mercoledì 27 ottobre 2021

#Halloween: Scream - La saga

Halloween porta con sé le sue storie e le sue mitologie, come poter dimenticare un capostipite dell’orrore come la saga di Scream? Ricordate il serial killer con la tunica nera, che inseguiva la bellona di turno con il suo pugnale affilato? Il suo volto coperto dalla maschera da fantasma, che tanto ricorda e richiama il quadro di Munch, che celava il vero messaggio del film “chi urla muore”; continua a tormentare la fantasia di tutti noi dal 1996. 
Siamo sicure la versione di Ghostface che Scarry Movie ha portato sul grande schermo negli anni 2000 sia servita solo a uno scopo; cioè a dar una voce, specialmente in italiano, al serial killer protagonista di questa parodia: quella di Pino Insegno che urla “Bella” al telefono. 
Ma non siamo qui per parlare di Scarry Movie, quanto più di ciò che il film rappresenta nell’immaginario collettivo. 
Siamo arrivati a contare ben cinque film per questa saga, la prossima pellicola è stata annunciata per gennaio 2022; quindi, in realtà, lontana da Halloween. Il trailer è già disponibile e pronto a qualsiasi tipo di commento, inutile dire che noi non possiamo far altro che sederci in trepidante attesa perchè -confessiamolo- gli slasher ci divertono parecchio. I primi quattro capitoli di questa pentalogia sono stati scritti e diretti da Wes Craven, regista che ci ha lasciati nel 2015 noto per aver creato anche l’immaginario di Nightmare. I fatti che hanno liberamente ispirato l’autore sono gli omicidi operarti da Danny Rolling nel 1990. 

Danny Rolling prese il nome di “Lo squartatore di Gainesville” e ha confessato la mutilazione di ben cinque studenti di una cittadina della California. La fedina penale dell’uomo, però, si contorna di episodi molto cruenti già risalenti a due anni prima della sua cattura. Ha commesso violenza sessuale su alcune delle sue vittime, un triplice omicidio a Shreveport nel 1989 e ha tentato di uccidere il padre nel 1990. Nonostante i pochi indizi e l’ancora incerto numero di vittime, nel 1991 venne accusato dal procuratore della Contea di Alachua, in seguito alla sua cattura venne condannato alla pena di morte per ciascun omicidio. 
Le uniche vittime di cui si è riuscito ad ottenere la reale connessione, tramite lettera, su quello di sua figlia Julie (24 anni), suo nipote Sean (8 anni). 

La trama principale, dunque, si muove sulle corde dell’omicidio e attraverso i primi tre film vengono rilevate alcune parti di una storia accaduta precedentemente ai fatti narrati nella serie. La maschera di Ghostface, nei suoi vari ritorni, ha assunto significati diversi tra di loro, il fil ruoge restava comunque la crudeltà tipica dello slasher e il sangue la fa da padrone. La maschera, così, ha nascosto quei traumi che negli anni ‘90 -specialmente- avevano origine sempre dall’abbandono familiare. Non è un caso, infatti, che il primo assassino nel 1996 è un figlio che è stato dato in adozione; un bambino non voluto e derivazione a sua volta di un trauma: quello dello stupro. Il male, quindi, nella saga di Scream si è sempre fatto più vicino, più insano e più insensato. Il cattivo perde il lume della ragione, una luce che forse non ha mai avuto proprio per le condizioni con cui è venuto al mondo. 

Wes Craven con il suo film ha cercato di raccontare il vuoto di una generazione, quella che negli anni ‘90 si stava avviando verso la fine della propria adolescenza. Una generazione che ha cercato di urlare il proprio malessere e che, forse, ancora oggi continua a fare. La narrazione, infatti, si apre con due suoni ben precisi: un urlo e lo squillo di un telefono. Due suoni che potrebbero sembrare contrastanti, ma che in realtà rappresentano bene quella generazione. Il telefono, infatti, rappresenta il nuovo modo di comunicare negli anni ‘90. Un modo di comunicare che si è riempito di parole, ma svuotato di significato. Così entra in gioco il grido, l’urlo, una necessità di colmare e modificare questo vuoto con qualcosa che faccia quasi da schiaffo. 
Non è un caso se la maschera che campeggia nelle locandine sia così simile all’urlo di Munch. Un quadro che simboleggia l’isolamento sociale, in un mondo sempre più veloce e già allora iperconnesso. Un universo nel quale lo sfondo confonde e l’individuo è sempre più solo e lontano da tutti gli altri. Socialmente isolato, nonostante l’esistenza del telefono; divertente come questo paragone possa essere più attuale adesso che mai. 

Craven costruisce anche la sua final-girl, colei che nella narrativa slasher è l’unica che può riuscire a battere il demone fatto uomo. Generalmente è colei che è innamorata di qualcuno che presto perderà, lo vedrà perire davanti ai propri occhi e banalmente -come spesso è stato anche parodizzato- ogni volta che il suo desiderio sessuale si accende ha la capacità di richiamare a sè il mostro. La final-girl, nell’orrore, è colei che è pura, vergine, intonsa, simbolo di quella libertà sessuale che è ancora celata al mondo femminile; perchè si sa, che la lussuria per una donna è peccato. 

Ancora una volta, dunque, parlare di questa saga vorrebbe dire addentrarci nel mondo della rappresentazione del femminile e del femminino, oggetto assai complicato da poter trattare in una recensione che cerca di invitarvi a sedervi sul divano la sera di Halloween per iniziare una maratona. Ma come avete potuto già leggere, il tutto è legato alla femminilità e alla maternità. I traumi degli uomini che indosseranno la maschera di Ghostface sono gli stessi che hanno sofferto per l’amore femminile, facendolo proprio cruccio. Un figlio abbandonato, una maternità non voluta, un amore rifiutato e un rapporto non consumato. Lussuria, sesso, stupro, volontà in un’epoca non molto dissimile a ciò che viviamo ancora oggi e che tratta queste tematiche come un tabù. 

Il male si incarna, si fa uomo, si fa mente e si fa dolore. Un trauma che accompagna le scoperte che film dopo film i protagonisti sono portati a fare. Un dolore che si cerca di condividere nella perdita cruenta di chi si è amato, perchè in fin dei conti il male cerca solo di fare un’unica cosa: sottrarti cosa ti è più caro perchè l’assassino a propria volta ne era stato privato.

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