mercoledì 24 gennaio 2024

#Teatro: Il grande abbandono


“Non piangerò, non urlerò, non chiederò aiuto. Non proverò schifo, non proverò orrore. Io mi sono abbandonata ed un altro pezzo dell’opera è compiuto.”

Domenica 14 Gennaio, Cappella Orsini ha ospitato il debutto dello spettacolo “Il grande abbandono”, tratto dal racconto inedito della prolifica drammaturga Enza Li Gioi e interpretato dall’intensa attrice Daniela Cavallini, con l’ausilio dei contributi musicali del Maestro Adriano Dragotta, che col suo violino ha accentuato i mutevoli umori e gli intricati tormenti della protagonista.
“Io abbandonerò me stessa e diventerò nello stesso tempo abbandonatrice e abbandonata.”

Una scenografia scarna ed essenziale, quasi inesistente, ci proietta all’interno di una casa in cui si consuma il dramma invisibile di una donna stanca: la noia ha preso il sopravvento uccidendo ogni entusiasmo e un’irresistibile voglia di abbandonarsi s’è insinuata in lei. Un’acuta forma di inquietudine cresce fino a sfociare in una depressa apatia: si siede e parte un flusso ininterrotto di pensieri, alcuni sussurrati, altri urlati, mentre gli abiti neri divengono quasi una prigione per colei che soffre.     
Il primo rifiuto parte nei confronti delle necessità fisiologiche: si distende a letto e decide di non mangiare e di non espletare i bisogni corporei, perché lei ha deciso irrevocabilmente di attuare l’abbandono perfetto. Dopo aver combattuto con il proprio istinto di sopravvivenza, con la fame e con la sete, lentamente perde le forze e la lucidità, lasciando che squarci onirici e traumi d’infanzia la visitino come fantasmi: ricorda il conflitto con la madre (ricorrente nei testi drammaturgici di Enza Li Gioi), che le ha fatto conoscere il distacco quando decise di non allattarla, ricorda gli individui che sono vigliaccamente fuggiti con le loro cose condannandola alla solitudine, ricorda un uomo con l’odore di sigaro toscano che s’abbandonava a coccole lascive in un clima d’assoluta indifferenza nei confronti di una bambina abbandonata da tutti, che è dovuta crescere e svezzare da sé. Più il tempo passa, più i ricordi si fanno tetri e crudi, mentre il suono di un violino echeggia con note dissonanti, paranoiche e drammatiche, accompagnando il declino della protagonista, intenzionata a lasciarsi morire, impresa per nulla facile come pensava.

“E’ più facile essere abbandonati che abbandonarsi.”

Si trasforma in un corpo pallido e immobile, ma l’anima ancora c’è, e si trova costretta ad assistere prima al furto dei suoi averi da parte di due malviventi e poi allo stupro di uno di essi che decide di approfittare delle sue membra inermi. Poco dopo si ritrova di nuovo sola tra le pareti vuote, ma un senso di sporco la turba, l’odore di muschio risveglia in lei una rabbia atavica, il crimine che ha subito reclama vendetta: così torna alla vita, faticosamente, dovendo imparare di nuovo a muoversi, a camminare, a bere … Deve riprendere le forze perché sa dove si è diretto il suo carnefice, quell’uomo che le ha impedito di abbandonarsi, che non ha rispettato il suo desiderio di dissolversi, che l’ha violata senza alcun diritto né pudore, facendola sentire di nuovo carne. Ora starà a lei decidere se lasciarlo impunito o abbatterlo, se tornare preda di violenze e abbandoni o se mutare in cacciatrice: qualunque sia la sua scelta, il pubblico sarà con lei.

Un’atmosfera dalle tinte soffuse e noir quella di questo spettacolo, dominata dal talento, dall’espressività vocale e dall’energia travolgente di Daniela Cavallini che, come una leonessa, ha sbranato i demoni di un testo impegnativo, rendendolo pulsante e vivo fino all’ultima battuta, raccontando egregiamente la storia di tante donne e della loro solitudine, sia nelle vesti di attrice che nelle vesti di regista. L’autrice Enza Li Gioi si è alla fine complimentata tra gli applausi calorosi rivolti alla bravura di Daniela Cavallini e del musicista Adriano Dragotta. Ci auguriamo di rivedere presto questi artisti a Cappella Orsini e in altri Teatri con un abbandono che “grande” è stato di sicuro.



1 commento:

  1. Quando chi scrive ha visto e vissuto lo spettacolo, riesce a comunicare emozione. Bravo Joyce!

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