sabato 31 luglio 2021

#Arte: Artemisia Gentileschi

A. Gentileschi, "autoritratto come allegoria della pittura", 1638-1639.
Donne. Quanto se ne parla, di donne che hanno fatto la storia, nel mondo dell'arte? Purtroppo, poco o niente.
Se non prendiamo in considerazione Frida Kahlo, - che molti apprezzano semplicemente per pura moda e che ormai è diventata più un brand che altro -, di pittrici che hanno fatto la storia non se ne parla. Eppure hanno vissuto eccome.
Ormai più di un anno fa (quando 4Muses era ancora neonato) vi abbiamo fatto conoscere Berthe Morisot, mentre oggi abbiamo il piacere di presentarvi, finalmente, Artemisia Gentileschi.
"Mia illustre signoria, Le mostrerò cosa può fare una donna"

Nata l'8 Luglio 1593 dal già famoso Orazio Lomi Gentileschi (1563-1639) e da Prudenzia di Ottaviano Montone (1575-1605) nella Città Eterna (precisamente a Via Ripetta, nel Rione Campo Marzio), fu battezzata Nella Chiesa di San Lorenzo in Lucina.
Rimase orfana di madre nel 1605 a soli dodici anni, e proprio in questo periodo, rimasta sola con il padre pittore che la accolse sotto la sua ala protettiva e la rese sua allieva, si avvicinò al mondo della pittura e dell'arte in generale; solo successivamente (tra il 1908 e il 1909) il rapporto padre-figlia tra i due divenne una vera e propria collaborazione.
Inizialmente la Gentileschi si occupò unicamente di intervenire e mettere mano su alcune tele del padre, e questo le permise di assimilare perfettamente lo stile e la tecnica pittorica di lui tanto che, quando nel 1610 dipinse e presentò "Susanna e i vecchioni", il quadro che la introdusse ufficialmente nel mondo delle arti, si pensò fosse di suo padre.

"Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne."

È con questa dichiarazione della stessa Artemisia che introduciamo quella che sarà, nel 1611, la guida dell'ancora diciassettenne pittrice: Agostino Tassi (1580-1644).
Il padre della ragazza, che aveva stretto un'amicizia con Tassi, non si fece problemi a proporre a quest'ultimo se volesse iniziare sua figlia e farle muovere i primi veri passi in questo mondo dell'arte che all'epoca confinava le donne in un ruolo prettamente marginale. Non si fece problemi, nonostante fosse a conoscenza del caratteraccio iracondo e rabbioso del pittore e delle accuse di incesto e omicidio.
Tassi provò da subito a corteggiare la giovane pittrice, ma dopo numerosi tentativi di approccio - tutti andati in fumo -, perse la pazienza e il 6 Maggio 1611 la violentò nel suo appartamento in Via della Croce (che collega l'attuale Via del Corso a Piazza di Spagna).
La questione venne alla luce solo a fine Febbraio 1612, quando Orazio Gentileschi (che aveva subito saputo dell'accaduto) denunciò lo stupro della figlia; il processo ebbe inizio nel Marzo 1611 e si concluse nell'Ottobre dello stesso anno.
All'epoca in Italia era ancora in vigore il cosiddetto matrimonio riparatore e la Gentileschi, per ristabilire il suo onore, la sua dignità e il nome della sua famiglia, rimase in intimità con Tassi nella speranza di unirsi in matrimonio con lui, per poi scoprire che l'uomo (che si era sempre dichiarato celibe anche pubblicamente) aveva già preso la mano di un'altra donna.
La scoperta di questo fatto fece infuriare il padre di Artemisia, che rimasto in silenzio fino a quel momento perse la pazienza e denunciò finalmente Tassi per stupro.
Il processo si concluse il 27 Novembre 1612, ma per arrivare alla condanna del Tassi per "sverginamento" e all'esilio perpetuo dalla città di Roma, la famiglia Gentileschi dovette affrontare l'umiliazione di vedere il proprio nome infangato, mentre Artemisia fu forzata più e più volte a numerose visite ginecologiche e assistette a molteplici testimonianze di amici, conoscenti e sconosciuti contro di lei.
Comunque, nonostante vinse il processo (all'epoca era più unico che raro per una donna vincere un processo di questo tipo) a Roma circolò per anni la voce che Artemisia Gentileschi fosse "una puttana bugiarda che va a letto con tutti".

Il 29 novembre 1612, dopo soli due giorni dalla fine del processo, Artemisia Gentileschi convolò a nozze con Pierantonio Stiattesi nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia (ubicata nel Rione Borgo a due passi da Castel Sant’Angelo). Oppressa dal padre fin troppo presente e da una Capitale che la confinava nel ruolo della poco di buono, Artemisia e il marito si trasferirono praticamente subito in una Firenze che la accolse a braccia aperte e in cui ebbe finalmente il suo meritato successo.
Venne introdotta dallo zio paterno nella corte di Cosimo II de' Medici (1590-1621), e in questo periodo entrò in intimità con personalità come Galileo Galilei (1564-1642) e Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1646), nipote del famoso artista.
Quest'ultimo introdusse la ragazza nella sfera sociale e artistica della città, le commissionò numerose opere e le fece conoscere vari altri clienti; la loro amicizia con il tempo diventò così forte che Artemisia lo iniziò a chiamarlo "compare" e Buonarroti "figliola".
Dal 1616 al 1620 frequentò l'Accademia del Disegno di Firenze, diventando così la prima studentessa donna della prestigiosa Accademia; se però la sua carriera era decollata, anche grazie al forte rapporto stretto con Cosimo II de' Medici, del suo matrimonio non si può dire altrettanto. Stiattesi, infatti, completamente incapace nella gestione finanziaria, era solito sperperare e arrivò ad accumulare ingenti debiti tanto che la Gentileschi dovette chiedere un aiuto finanziario a Cosimo II per sanare alcuni di questi.

A causa del rapporto in deterioramento con il Granduca di Toscana, i debiti del marito, quattro gravidanze e una relazione intrattenuta con Francesco Maria Maringhi (ricco rampollo dell'aristocrazia fiorentina), Artemisia tornò a Roma, dove non era più considerata la "puttana bugiarda che va a letto con tutti", ma un'artista affermata e rispettabile.
In questi anni nella capitale frequentò l'élite artistica dell'epoca, e libera della presenza opprimente di suo padre, intrattenne numerose amicizie, come quelle con Simon Vouet (1590-1649), Massimiliano Stanzione (1585-1656) e José de Ribera (1591-1652).

Dopo Roma, si trasferì e visse a Napoli, dove ricevette importanti attestati, fu in buoni rapporti con il viceré Duca d'Alcalá e intrattenne importanti amicizie e dipinse varie opere, tra cui tre tele per la Cattedrale di Pozzuoli: "San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli", "Adorazione dei Magi" e "Santi Procolo e Nicea".
Dopo un breve periodo a Londra di cui si sa ben poco e dei suoi successivi spostamenti di cui si sa ancora di meno, la pittrice tornò finalmente nella sua amata Napoli che per lei era divenuta una seconda dimora e lì morì, circa il 1656, presumibilmente per colpa della peste che colpì la città borbonica proprio quell'anno.

Nessun commento:

Posta un commento