venerdì 14 luglio 2023

#Mitologia: Istinti primordiali

Come abbiamo spiegato nell’articolo “Nuova Era”, il tempo in cui gli umani erano un tutt’uno con gli dèi è un chiaro riferimento al momento in cui stavamo dentro al grembo materno.


Arriva per tutti il giorno in cui si nasce e da due corpi collegati tra loro, si diventa due distinte entità, anche se il bambino ha comunque bisogno di un genitore – o almeno tutore legale – per poter sopravvivere.
Ed è proprio l’istinto di sopravvivenza uno dei primi sensi che si affina: il bambino piange quando ha fame, sonno, bisogno di attenzioni e più il suo pianto viene ignorato, più diviene disperato, scuotendo tutto il corpo.

Sappiamo che è proprio in questi primi mesi che si definisce il rapporto con la madre, di conseguenza con quella che sarà la fiducia dell’adulto nei confronti del mondo circostante, e di se stesso.
Sappiamo anche che in questo periodo tutto va nel luogo più istintivo e incontrollabile, quello in cui risiede la nostra ombra, cioè nell’inconscio, il grande controllore della nostra vita.

Per le popolazioni più antiche era davvero dura riuscire a spiegarsi il perché di certi riflessi rabbiosi, della furia che ci accompagna anche in età adulta, ma soprattutto perché prendiamo decisioni sciocche senza porci le giuste domande.

Secoli e secoli fa, tutto ciò si associava alla figura dell’animale stoico ma mai addomesticabile come il toro. Da qui nascono i miti del Minotauro e di Grendel e Beowulf, di cui parleremo oggi.
Sarà interessante vedere come le due culture, la prima classica, la seconda norrena, diano diverse risposte alla domanda: può l’uomo controllare i suoi istinti primordiali?

Minosse e il Minotauro

Minosse era il re di Creta e aveva tutto ciò che si poteva desiderare ai tempi: regnava su di un’isola ricca e prospera, aveva una moglie bellissima di nome Pasifae e una figlia intelligente di nome Arianna.

Come spesso accade agli uomini, Minosse peccava di superbia, ed era solito compiacersi, dentro e fuori da palazzo, per tutto quello che aveva.
Tale comportamento attirò l’attenzione del dio del mare Poseidone che, per metterlo alla prova, decise di regalargli il toro più bello mai visto fino in quel momento, dal manto completamente bianco, solo per sacrificarlo il suo onore. Minosse, però, rimase davvero colpito dall’animale da non avere il coraggio di ucciderlo, così decise di ingannare il dio immolando sull’altare un altro esemplare.
Poseidone, accortosi del tremendo raggiro, decise – ovviamente – di vendicarsi: fece in modo che Pasifae provasse un vero e proprio impulso sessuale nei confronti dell’animale.
Pasifae e il toro si accoppiavano grazie alla costruzione di una vacca di legno nella quale la regina entrava e il toro faceva il resto. Dopo molteplici unioni, la moglie di Minosse rimase incinta, dando alla luce una creatura orripilante, dal corpo d’uomo e la testa di toro: il Minotauro.

Il re, vergognandosi di tale sfregio – e forse, forse sentendosi anche in colpa – fece costruire la dimora perfetta per la bestia immonda: un enorme palazzo senza finestre, totalmente buio con numerose stanze e altrettanti corridoi, tanto da farlo divenire un vero e proprio labirinto, dove nessuno, senza una guida, sarebbe potuto uscire.
Il Minotauro era al centro di questo Labirinto e veniva nutrito una volta all’anno, quando Creta sacrificava per lui sette uomini e sette donne presi da Atene, città che Minosse aveva da poco sconfitto.
Al terzo anno, però, Teseo (un giovane forte e coraggioso, figlio del re Egeo ed Etra) decise che era arrivato il momento di dire basta a quella strage insensata, soprattutto per gli ateniesi. Si offrì volontario per uccidere il mostro, ma appena messo piede a Creta e conosciuta Arianna, se ne innamorò perdutamente. Contrariamente a quanto si possa pensare, la ragazza fu ben felice di aiutarlo e utilizzò tutta la sua intelligenza nel trovare il modo: gli consegnò una matassa di filo da srotolare passo dopo passo, in modo tale da avere assicurata la via d’uscita. Assieme a ciò gli diede anche una spada avvelenata, con la quale uccise senza problemi il Minotauro.

Tornato alla luce e liberati i quattordici ateniesi, Teseo fu pronto per tornare verso Atene e portò con sé anche Arianna, salvo poi abbandonarla sull’isola di Nasso (da qui il detto “piantare in asso”, che in origine era proprio “piantare a Nasso”).
Prima della partenza Teseo aveva detto al padre che se avesse visto la sua nave con le vele bianche voleva dire che la sua missione avrebbe avuto successo, ma sia lui che l’equipaggio si dimenticarono di tutto ciò e quando Egeo vide le vele nere, pensò che il figlio fosse morto, così si tolse la vita lanciandosi dal promontorio di Capo Sunio verso il mare Egeo, appunto.
Ed è così che Teseo divenne il decimo re di Atene.

Se vediamo il mito del Minotauro con gli occhi di adesso, ci accorgiamo che altro non è che la spiegazione dei nostri più bassi istinti rilegati al nostro interno. Il labirinto, infatti, ricorda la struttura del cervello, che senza i cinque sensi in effetti sarebbe proprio sprovvisto di porte e finestre.
Il Minotauro rappresenta l
’ombra che tentiamo di nascondere, ignorare,  con le sue energie quali: superbia, orgoglio (di Minosse), lussuria (di Parsifae) e vendetta (di Poseidone).
Teseo è il punto di rottura, il coraggio necessario che ci porta ad affrontare il viaggio dentro di noi e incontrare la bestia, salvo poi comprendere che non è così difficile domarla del tutto. Certo viene aiutata dall’energia femminile (Arianna) che altro non è che la ragione, l’anima che sa esattamente che strumenti abbiamo a disposizione per trascendere il nostro Ego e ce li mostra nel momento più opportuno.

Grendel contro Beowulf

Anche nella mitologia nordica vediamo un mito simile.


Hrothgar era un re danese ricco, e vincitore di mille imprese. Anche se appartenevano tutte al suo glorioso passato, lui non riusciva a smettere di festeggiarle, organizzando ogni sera feste e banchetti.
Tutto ciò attirò l’attenzione – e l’invidia – del gigante Grendel che improvvisamente, in una di quelle serate, entrò a palazzo devastandolo e uccidendo chiunque incontrasse. Fortunatamente era presente anche Beowulf: un ragazzo famoso per riuscire a sconfiggere qualsiasi tipo di mostro; anche questa volta, solo con l’aiuto delle sue mani, dopo un sanguinolento combattimento, l’eroe riuscì a uccidere il mostro.

Tutto bene quel che finisce bene, e invece no.

La sera dopo, infatti, mentre l’attenzione è sui festeggiamenti per Beowulf, arrivò un altro mostro gigantesco metà drago e metà sirena che si scoprì essere la madre del gigante Gredel ed era ovviamente in cerca di vendetta per la morte del figlio.
Beowulf non si tirò indietro e, scendendo addirittura verso gli Inferi, uccise anche questo essere spregevole.
Ma, grande ma, allo stesso tempo il nostro eroe scoprì una verità impressionante su se stesso: era in realtà il figlio del re Hrothgar e della stessa mostra. Ai tempi del loro incontro, infatti, il re aveva acconsentito all’amplesso in cambio della corona e quindi del potere.

Non ebbe comunque tempo per prendersela col padre, perché come nel detto “tale padre, tale figlio”, anche lui cedette alle lusinghe della madre stessa, ottenendo quello che prima era di Hrothgar.

Dopo anni di pacifico regno e durante la vecchiaia di Grendel, il tutto venne messo in pericolo dall’ennesimo mostro, questa volta un drago, ma questa volta con la sconfitta dell’eroe.

Se per la cultura classica la ragione può vincere sull’impulso, è chiaro che i nordici non sono dello stesso avviso, forse perché più cruenti. Per loro, insomma, le nostre forze più brutali, prima o poi, avranno la meglio.


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