martedì 9 febbraio 2021

#Cinema&SerieTv: Fate - The Winx Saga cosa non va?

Fate - The Winx Saga
è sulla bocca di tutti dal momento in cui era stata annunciata. La serie televisiva di Netflix, però, trae la sua origine da un prodotto tutto nostrano e, per noi di 4Muses, è stato abbastanza sconvolgente notare quante poche persone lo sapevano. Ovviamente, in mano a un’altra casa di produzione le differenze non sono mancate, alcune di esse erano necessarie, altre un po’ meno; complessivamente, dunque, questo prodotto ha diviso a metà il suo pubblico, ma cerchiamo di capirne le ragioni insieme. 

Non è la prima volta che Netflix mette il suo zampino su un prodotto e lo cambia completamente, applicando a esso quasi un sistema standardizzato con la quale poter rendere “grazia” - secondo il loro punto di vista - a quello che sarà lo svolgimento dei fatti. Basti pensare allo stravolgimento che è stato applicato a storie come quella di Shadowhunters e ai cambiamenti che sono stati apportati in nome del gusto del pubblico. Mai, come per altre case di produzione, il target di riferimento è necessario per poter comprendere la natura intrinseca della serie stessa. L’urban fantasy, quindi, viene un po’ svilito della sua natura e viene dominato e sommerso da quello più comune del teen drama, creando un contesto talvolta privo di senso o privo di una vera e propria caratterizzazione coerente. 

Una formula, dunque, che è stata applicata anche alle Winx, così da poter creare un prodotto dalla facile presa sul pubblico di millennials sempre più soggetto alla logica del binge watching. Sette puntate da “sciropparsi” in pochissime ore, meno di quelle di una giornata scolastica o lavorativa, nella quale si spegne il cervello e si prende per buono quello che viene. Diviene facile rendersi conto di quanto non sia più necessario sforzarsi per creare una vera e propria sospensione della credulità, perchè tanto ormai si ci rapporta alle serie con pochissima attenzione; in fin dei conti non la richiedono neanche. 

Ma procediamo con l’analisi della serie in sé, sappiate che da questo momento in poi ci saranno spoiler

Sorvolando sulle differenze con il cartone, le protagoniste della serie sono cinque ragazze che si ritrovano a vivere sotto il tetto di una stessa suite ad Alfea, la scuola magica in cui specialisti e fate si allenano per poter cercare di sorvegliare il mondo magico. Sotto questo punto di vista accade un cambiamento interessante nei confronti del cartone: nel 2004, infatti, vi era una comprensibile suddivisione fatta sulla base di differenti caratteristiche; le scuole erano tre e non solo una. Alfea era per le fate, Torre Nuvola per le streghe e gli specialisti studiavano a Fonterossa. Quindi oltre a una suddivisione fatta principalmente per via di quella che era la natura dei loro poteri, vi era anche una suddivisione per via del sesso: non vi erano fate uomini (a eccezione dei professori) e non vi erano specialisti donne.
Appare, dunque necessario e comprensibile il cambiamento di tale aspetto e l’inserimento di personaggi appartenenti alla comunità lgbtq+. Rendiamoci conto che Aisha è stata inserita nella seconda stagione anche perchè si erano accorti dell’omogeneità che regnava nella scelta delle protagoniste. E se dunque dobbiamo parlare di rappresentazione e di abbattimento dei canoni, soprattutto se sotto il nome di Netflix, è ovvio che si opti per qualcosa di più inclusivo; come giustamente è stato fatto. È bellissimo vedere le fate uomini, esattamente come le specialiste donne. 

Fara nei panni di Silente 
Ma se da un lato troviamo questa “sensibilità” nel cercare uguaglianza, il tutto crolla messo a confronto con il contesto e il mondo nella quale si muovono i nostri protagonisti. 
Partiamo dalla mitologia nella quale ci muoviamo. Sappiamo, perchè ci viene detto durante i vari spiegoni di trama, che la Terra è priva di magia. Bloom è l’ultima fata che Fara - la preside di Alfea - trova a causa di un incidente. Di conseguenza gli abitanti della Terra non sono a conoscenza del mondo magico perchè esso non interferisce più con il loro. Viene, dunque, spontaneo chiedersi come mai i ragazzi di Alfea però usino una tecnologia appartenete al contesto umano e allo stesso modo anche i social network. Si può notare quanto siano necessari al fine dello sviluppo di alcune - quelle poche che la serie ci fornisce - dinamiche interpersonali tra i ragazzi, ma perché esiste e viene usato uno strumento di un mondo che non è più a contatto con la magia? 
Creare una mitologia a sé stante non è la cosa più facile da fare ed è molto più semplice optare per qualche cosa che fornisca delle coordinate di approccio allo spettatore, ma così è davvero assurdo perché si creano dei confini che per certi versi diventano invalicabili. 
Senza entrare poi nei dettagli sulla magia e mitologia che riguarda i bruciati e su i suoi palesi - fin dal primo istante - collegamenti con la fiamma del drago. Elementi che, per l’appunto, rendono il tutto abbastanza banale e superficiale. 

Le Winx sono dunque composte da: Bloom, Stella, Musa, Aisha e Terra. La loro caratterizzazione e il loro processo evolutivo fa un po’ acqua da tutte le parti. Dobbiamo prendere per buoni i loro rapporti solo perché ci viene detto di farlo. Non si fa il confronto con il cartone, ma è facile rendersi conto che se non si conoscesse almeno in parte il fatto che esse siano amiche, loro nella serie lo sarebbero sulla base del nulla. Non vi è condivisione, non vi è relazione, vi è al massimo disarmonia. 
E se già le cinque protagoniste hanno lo spessore caratteriale pari di quello di un foglio protocollo, sono ancor peggio quelle dei personaggi secondari. Ciò è, principalmente, dovuto al fatto che vi sono molti argomenti da trattare, ma troppo poco tempo a disposizione; con la speranza che con la seconda stagione loro possano avere più respiro e recuperare tutto quello che si sono lasciati dietro quando, in fin dei conti, bastava pensare di più a quelli che erano i rapporti tra le ragazze e lasciare l’aspetto dark o i flashback del passato ai posteri. 

Ma la caratterizzazione risente anche dei dialoghi che sono stati pensati per questi personaggi che, oltre a essere poco credibili, sono forzati proprio nelle argomentazioni che tirano in ballo. Battutine femministe che assumono un sapore al quanto insipido; dialoghi interpersonali che rasentano il ridicolo; battute date solo per porter cercare di spiegare qualcosa allo spettatore rendendo palese persino ciò che dovrebbe essere avvolto dal mistero. 

Lo svolgimento complessivo della trama, proprio per colpa di queste lacune, è abbastanza palese. Non è difficile saltare a delle conclusioni su un evento o su un possibile plot twist. La storia con il padre di Sky, ad esempio, è palese fin dai primi istanti in cui si parla di lui, sopratutto perché la sceneggiatura è basata sul cercare di fare in modo che lo spettatore sia sempre più proiettato a portare la sua attenzione su ciò che in realtà dovrebbe essere nascosto. 

Ovviamente sette episodi sono pochi per dire “inguardabile” oppure “meglio che la interrompano”, quindi aspettiamo ulteriori episodi per porter rendere del tutto palese lo schema che Netflix applica alle serie, tanto hanno tutte una durata massima di tre/quattro stagioni.  

Complessivamente siamo sulla sufficienza. 

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