venerdì 14 agosto 2020

#Libri: Chiamerò la polizia

 Felix Nussbaum, Uomo con foglia appassita, 1941
Presso Yad Vashem Art Museum, Jerusalem
Corre l'anno 2020. È appena iniziato quando il Coronavirus impazza. Tutti dentro: Lockdown
Arriva Aprile (se non sbaglio), qualcosa riapre, spifferi per far circolare aria e ossigeno. Ed ecco alcune timide librerie aprire le serrande. 
Appena possibile mi reco in via Pavia, a Roma, nella mia libreria di fiducia, indipendente, luogo di incontri belli, porto, faro e scrigno. 

Libri, libri, libri. Ho una lista breve, ma varia che spazia dall'arte alla fisica teorica. 
Ed ecco che l'occhio cade su questo libricino, da solo

"Chiamerò la Polizia": è il titolo a colpirmi più che la copertina. L' autore, Irvin Yalom, arriva dopo. 

Quante notizie in quei giorni di forze dell'ordine chiamate a dissolvere assembramenti intorno a griglie del barbecue o a mazzi di carte giocati nel parco. Come  se lo sguardo del vicino di balcone che prima cantava in alcuni casi si fosse trasformato in  uno che contava il numero di persone e la distanza tra le stesse. 

Sono l'affetto e la fiducia che tengono in piedi questo libro, a mio avviso, grazie a due amici di vecchia data e alla scrittura semplice senza fronzoli.

Entrambi medici, entrambi lavorano con i cuori: cardiochirurgo l'uno, dottore dei cuori infranti l'altro. È sera. Facoltà di medicina. Cinquantesimo anniversario di laurea. Il banchetto sta per volgere al termine e il sipario si apre su una notte di narrazioni aperte che avvicinerà i due amici, il giorno e la notte, luci ed ombre come mai prima, nella loro relazione. 'Chiamerò la polizia', la frase scintilla.
A volte sfondo, a volte protagonisti, in un gioco di continua messa a fuoco l'olocausto, la memoria, i demoni del passato, uno scambio di doni e il potere chirurgico delle parole che abitano il luogo della loro relazione. 

Forse più un racconto autunnale, ma piacevole anche per una giornata d'agosto, dove il tempo è rarefatto e il cielo un po' coperto. Un racconto d'ascoltare più che da leggere. 


Articolo di Erika Delvento

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