giovedì 2 marzo 2023

#Pensieri: Ti voglio bene

Venerdì 3 febbraio abbiamo pubblicato il mio pensieri “Ti amo non lo so accettare” (scritto da me il 5 gennaio).

Quando Aida lo ha corretto, ha scritto nella mia sezione di Trello, quella dove ognuno di noi segna gli articoli che vorrebbe scrivere: “Ti voglio bene”.
Quando l’ho visto il mio primo impulso è stato quello di cancellarlo, ma ero ancora impietrita alla vista delle tre paroline magiche che so dire ma non accettare su me stessa. Poi, però, nel giro di pochi secondi, mi sono detta: “Va bene, è una sfida. Scriviamo un po’ i miei progressi dell’ultimo mese”.

Cioè, nel senso: sto scrivendo il 29 gennaio, quindi sicuramente non sono pensieri che mi rispecchieranno per il giorno in cui verrà pubblicato questo articolo. O forse sì… non so, il tempo è un concetto troppo astratto per me. 

Ti voglio bene”. Ma che non deve essere necessariamente detto così per farmi sentire ancora un po’ impietrita. Basta il “Tranquilla, accendi i termosifoni anche se hai freddo”, o “Ti ho sognata, sai?”, ma ancora: “Lo dividi con me?”. Insomma, basta qualsiasi frase che mi coinvolga, che mi faccia stare davvero bene, per farmi sentire indegna di tale sentimento nei miei confronti.

Ma, ecco il grande ma: nelle ultime settimane ho davvero riflettuto su quanto io mi ami. Come al solito mi definisco stacanovista, do sempre la precedenza alle cose da fare, ignorando la mia voglia di svagarmi, o semplicemente quella sete di solitudine di cui necessito per ricaricarmi.

Sì, sono una solitaria. Amo il momento in cui metto il telefono in modalità aereo, amo la mattina, quando fuori è buio e mi prendo un’ora totalmente per me prima di riattivare le notifiche. Amo le lunghe passeggiate che faccio in solitaria, al massimo mandando audio, e amo soprattutto non dire a nessuno dove sto andando, anche se Aida, Ilaria e mia cugina hanno costantemente il dov’è sempre attivato.
Sapendo tutto ciò è facile comprendere e mettersi nei miei panni: ogni frase di supporto e aiuto è vista quasi come una coltellata. Come una persona che vuole insediarsi a forza nella mia vita. Sì, se mi vedete come un cucciolo impaurito e per questo attacca, certo, sono io!

Così mi sono chiesta il perché e ho dedotto che:

1) non mi fido di me stessa, figuriamoci degli altri, di conseguenza non credo a certe parole che mi dicono;

2) le rare volte in cui ci credo mi sento come se non ne fossi degna;

3) so che farò inevitabilmente qualcosa che porterà loro la voglia di pentirsi del bene provato nei miei confronti.

Un grandissimo cambiamento attuato è stato quello di comunicare cosa ho dentro, così ne ho parlato ovviamente ad Aida e Gianluca. Dalle loro risposte ho poi cambiato modo di pensare, quindi i tre punti sono divenuti:

1) è normale non fidarsi di se stessi e degli altri, dobbiamo solo accettare il prossimo per come è e se in quel momento ci vuole bene, ben venga;

2) tutti abbiamo fatto errori, ma riscattarsi vuol dire proprio non essere più la persona del proprio passato, quindi al momento sono degna di tutto ciò che ho;

3) è una paura che non mi abbandonerà facilmente, ma che è figlia dell’educazione: se ti comporti bene ottieni il bello, altrimenti no. Ma poi, chi è che decide com’è il comportarsi bene? Su questo ultimo punto posso solo essere il cambiamento che voglio vedere nel mondo: amo e perdono a prescindere, anche se questo non vuol dire rimanere accanto a chi mi fa soffrire.

Ecco quindi come sono arrivata a scrivere l’articolo senza soccombere nel vittimismo del non me lo merito: sono scesa a patti che Aida in quel momento mi voleva bene – e me ne vuole ancora – che ha perdonato i miei comportamenti passati e che probabilmente perdonerà quelli futuri, anche se non è detto che la nostra amicizia e il rapporto lavorativo dureranno in eterno. Almeno, lo spero per lei, è così frustrante portare odio e rancore.

Ho quindi accettato che gli altri possano volermi bene? Non lo so, penso di sì. Di sicuro sto accettando che io merito il mio bene. Per esempio, oggi ho deciso che ogni settimana farò di tutto per avere almeno un pomeriggio all’insegna di me stessa e basta. Un pomeriggio dove uscirò con la città alla Carrie Bradshaw, o dove mi concederò il lusso di rimanere a letto a oziare in pigiama, guardando un film e mangiando schifezze.
Arrivare a questo punto per scelta e non collegarlo con la fase depressiva di anni fa – dove per mesi facevo così – è sicuramente un ottimo slancio.

I più saccenti potrebbero dire: “Ma ti amo non è la stessa cosa del ti voglio bene”. Bene, anche per me è vero, ma… per me “ti voglio bene” ha un valore maggiore del “ti amo”.     
Ti amo è un sentimento duraturo, certo, ma più dettato dalla passione e dall’impulsività. Un sentimento che non controlli, che arriva senza sapere per come e perché, un po’ alla “Something” dei Beatles. Infatti tendo a farlo andare bene solo nei confronti di un ipotetico figlio: quel sentimento d’amore incondizionato che ti avvolge e non riesci a capire fino in fondo.
Il “ti voglio bene”, invece, lo vedo più studiato, una scelta continua nei confronti del prossimo.
Il ti voglio bene è anche un augurio che tutto nella vita dell’altro proceda nel modo più positivo possibile, una sorta di benedizione, come la “shalom” per chi ha la fede ebraica.

Nel diventare la mia migliore amica, quindi, l’obiettivo è volermi bene. Di sicuro sono grata alla vita che mi ha messo di fronte a persone che provano tale sentimento nei miei confronti e che di conseguenza mi fanno comprendere che volermi bene non è poi così difficile come credo.

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