giovedì 26 agosto 2021

#StorieRomane: Ghetto ebraico di Roma

Il nostro viaggio per i quartieri romani continua spedito più che mai, e oggi vogliamo parlarvi del Ghetto ebraico di Roma. È un luogo a cui siamo particolarmente legate, sia per la storia che racchiude, sia per la presenza dei numerosi ristoranti con le specialità tipiche romane. Perché vi garantiamo che la vera cucina romana la trovate solo al Portico d’Ottavia.

Sorge nel rione Sant’Angelo, accanto al Teatro Marcello. È circoscritta da via Arenula, via dei Falegnami, via de’ Funari, via della Tribuna di Campitelli, via del Portico d’Ottavia e Lungotevere de’ Cenci.

Ovviamente, come suggerisce il nome stesso, l’origine non è per niente positiva. Il 12 luglio 1555 Papa Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, tolse tutti i diritti agli ebrei romani e impose il trasferimento degli stessi al quartiere loro dedicato. Come se non fosse già abbastanza la loro ghettizzazione, gli ebrei erano costretti, sempre secondo la bolla papale, a portare un distintivo per farsi riconoscere in caso di uscita dal ghetto. Non era un simbolo, bensì un colore: il glauco. Così uomini e donne ebrei dovevano indossare un berretto, una sciarpa o un qualcosa di quel colore. Inoltre non potevano lavorare nel mondo del commercio, se non come venditori di stracci o di vestiti usati. A loro era anche vietato possedere beni immobili.

In origine le porte per entrare al ghetto erano solo due, che venivano aperte all’alba e chiuse al tramonto. Con il passare degli anni e con l’incremento della popolazione, vennero aumentate, arrivando a otto. Le case erano per lo più degradate, e visto che alcune sorgevano anche a ridosso del Tevere, spesso erano rovinate a causa delle piene del fiume stesso. Gli abitanti non avevano vita facile, soprattutto durante il Carnevale romano, dove i cittadini erano soliti intrattenersi con il “gioco” della caccia agli ebrei.

Nel 1572 papa Gregorio XIII costrinse gli ebrei a seguire delle prediche per la conversione alla religione cattolica. I più si ribellavano mettendosi la cera nelle orecchie. Questa imposizione durò fino al 1848 quando venne abolita da Papa Pio IX.

Gli ebrei trovano la prima ventata di libertà solo nel 1798, quando i francesi entrano nella città di Roma. Il 15 febbraio di quello stesso anno venne annunciata la Prima Repubblica Romana, coronata dall’impianto di un albero della libertà -simbolo della Rivoluzione francese- a piazza delle Cinque Scole, due giorni dopo. Il 21 febbraio il comandante francese Bertheir proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza.

Questa libertà durò solo sedici anni. Nel 1814 tornò a Roma il pontefici Pio VII, che ricostrinse gli ebrei alla vita nel ghetto. Il 17 aprile 1848, papa Pio IX decise di abbattere i muri che lo circondavano. Gli bitanti tornarono così liberi, pur continuando a vivere in quei luoghi.

È l’inizio di una nuova era, che nel 1870, con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei divennero cittadini italiani a tutti gli effetti. Nel 1888, grazie al nuovo piano regolatore, molti edifici vennero demoliti, per fare spazio a nuove strade, tra cui via del Portico d’Ottavia, (vecchia via della Pescheria) via Catalana e via del Tempio.

Nel 1889 si aprì un concorso per la costruzione della Sinagoga, che trovò come vincitore il progetto dell’architetto Osvaldo Armanni e dell’ingegnere Vincenzo Costa, ispirato ai motivi assiro-babilonesi e all’Art-Nouveau. I lavori durarono dal 1901 al 1904. Nel seminterrato possiamo trovare il Museo ebraico.

"Settimio Calò uscì da questa casa dove abitava con la moglie Clelia Frascati e i nove figli. Quando vi tornò la trovò vuota per sempre. I suoi cari erano stati rastrellati il 16 ottobre 1943 e poi deportati ad Auschwitz insieme a oltre mille ebrei in nome della politica razzista del nazifascismo. Nessuno dei suoi familiari fece ritorno. Essi rappresentano tutte le famiglie distrutte dall'odio antisemita"

-Targa del 2010 

Il 16 ottobre 1943 i reparti delle SS sequestrarono più di mille persone, prese a forza dalle loro abitazioni e deportati. Prima vennero rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati, su via della Lungara. Poi sono stati trasferiti alla stazione Tiburtina, portati su di un convoglio che il 18 ottobre partì per Auschwitz, arrivando il 22 ottobre.

Partirono in 1023, tornarono solo in sedici. Nessun bambino.

Il 9 ottobre 1982 un commando di terroristi palestinesi sparò a raffica nei pressi della Sinagoga, proprio all’uscita dei fedeli. Causarono il ferimento di trentacinque persone e la morte di Stefano Taché, di due anni.

Oggi, comunque, il ghetto gode di una massima sicurezza e di un’atmosfera molto più tranquilla e riservata. Si respira la vera romanità, custodita da generazioni di persone che possono vantare di essere veri "romani de Roma". I ristoranti sono tantissimi, e vi garantiamo -avendoli provati tutti- che nessuno di loro delude le aspettative.

Sono situati vicini al vecchio mercato del pesce, che grazie alla vicinanza al fiume Tevere, e al porto fluviale di Ripa Grande, nel Medioevo ha dato via alla specialità del brodo di pesce, ancora molto amata oggi. Ma se avete la fortuna di poter mangiare lì, non negatevi il gustosissimo carciofo alla giudia, da mangiare rigorosamente con le mani.

Così come per gli altri quartieri di Roma, anche il ghetto è considerato un set a cielo aperto. Fa infatti da sfondo nel film “I tartassati” (1959) di Steno, “L’oro di Roma” (1961) di Carlo Lizzani, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) di Elio Petri e “La finestra di fronte” (2003) di Ferzan Özpetek

Per raggiungerlo potete scendere alla fermata della metro B Circo Massimo e proseguire con una camminata di nove minuti, o attendere gli autobus 23 o 280. Potete scendere anche alla fermata della metro B Piramide e attendere le linee autobus: 30, 715, 716, oltre alle già citate 280 e 23.

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