mercoledì 14 settembre 2022

#Intervista: Antonio De Padova Battista

Dopo le soddisfazioni date dal successo della manifestazione a Mercogliano, abbiamo raggiunto Antonio De Padova Battista, presidente di "Apple Pie: l'amore merita LGBT+" che ha organizzato il suo terzo Pride in Irpinia e gli abbiamo chiesto un po' di cose.

- Cominciamo con una domanda diretta: chi è Antonio?

È ormai un uomo di quarantatré anni, che si chiama all'anagrafe Antonio De Padova, ma che ha deciso di mettere anche il cognome Battista legalmente perché ritiene che la stessa importanza del padre, l’abbia la madre sin dall'inizio.
Ho un lavoro. Ho un fidanzato. E ho fatto coming out nel 2004, quando ho conosciuto il mio primo compagno e l'ho detto subito a mia madre che l'ha presa molto bene. Con cinque anni di ritardo, l’ho detto ai mie due fratelli, anche se entrambi pare lo avessero già intuito, ma aspettavano i miei tempi. E, per ultimo a mio padre, sempre nel 2009.
Quando ho deciso nel 2017, insieme a Mara e a Rebecca di fondare l'associazione “Apple pie”, l’ho praticamente gridato al mondo intero!

- Cosa significa per te esser presidente di un'associazione attivista? 

Io sono un'attivista, nel senso che comunque ho deciso di metterci la faccia e di fare coming out praticamente 365 giorni all'anno. A mio parere, è assolutamente necessario venir fuori e autodeterminarsi ed essere una persona risolta. Non è sempre semplice perché dare spazio alla propria omosessualità, accettandola, almeno per quanto riguarda la mia generazione, non è qualcosa di spontaneo.

Ho avuto i miei alti e bassi fino a quando, poi, ho capito che tutte quelle paure bisognava trasformarle in forza, e, appunto, venir fuori.
Parlare e relazionarsi con gli altri è l'arma vincente ed essere presidente di un'associazione è sicuramente, per me, un piacere. Ho questo incarico dall'ottobre del 2020 e ne sono veramente onorato: ma ci sono onori e oneri anche perché mi occupo della nostra associazione dalla A alla Z, quindi se c'è da portare il camion porto il camion, se c'è da pulire la sede… pulisco la sede, se c'è da fare altro io assolutamente lo faccio. Sono un presidente operaio, non so se possa andar bene come definizione...

- Perché si è lasciato da parte quel "gay" e ora le manifestazioni a tema LGBT+ si chiamano solo Pride?

Si chiamano semplicemente “Pride”, perché rappresentano l'orgoglio della comunità LGBT+. Questo orgoglio nasce nel 1969 con i moti di Stonewall: fu una notte molto importante quella del 28 giugno del 1969 e da lì ha preso vita tutto il movimento della comunità; non si chiama più “Gay” perché rappresenta tutti, quindi non solo i gay ma anche le lesbiche, i bisessuali, i transessuali, ma anche gli asessuali, e i pansessuali… praticamente l’intera identità di genere, tutti gli orientamenti sessuali che sono sotto, diciamo, un unico ombrello che è quello queer.

- Quanto ti riempiono di gioia e ti son stati d'aiuto la tua famiglia e i tuoi amici che, con orgoglio e tanta fiducia ti supportano ogni giorno nelle tue battaglie di conquista per far sí che i privilegi di pochi possano essere i reali diritti di tutti?

Sono stati e sono fondamentali. Io penso che la famiglia sia indispensabile per un ragazzo che sia omosessuale e/o eterosessuale… è assolutamente importantissimo il supporto della sua famiglia per una crescita personale ed emotiva e proprio per quella gran parte di valori che solo la famiglia può insegnarti.
Io sono fierissimo di far parte della mia: mamma Anna, papà Gerardo, Stefano e Nello come fratelli, ma ho anche due cognate splendide e due nipoti meravigliosi e nonché una nonna speciale, nonna Eleonora, che ormai è diventata la nonna arcobaleno d'Italia. Lei si spende sempre per noi: fa dei bellissimi video, delle splendide foto per la comunità LGBT+ ed è stata un po’ adottata da tutti.
Io sono sicuro di avere tante conoscenze, ma pochissimi amici che però sono per me insostituibili proprio perché si contano sulle dita di una mano.
I diritti devono essere assolutamente di tutti in quanto sono trasversali e bisogna combattere per chi non ha quei diritti. Quindi io sono sempre a favore di rivoluzioni di pace che possano avere il raggiungimento di obiettivi, non solo della comunità LGBT+, ma di tutti. Non ci dobbiamo dimenticare che oggi un diritto c'è, ma domani potrebbe anche non esserci.
E come dicevi, appunto, nella domanda se i diritti sono per pochi diventano privilegi e quindi non possiamo più pensare all'Italia come uno Stato democratico. Io lavoro, pago le tasse e pretendo di essere trattato come una persona normale. Non possiamo fare la differenza tra persone di serie A e persone di serie B, ma molto spesso la Comunità LGBT+ è trattata come persone di serie B e questo è estremamente ingiusto!

- Quanto credi nella campagna "Rivoluzione Familiare - il diritto di essere genitori" e cosa significherebbe per te diventare papà?

Ovviamente tantissimo. “Rivoluzione familiare” è un po’ come mia figlia così come lo è “Apple Pie”. Questa idea è nata durante il primo lockdown, dalla voglia e dal desiderio di diventare papà, così insieme ai ragazzi dell’associazione, ma anche affiancati da un pool di sociologi, psicologi e i due legali: Miguel Coraggio e Nadine Sirignano, abbiamo creato questa campagna. Noi, con “Rivoluzione familiare” cerchiamo di ampliare la platea legittimata ad adottare a coppie LGBT+ unite civilmente, ma anche ai single, al di là della loro identità di genere o l'orientamento sessuale. La legge 184/1983 è una legge obsoleta in quanto dà il diritto all'adozione solo a coppie sposate eterosessuali, coniugate da minimo tre anni. La cosa più assurda e fortemente discriminante, in questa legge, è che la coppia LGBT+ non è vista come un’unione adatta ad adottare, così come anche il single. Però, sia il single che le coppie LGBT+ possono adottare un bambino diversamente abile, un bambino speciale e questa è una doppia discriminazione… sia per noi, sia per i bambini stessi. Stiamo, quindi, cercando di portare avanti questa campagna per condurla direttamente in tribunale: noi faremo domanda di adozione presso i tribunali minorili italiani, sia come coppia, sia da single e, in questo modo, porteremo avanti delle cause pilota, sperando che, su, per esempio, cinque cause, almeno un giudice possa darci ragione iniziando una storia nuova per l'Italia.

- Siamo nel 2022: il mondo è cambiato, sta cambiando e cambierà ancora... quali sono i principi e gli insegnamenti più profondi che il futuro Papà Antonio darebbe ai suoi figli?

Diventare papà è il sogno della mia vita. Penso che davvero sia la cosa più importante che io possa fare, l’ho sempre desiderato e lotterò in tutti i modi possibili e immaginabili: in questo momento ho anche un compagno che la pensa come me, quindi, sicuramente lo faremo insieme, non siamo ancora uniti civilmente ma sono abbastanza sicuro che prima o poi, diventeremo una famiglia.
Famiglia significa casa, significa amore… tutte quelle sensazioni belle che si provano quando sei insieme a una persona che ti ama incondizionatamente che può essere tua madre o tuo padre, loro due insieme oppure due mamme o due papà. Si parla tantissimo di essere genitore single e in Italia non c’è la possibilità di farlo, ma quante nonne, quante zie, quante donne durante la Seconda Guerra Mondiale sono rimaste vedove e hanno portato avanti da sole una famiglia? Ecco. Noi tutti sappiamo che c’è la capacità di farlo, se ovviamente c'è amore e rispetto nei confronti del bambino. Il mondo sicuramente è cambiato, è un mondo diverso rispetto anche a cinque anni fa. È un mondo in continuo cambiamento e fortunatamente cambierà ancora. I Pride nascono proprio per questo, perché, a oggi, non abbiamo ancora tutto ciò di cui abbiamo il diritto sperando di poterlo ottenere, anche grazie al popolo italiano che a settembre sarà chiamato al voto auspicandoci che possa mettere quella croce in modo quanto più pensato e sentito possibile.
Quello che vorrei trasmettere ai miei figli è esattamente quello che hanno donato a me, i miei genitori: la possibilità di essere felice, di fare ciò che ti rende felice, ascoltando ovviamente i loro consigli, ma anche la libertà di poter sbagliare da soli… è questo che direi ai miei figli, che per essere felici ci vuole coraggio.

L'articolo è stato scritto da Valentina Barbato. Se volete seguirla, la potete trovare su Instagram e Facebook.

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