia e la prospettiva. In Giappone questo colore si diffuse a partire dal 1820, importato dai Paesi Bassi, ma la diffusione su larga scala si ebbe solo nove anni dopo. Per quanto riguarda la prospettiva, nella pittura tradizionale giapponese il suo concetto è diverso dal nostro: per noi più un oggetto è lontano, più esso viene rappresentato in scala. Per il mondo orientale, invece, le figure più grandi sono quelle che devono catturare l’occhio dello spettatore perché rappresentano quelle più importanti, i protagonisti in pratica. Hokusai combina lo stile occidentale con l’arte giapponese nella sua “grande onda”, perché malgrado il Monte Fuji sia il fulcro dell’opera, esso non appare gigante rispetto al resto.

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