venerdì 12 marzo 2021

#Arte: L'Arte Povera

Venere degli stracci, Michelangelo Pistoletto, 1967.
Questo lo sapreste fare anche voi, parte due.
Anzi, scommettiamo che lo sapreste fare anche meglio ma la questione, come abbiamo accennato nell'articolo di Lucio Fontana, non è questa.

Il dibattito non è tra chi lo sa fare e chi no, tra chi è più o meno bravo, ma tra chi sa trasmettere qualcosa e chi no.
Tiziano, Michelangelo Buonarroti, Leonardo Da Vinci, Raffaello e tanti altri grandissimi della storia dell'arte hanno tecnica e in base a essa esprimono un significato che trascende il religioso o il mitologico. Gli artisti di arte contemporanea hanno cambiato di poco la formula: meno tecnica, più sostanza. Questo è ciò che ora li rende vincenti. Certo, l'arte contemporanea sicuramente non vanterà della tecnica perfetta e indiscutibile dell'arte rinascimentale e manierista, per citarne due, ma vanta sicuramente contenuti che vale decisamente studiare, o quantomeno conoscere.

Pensavate che Fontana e la sua arte fossero ignorati, o peggio, bistrattati? Se sì, evidentemente non avete mai sentito parlare dell'Arte Povera.
L'Arte Povera - corrente artistica tutta italiana - nasce nel Settembre del 1967 con una mostra omonima organizzata da Germano Celant a Genova, in cui esposero Alighiero Boetti (1940-1994), Jannis Kounellis (1936-2017), Giulio Paolini (1940-), Pino Pascali (1935-1968) ed Emilio Prini (1943-2016), ma fu riconosciuta e ufficializzata a livello internazionale solamente nel 1969, nella mostra organizzata da Harald Szeemann a Berna: "When attitudes become form".
Il suo nome nasce grazie al lessico del regista Jerzy Grotowski, che aveva proposto un teatro povero, composto da grandi spettacoli basati sulle tecniche della finzione scenica e sul coinvolgimento dello spettatore.
La corrente nasce in totale contrapposizione all'arte tradizionale, rifiutandone tecniche e supporti per fare ricorso a materiali naturali (terra, ferro, plastica, scarti industriali) e facendo uso di tecniche e sistemi per l'epoca completamente all'avanguardia: le installazioni, utilizzate come luogo di relazione tra l'opera e l'ambiente.
Nonostante la popolarità che l'Arte Povera acquisì nel corso degli anni, il movimento svanì a metà degli anni ’70, in quanto gli artisti italiani, come spesso succede, continuarono a crescere in direzioni diverse.

Ci piacerebbe tanto, tantissimo, immergerci nella vita e nelle opere di ogni singolo artista sopracitato, - e nessuno dice che non lo faremo mai - ma sappiamo anche che se dovessimo veramente parlare nel dettaglio di ognuno di loro in questo articolo, probabilmente non finiremo più.
Vogliamo però quantomeno introdurvi a un grande della storia dell'arte, considerato il massimo esponente di questa corrente.


Jannis Kounellis
Jannes Kounellis nasce a Pireo, nell'Attica (Grecia), il 23 Marzo 1936.
Si trasferì a Roma all'età di ventitré anni, nel 1956, dopo essere stato respinto dall'Accademia di belle Arti di Atene, e una volta approdato nella Città Eterna si iscrisse all'Accademia di belle arti di Roma, sotto gli insegnamenti di Toti Scialoja che gli trasmise l'amore per l'Arte Informale - corrente artistica di fine anni '40 che pone moltissime delle premesse dell'Arte Povera - e per l'Espressionismo Astratto americano - nato contemporaneamente all'Arte Informale -.
Nel 1960 venne allestita la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma a Piazza del Popolo, "L'alfabeto di Kounellis". Già da questa prima mostra venne prepotentemente alla luce il rifiuto totale dell'artista per le prospettive individualistiche ed estetizzanti e l'amore per un linguaggio artistico collettivo; vengono infatti esposte segni tipografici su sfondo chiaro che alludono all'invenzione di un nuovo linguaggio.
Solo nelle opere e nelle mostre a partire dal 1967 si iniziano però a vedere le vere influenze dell'Arte Povera, quando i materiali di uso quotidiano diventano i veri protagonisti e le sue installazioni diventano delle vere e proprie scenografie che occupano fisicamente la galleria e circondano lo spettatore rendendolo attore protagonista.
Per darvi un esempio di cosa intendiamo quando parliamo dell'installazione come delle vere e proprie
Senza Titolo (12 cavalli), Jannis Kounellis, 1969.
 scenografie, basta citare la mostra che nel 1969 vide ne L'Attico (Roma) di Fabio Sargentini, i celeberrimi Cavalli di Kounellis.

Niente di più, niente di meno: letteralmente dodici cavalli vivi in carne ed ossa vennero trasformati in opere d’arte per il semplice fatto che erano legati dentro gli spazi espositivi della galleria.
Forse, posti lì anche un po' per dirci che l'opera d'arte più nobile non sono le sculture o i dipinti che vivono e sopravvivono nei secoli dei secoli, ma niente di meno che l'effimera e passeggera vita.
Concetto semplice e risaputo, certo, eppure forse tra i più dimenticati.




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