martedì 14 settembre 2021

#MustToWatch: The Mauritanian

Di errori giudiziari ne sentiamo parlare spesso nei telegiornali, si riempiono pagine e pagine di giornali, in cui, dopo aver accusato un uomo di un qualsiasi reato, dopo anni di carcere questo viene prosciolto da ogni accusa. Ecco che il prigioniero torna libero, riassapora una vita che sembrava non appartenergli più. Ma gli anni passati in carcere chi glieli ridarà? Semplice, nessuno.

Su Prime Video è presente un film uscito quest’anno su questa tematica, dal nome “The Mauritanian” con un cast fatto di stelle come Jodie Foster e Benedict Cumberbatch. La pellicola riprende il reale caso giudiziario del “Mauritano”, Mohamedou Ould Slahi, che a due mesi di distanza dall’attentato dell’11 settembre 2001 viene considerato legato ad Al Qaida, incarcerato prima in Jordania, poi in Afghanistan e dopo due anni recluso a Guantanamo, nel tristemente noto carcere cubano per la bellezza di dodici anni. Nessuna accusa a suo carico, nessuna prova del suo legame con il terrorismo. Un totale di quasi quindici anni in cui è stato considerato il reclutatore dei terroristi delle Torri Gemelle. Quattordici anni e dodici mesi di torture, sevizie, abusi psicologici e fisici verso un uomo innocente.

Un avvocato, Nancy Hollander, si interessa al suo caso e agisce “pro bono” (gratuitamente) perché quest’essere umano, privo di accuse, possa avere un reale processo tramite la formula habeas corpus. Si batte per i diritti di Slahi e nel 2005 riesce a fargli vincere la causa.
L’amministrazione Obama fa ricorso e il Mauritano rimane in carcere per altri sette anni. Solo nel 2016 ottiene finalmente la libertà. Gli abusi subiti, la violenza inaudita verso un uomo musulmano, senza la presenza di accuse, vengono raccolti poi in un libro scritto dallo stesso Slahi per volere del suo avvocato.

Il film è agghiacciante e la recitazione impeccabile. Jodi Foster interpreta l’avvocato Nancy Hollander, che si interessa al caso di Mohamedou, di cui Tahar Rahim ne veste i panni. Le percosse, la privazione del sonno, gli abusi sessuali, le torture, il sadismo dei carcerieri lascia intuire bene sul lato umano cosa il mauritano subì quando venne arrestato per i suoi presunti legami con Al Qaida. Pochi giorni fa è stato il ventesimo anniversario di una strage delle Torri Gemelle di cui ancora oggi molti documenti sono segreti. Slahi per quattordici anni è stato considerato colpevole, chiunque intorno a lui gli urlava di confessare, ricevendo dopo indicibili sevizie un’ammissione di colpa falsa, motivata solo per la fine delle violenze. Allucinazioni, minacce verso i suo famigliari erano solo la punta dell’iceberg.

La storia di Slahi è la storia di tanti uomini ancora oggi prigionieri di Guantanamo. La sua è una storia di razzismo, di violenza, della ricerca di un capro espiatorio. Serviva un uomo che impersonasse il nemico, che fosse la prova di un’azione governativa con lo scopo di dare un volto e un nome a una strage che ha cambiato per sempre la storia dell’Occidente. Slahi era solo un uomo, le prove a suo carico? Non avevano nulla contro di lui, eppure era la persona che serviva perché l’America avesse un colpevole, perché i famigliari delle vittime delle Torri Gemelle avessero un nemico, qualcuno contro cui rivoltare il proprio astio, il proprio dolore. Serviva qualcuno, uno qualsiasi, e avevano scelto Slahi perché pochi anni prima del 2001 era stato accusato – e prosciolto – per un altro attentato terroristico.

Privato del nome, numerato, spogliato di tutti i propri averi, della propria identità e anche della propria fede, “The Mauritanian” è la storia di un caso giudiziario in cui l’America non ha mai chiesto il perdono, in cui un uomo è stato distrutto, piegato, spezzato perché si trovasse un colpevole, un legame con Bin Laden e il suo mondo; perché tutti sapessero che il governo degli Stati Uniti stava facendo qualcosa.

Benedict Cumberbatch, conosciuto per il suo ruolo di Dr. Strange nei film della Marvel, interpreta Stuart Couch, il tenente colonnello a cui fu commissionato di perseguire Slahi, dato che era da poco entrato a far parte dell’Ufficio delle commissioni militari. Si recò personalmente a Guantanamo, vide il modo in cui i detenuti venivano torturati. Lesse le registrazioni degli abusi subiti da Slahi e si rifiutò nel 2003 di agire perché la confessione ottenuta dall’uomo tramite tortura era inammissibile dal punto di vista Costituzionale.  

Una frase agghiacciante del film ci è rimasta impressa, una frase pronunciata dall’avvocato che lottò per Slahi: “Avevamo torto. Non cercavano di tenere i detenuti fuori dai tribunali, ma i carcerieri. Il mio cliente non è un sospettato, è un testimone.

Le carceri sono un posto dove il detenuto viene allontanato dalla comunità, recluso perché sconti la pena del suo reato, ma è davvero giusto utilizzare la tortura? È davvero un sistema funzionale? Per anni si è taciuto su quello che succedeva nei luoghi detentivi, ma pensate semplicemente, senza dover volare a Cuba, a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e delle percosse fatte ai detenuti nell’aprile del 2020.

“The Mauritanian” è un film lungo, dura più di due ore, ma scorre velocemente, sotto lo sguardo shockato dello spettatore che quasi stenta a credere che un uomo possa aver subito tanto… se non fosse per la scritta a inizio del film: “Questa è una storia vera.

Nessun commento:

Posta un commento