giovedì 15 luglio 2021

#Arte: La zattera della Medusa

Il compito dell’arte è quello di suscitare delle emozioni nell’occhio dello spettatore. Come abbiamo visto nei precedenti articoli, spesso le opere sono delle provocazioni fatte dall’autore stesso, il più delle volte per muovere delle critiche sociali. Oggi vogliamo parlarvi di un quadro che potrebbe benissimo essere stato dipinto negli ultimi anni, ovvero “La zattera della medusa” di Théodore Géricault. Dipinto tra il 1818 e il 1819, l’olio su tela dell’artista francese si rifà ad un accadimento storico che scandalizzò non poco la società dell’epoca.

È il 1816 e la fregata Medusa, la nave francese, è in viaggio per raggiungere il porto di Sant Louis, in Senegal. Lo scopo è quello di avere la sicurezza sulla nuova colonia della Francia, ceduta recentemente dall’Inghilterra. La Medusa è scortata da altre due navi, ma il capitano di fregata, troppo giovane ed inesperto, decide di accellerare l’andamento della missione. In cuor suo pensa che se arriva prima a destinazione, non dovrà razionare le scorte, e la gloria a lui riservata sarà enorme. Con uno scarto non da poco, l’imbarcazione stacca di molto le altre due. Andando a una velocità maggiore, però, i marinai faticano a evitare le insidie del mare, tanto che alla fine la Medusa s’incaglia in un banco di sabbia. Per giorni i marinai provano a liberarla, ma senza successo. Circa quattrocento uomini decidono quindi di lasciare la nave e attendere a riva il soccorso delle altre di scorta. Anche se alcuni decidono di rimanere a bordo, sei scialuppe non sono abbastanza per tutti, così si opta per una zattera. Per spostarla, la si lega alle scialuppe che con molti sforzi riescono a muoverla, se non fosse che ci sono troppi uomini a bordo e il peso eccedente fa spezzare le funi. Nella prima notte muoiono venti persone e nelle restanti due settimane -che precedono il salvataggio dei superstiti- ci sono omicidi, con tanto di atti di cannibalismo. Quando la nave recupera i superstiti, cinque di loro non superano la prima notte di salvezza. I giornali dell’epoca danno largo spazio alla notizia, testimoniata a due mesi di distanza da uno dei superstiti. Il popolo s’indigna per il mancato soccorso dei marinai, ma ancora di più perché il capitano viene condannato a soli due anni di carcere, quando la pena prevista sarebbe stata quella di morte.


La notizia sconvolse non poco Gericault, che s’ingegnò per preparare l’opera che lo avrebbe consegnato alla storia. Intervistò due sopravvissuti, studiò l’imbarcazione e tutto prima di realizzare la sua opera più famosa. Il momento rappresentato è quello finale, quando i naufraghi scorgono in lontananza l’imbarcazione che li porterà in salvo. I marinai sono stremati, a pezzi e accanto ci sono dei cadaveri in decomposizione. Un uomo anziano sembra vegliare sul corpo del figlio morto, assicurandosi che gli altri naufraghi non gli riservino la stessa sorte toccata agli altri. Accanto ai due, infatti, c’è solo il busto di un uomo, tutto ciò che ne rimane. Nell’ombra si vede uno dei marinai cedere a un attacco di panico, o all’essere a un passo dalla pazzia,  mentre gli altri, sebbene stanchi, si sbracciano perché la nave possa accorgersi di loro. Lo sguardo di tutto è segnato dal trauma che hanno vissuto e che, nonostante tutto, stanno ancora vivendo.

I colori scelti dall’autore sono cupi, come a sottolineare la desolazione e la privazione che questi marinai hanno subito in mare. Il colore dei corpi è livido, a indicare non solo il freddo e la morte, ma serve anche ad aggiungere drammaticità alla scena. L’imbarcazione di salvataggio è quasi un puntino sullo sfondo della tespesta che si sta abbattendo sui naufraghi, mentre un sole morente al tramonto sembra indicare la fine della loro disavventura, come indicato anche dal cielo sereno che fa da sfondo alla barca lontana. L’unico colore vivido è l’arancione, presente negli stracci delle vesti dei marinai, ma anche nella bandiera che, seppur ridotta a brandelli, non esitano a sventolare. Le dimensioni di alcuni superstiti sono troppo grandi, ma servono a rendere lo spettatore partecipe della tragedia. Per i cadaveri, almeno per una parte di quelli rappresentati, sembra che Gericault si servì di quelli presenti in obitorio. Sulla composizione possiamo vedere una serie di triangoli, uno che parte dal ragazzo morto e risale fino al marinaio con la bandiera in mano, un altro che ha come vertice l’albero con la vela e l’ultimo messo al contrario, facente capo al corpo in basso a destra il cui volto è coperto da un telo bianco.

Anche se il quadro è stato dipinto più di due secoli fa, non vi sembra estremamente attuale? Tralasciando cosa dovettero fare i sopravvissuti per tirare avanti due settimane senza i soccorsi, non è la stessa storia dei profughi che scappano dalla loro terra e si ritrovano in balia delle onde, nella speranza che una qualche imbarcazione possa notarli e salvarli? Le scene di suicidio o più in generale la morte in mare, è un elemento a cui troppe volte non diamo peso, perché nella nostra mente sono solo numeri esorbitanti e più sono grandi e più il risentimento verso una Europa che non aiuta è alto, ma rendiamoci conto che sono sempre esseri umani, non un numero per fare una stima, drammatica, a fine anno.

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