venerdì 2 luglio 2021

#Arte: Amore e Psiche - tra mito e mente

Antonio Canova impiegò sei anni, dal 1787 al 1793, per realizzare una delle sue opere più conosciute al mondo, dal nome “Amore e Psiche”. L’ispirazione venne dalla favola di Apuleio ne “L’Asino D’oro” sull’amore travolgente tra il dio dell’amore e una umana bellissima, la sua curiosità e la sua disperata ricerca dell’amato.

La favola racconta di questa bellissima e triste fanciulla, Psiche, dalle fattezze così sopraffine da ricordare a tutti la dea Venere, ma triste. La divinità, indispettita dal paragone, mandò suo figlio Amore a colpirla con le sue frecce, così da farla innamorare dal più brutto degli uomini senza venire ricambiata. Sbagliando il tiro, Cupido colpì se stesso con la freccia, così si innamorò della giovane mortale. Con l’aiuto di Zefiro la condusse al suo palazzo, ma con la condizione che lei non dovesse mai vederlo in faccia e sempre al buio, così che Venere non si adirasse nello scoprirli. Per diverse notti il loro amore venne consumato, fino a che le sorelle di Psiche non la convinsero a scoprire l’identità del suo sposo. Quando si avvicinò al dio dormiente al suo fianco con una candela, della cera calda lo scottò e, sentendosi tradito, Amore se ne andò. Per lungo tempo Psiche cercò di rimediare e tentò più volte il suicidio, senza riuscirci. Venere, adirata, la mise alla prova in diversi modi, fiino a quando non la sfidò a scendere negli inferi da Persefone e prendere un po’ della sua bellezza. Psiche non si perse d’animo e Persefone le consegnò un’ampolla che, una volta aperta, la fece cadere in un sonno profondo. Amore, che l’aveva già perdonata e da tempo la seguiva, richiuse la boccetta e risvegliò l’amata con un bacio. Canova immortalò per sempre questa scena nel suo marmo. Amore implorò gli dei di farli sposare nuovamente, stavolta concedendo alla sua amata l’immortalità e Psiche divenne la dea protettrice delle fanciulle e dell’anima. 

In accordo con la cultura classica, Canova non raffigura i due amanti nel momento del bacio, ma l’attimo prima, reso intenso dagli sguardi che si incrociano di una dolcezza infinita e la morbidezza dei corpi, così leggeri da sembrare piume. Rappresentati come due ragazzi, le ali di Amore sono ancora spiegate, come se l’avesse appena salvata e il corpo di lei si sporge verso il dio, facendo intrecciare le proprie esili dita tra i capelli arruffati dell’amato. Il loro intrecciarsi ricorda una morbida “x”. Si tratta di un momento sensuale così intimo e potente, così delicato che viene quasi da distogliere lo sguardo, lasciando loro il momento eterno di amore. Anche se si preferisce guardare l’opera in maniera frontale, spostandosi sul lato posteriore è possibile vedere sia la faretra di Amore che l’ampolla di Proserpina, abbandonata alle loro spalle.

Dal buio della mente vediamo Psiche, che quasi “spenta” attende Zefiro per raggiungere lo sconosciuto consorte, sperimentare per la prima volta un amore nuovo, travolgente. Ne rimane quasi turbata, perché la mente non riesce a razionalizzare un amore così intenso da diventare estasi. Il raziocinio non riesce a comprendere la forza dell’esperienza di Psiche, perché ci sono forze che rimangono oscure all’intelletto e l’amore che, come una marea la inghiotte, è una di queste. La giovane matura nel suo percorso, scoprendo pian piano la sua anima. Mossa dalla curiosità, a indagare, si ritrova immersa nel buio più totale, su cui farà luce per mezzo di una lampada, la stessa con cui brucerà Amore. Come tutti noi, Psiche dubita, s’interroga e percorre una strada lastricata di prove apparentemente impossibili da superare alla ricerca quasi di se stessa. La crescita passerà inevitabilmente per la sofferenza, ma il traguardo, all’apparenza così lontano, si avvicina a lei, strappandona dalle grinfie del sonno per mezzo di un bacio. Per riavere il suo Amore, Psiche arriva a scavare nelle profondità di se stessa, talmente a fondo da scomodare perfino Proserpina. L’amore tra i due amanti si esprime solo quando, dopo un intenso viaggio profondo, si ritrova a essere un tutt’uno con il dio, nell’essenza più profonda. Nel momento di riconoscimento finale, infatti, i loro sguardi non fanno che far trasparire l’unità, la stessa che Canova scolpisce in maniera così delicata e sensibile, con due corpi nudi ma non erotici, che si avvinghiano e a coprirli non vi è che un drappo bianco.
Nella favola di Apuleio, il loro amore sarà eterno.

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