mercoledì 10 gennaio 2024

#Cinema&SerieTV Recensione: Il ragazzo e l'airone - Testamento e eredità di un maestro

Dopo dieci anni dal suo ultimo lungometraggio come regista e sceneggiatore, torna in sala Hayao Miyazaki con “Il ragazzo e l’airone”.

L’opera è stata più volte annunciata come “film-testamento” che in un certo senso chiude la carriera tematico-artistica dell’autore come con un sigillo da consegnare ai posteri.
Incerto se sia l’ultimo film del regista giapponese, risulta chiaro come questa definizione sia quanto più azzeccata.
La pellicola trasuda Miyazaki nelle intenzioni e nei sentimenti. Sebbene non sia la prima volta che elementi autobiografici facciano capolino all’interno di un’opera del regista qui sono quasi complementari.
Mahito è un ragazzo che deve affrontare il dolore. Si allontana dalla gioia e dalla quotidianità per rinchiudersi negli incubi e nei ricordi, non accettando che la vita continua nel bene e nel male. Molti avranno affrontato la stessa situazione ma ognuno coglie sfumature d'azioni differente a quello che a un occhio esterno può sembrare il medesimo evento. Qui il reale e il fantasioso si concatenano in un viaggio interiore alla riscoperta del senso delle cose.     
Ci viene in aiuto ora il titolo originale del film, che ritorna all’interno dello stesso sotto forma di libro, “E voi come vivrete?”. La domanda è posta a Mahito, a noi, e forse allo stesso Miyazaki. Come decideremo di vivere? In che modo costruiremo il nostro mondo?


Se sul piano artistico il film risulta essere una conferma dello stile dell’autore: meraviglioso, colorato, mai banale, con continui rimandi all'epica occidentale e orientale, con scene che sanno stupire e commuovere, aiutato anche da un’ottima colonna sonora; forse è sul lato narrativo che riesce a dire qualcosa di più, o di meno, rispetto alle precedenti opere.     
Le sequenze che portano il protagonista a compiere una decisione sono accennate, mai dilungate o ripetute, dando un senso di estraniazione nei rapporti causa-effetto soprattutto nella seconda parte. Sebbene infatti la prima metà del film risulti essere abbastanza lineare e comprensibile, la successiva (il dantesco viaggio dell’eroe per intenderci) risulta quasi frammentaria e disomogenea. Non obbligatoriamente questa disomogeneità deve essere vista come un difetto, ma rende sicuramente il corso della narrazione più faticoso da seguire.

Ci sono due strade che ci siamo dati per spiegare questa differenza narrativa: una pratica e una poetica. La poetica è che il tutto risiede nel significato del viaggio e, alla fine dei conti, del film stesso: la ricerca di un nuovo approccio alla vita fatta di scelte e di compagni di percorso, 
che non sempre è lineare come una quest da GDR "vai dal punto A al punto B", ma a volte è fatta di bivi, inciampi e decisioni repentine. La pratica è che i rallentamenti di produzione relativi al COVID e alla chiusura e riapertura dello studio Ghibli con l’avvicendarsi di vari studi per completare il film, abbiano portato alla decisione di tagliare qualche sequenza collante.

Chiamateci stolti o romantici ma a noi piace pensare che sia la prima.

E voi come vivrete?

Nessun commento:

Posta un commento