venerdì 3 settembre 2021

#Arte: Gli Amanti

Dopo avervi parlato di due opere famose di René Magritte, “Questa non è una pipa” e “Il figlio dell’uomo”, oggi introduciamo quella che è forse la più iconica delle sue produzioni: “Gli amanti”. Si tratta di un olio su tela realizzato dall’autore nel 1928, di cui ne esistono due versioni: una è conservata alla National Gallery of Australia e una al MoMA di New York. Quello più conosciuto al mondo è conservato nella Grande Mela.

Come suggerisce il titolo, l’opera vede raffigurati un uomo e una donna, lui in completo scuro e lei in un brillante vestito rosso, che si baciano su uno sfondo statico, ma i loro volti sono completamente coperti da un candido lenzuolo bianco che impedisce l’atto pratico del bacio stesso. Allo spettatore viene rimandato un senso di impotenza e angoscia, perché vi è un conflitto interiore: da una parte c’è il desiderio profondo del bacio, del toccarsi, ma dall’altra parte sappiamo che non può accadere.

Il lenzuolo che copre il volto dei due innamorati sembra essere una ferita che Magritte non è mai stato in grado di guarire: quando aveva solo dodici anni, sua madre si suicidò buttandosi nel Sambre e quando venne ripescata, la camicia da notte le era salita fino a coprirle il volto.

Il senso di impossibilità pervade il dipinto, perché c’è il desiderio di unirsi e il fatto che sia tutto irrealizzabile, un bacio che non troverà mai un lieto fine. D’altro canto, però, Magritte sembra voler lanciare un messaggio di incomunicabilità: quello che cela i loro volti può passare come un sudario, quindi essere un rimando alla morte. Privati del tatto, del contatto, i due sembrano impossibilitati anche a conoscersi o a riconoscere chi sia l’altro.
Può quindi trattarsi di un amore troncato di netto dalla morte? Possibile. Le letture delle opere di Magritte, ma più in generale del Surrealismo, sono molteplici e tutte egualmente valide. I due amanti possono essere chiunque, senza che il loro riconoscimento sia in qualche modo rilevante.

Riprendendo il concetto di sogno, in cui non sempre riusciamo a definire i volti ma solo i concetti, Magritte sposta il messaggio su un piano più alto, su una riflessione tra ciò che è reale e ciò che non lo è, bloccando lo spettatore in un limbo tra ciò che è visibile e ciò che è celato. Dopotutto l’artista asseriva: “C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.

Di quest’opera è certo il riferimento a una di De Chirico, da sempre di grande ispirazione per Magritte: “Ettore e Andromaca”. Nel quadro vengono rappresentati sempre due amanti, sotto forma di manichino, ma che si limitano a guardarsi, dove due triangolini, che dovrebbero rappresentare lo sguardo di Ettore, lasciano presagire il tragico epilogo del duello che l’eroe avrà contro Achille. La differenza sta nel fatto che De Chirico spersonalizza l'essere umano, rendendolo un oggetto inanimato fatto solo di forme geometriche, svuotato di tutto, ma in cui è possibile comprendere l'amore che lega i due personaggi nell'epica greca. Possiamo fare lo stesso con "Gli amanti", in cui però l'umanità rimane, ma anche ciò che li separa; che sia momentaneo come un sogno o eterno come la morte, questo rimane un compito decisionale dello spettatore.

 

 

 

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