martedì 10 agosto 2021

#Arte: Gli omini di Keith Haring

Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare.

Con queste parole Keith Haring spiegò il suo concetto di arte, condivisibile, perché è anche giusto che tutti possano comprendere il significato di una data opera, anche senza dover per forza avere una laurea o aver studiato la storia dell’arte stessa. Considerato uno dei padri della Street Art, Haring nacque nel 1958 in Pennsylvania e sin da piccolo rimase affascinato dai lavori di Walt Disney, per lui fonte di ispirazione, anche se decisiva per la arte fu la produzione artistica di Andy Warhol e della sua pop art.

Gli omini di Haring sono famosi in tutto il mondo, linee spesse dai colori sgargianti con delle rappresentazioni che, nel suo essere semplici, nascondono spesso una denuncia sociale. Nelle sue opere troviamo i colori verde, giallo, rosso e blu, con delle linee di contorno sempre bianche o nere, ma non c’è mai alcun gioco di ombra e luci: sono i colori così come appaiono, senza prospettiva, tutto in “2D”. Malato di AIDS, denunciò il fatto che si tendesse a nascondere una malattia dilagante come quella, soprattutto nella comunità LGBQT, anche se per i vicoli della Grande Mela all’inizio degli anni '70 partì una sorta di “caccia all’untore”, quando dell’HIV si sapeva ancora pochissimo (Rebel with many Causes). L’America si faceva forza dell’idea, sbagliata, che “se non vedo, il problema non esiste” e Haring combattè le sue battaglie sia per far valere i diritti umani, sia perché venisse combattuto il silenzio e l’ignoranza verso l’AIDS. Non solo, il suo impegno sociale si vide anche nei rapporti con le droghe con un suo murales, “Crack is wack”, perché nella seconda metà degli anni ''80 stava girando per la città una droga a basso costo ma che mieteva davvero troppe vittime. Le linee sembrano far riferimento alla Guernica di Picasso.


Un’opera replicata tante volte e famosa in tutto il mondo, però, è il “Bambino Raggiante” (Radiant Child), in cui viene rappresentato un bambino nell’atto di gattonare. È impossibile non pensare immediatamente all’iconografia cristiana, con i raggi che partono appunto dal bambino e si irradiano verso l’esterno. Ogni raggio è un simbolo di grazia divina, elementi di amore puro, quindi nell’insieme è un’opera che porta con sé il processo della nascita e della crescita, una sorta di speranza per un futuro migliore. Si tratta di una figurina stilizzata che esprime tutta la sua vitalità ed energia, il suo muoversi per celebrare la vita. Un po’ come le rappresentazioni messicane della Madonna, con i raggi che brillano intorno a lei. Ma in un secondo momento, lo stesso bambino raggiante ebbe una connotazione diversa, quando lo stesso Haring inserì il suo capolavoro in contesti molto più oscuri, come in scene di guerra, violenza e addirittura dentro il fungo dell’esplosione della bomba atomica. Qui vi è una denuncia nei confronti dell’atomica, ma non è solo un simbolo di distruzione, quanto più di una apocalisse al suo atto finale. Non solo sembra rappresentare la fine dell’innocenza e della purezza, della speranza che vacilla, ma gli angeli intorno potrebbe alludere a una “discesa” del bambino raggiante, nell’atto di salvare l’umanità dal male, nel momento in cui si compie l’Armageddon e devono essere salvati i giusti. In un certo senso, l’artista sembra lasciare allo spettatore l’interpretazione dell’opera, così che da solo possa vederci distruzione o salvezza.

Le opere di Haring sono sparse in tutto il mondo e una la possiamo trovare anche nella nostra bellissima penisola, a Pisa, dipinta sul muro esterno della Chiesa di Sant’Antonio, dal titolo “Tuttomondo”. Si tratta di un intrigo di corpi che si fondono tra loro, che si sdoppiano, in un messaggio di pace e felicità universale, senza ostacoli. Al centro e in alto dell’opera ci sono quattro omini legati insieme, in un chiaro richiamo al simbolo di Pisa. Si tratta del suo inno alla vita e riuscì a terminare l’opera poco prima della sua morte, avvenuta prematuramente nel 1990, a soli trentuno anni, perché da tempo malato di Aids.

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