mercoledì 26 maggio 2021

#Anime: La forma della voce

Attenzione: l'articolo contiene spoiler!

Chi dice che i cartoni e gli anime siano prodotti esclusivamente per bambini, vuol dire che non ha osservato con attenzione il prodotto che ha davanti. Ci sono alcuni film che riescono a parlare di temi delicati come del suicidio e della redenzione senza scivolare nel banale ed è questo il caso de “La forma della voce”, un film d’animazione del 2016 disponibile su Netflix e tratto dal manga “A silent voice” di Yoshitoki Ōima.

Il film racconta il percorso di redenzione di un ex bullo, tormentato dai sensi di colpa al punto da cercare di suicidarsi. Tutto il film è il suo tentativo di redimersi dalla colpa di non essere mai riuscito a scusarsi per essere stato un bambino spaventato dal diverso. Ok, detta così suona un po’ strano, ma parliamo un attimo della trama.


Il protagonista de “La forma della voce” è Shoya Ishida e il film si apre con il suo tentativo di suicidio: strappa dal calendario i giorni da metà aprile in poi, vende tutto ciò che ha e lascia un pacchetto sul letto della madre con i soldi racimolati dalla vendita dei suoi effetti personali. Si veste elegante e cammina fino a un ponte, dove è pronto a lanciarsi nel vuoto. Sono dei piccoli petardi che lo portano a fermarsi, richiamando alla sua memoria ricordi dell’infanzia. Quando era solo un bambino delle elementari, in classe arrivò una nuova compagna che si presentò con delle frasi scritte su di un quaderno che mostrò ai nuovi compagni. Il suo nome era Shoko Nishimiya ed era una bambina sorda che, malgrado i ripetuti tentativi di far amicizia con gli altri bambini, ricevette solo atti di bullismo, da Ishida in primis che non esitò più volte a strapparle gli apparecchi acustici che portava. Nonostante Shoko non ne fece parola con nessuno, gli atti di bullismo della classe raggiunsero il preside e Shoya venne usato dagli altri bambini come capro espiatorio. Pensando che fosse tutta opera di Nishimiya, il bambino arrivò alle mani con lei che, nonostante tutto, sembrava tenerci alla sua amicizia. Il suo quaderno per “parlare” venne gettato nello stagno della scuola e la bambina venne trasferita. Pentito, Ishida conservò per anni il quaderno.

C’è un ritorno al presente dove vediamo ormai uno Shoya liceale, caduto in depressione e incapace di guardare gli altri negli occhi che, in un momento di introspezione, sembra chiudersi al mondo appoggiando le mani sulle sue orecchie. Diventa lui quello allontanato da tutti, ma un atto di generosità lo fa diventare amico di un altro ragazzo, Nagatsuka. Per fare ammenda dei suoi errori, Shoya visita il centro dove viene insegnato il linguaggio dei segni e, trovandovi Nishimiya, le riconsegna il quaderno. I due ragazzi cominciano a legare, al punto che la giovane prova a confessare i suoi sentimenti all’amico, che sfortunatamente non comprende. Però grazie a Shoya, Shoko ha la possibilità di rivedere i compagni con cui aveva desiderato fortemente fare amicizia, ma trova la forte ostilità di Ueno, compagna di classe alle elementari di Shoko e Ishida e fortemente innamorata di quest’ultimo. I ricordi del passato e del bullismo fatto nei confronti di Nishimiya torna a far capolino e il gruppo si divide nuovamente, nella tristezza di più totale della ragazza. Durante la sera di fine estate con i fuochi di artificio, Shoko e Shoya sono insieme, fino a che la prima non decide di far ritorno a casa per terminare i compiti. Shoya la segue e la vede tentare di suicidarsi. Arrivato appena in tempo, la far risalire sul balcone, ma è lui a cadere di sotto, finendo in coma. Sopravvissuta, Shoko decide di cercare i compagni di classe per ricucire i rapporti, fino a che una notte non sogna una lettera di addio di Shoya che, risvegliatosi dal coma, le chiede finalmente scusa per tutto ciò che le aveva fatto da bambini. Le confessa di aver già tentato il suicidio e le chiede una mano per continuare a vivere. Quando si riprende del tutto, Ishida partecipa al festival scolastico con la sua famiglia e amici. Trova finalmente il coraggio di abbassare le mani e togliersele dalle orecchie – in un altro momento introspettivo - , di guardare gli altri in faccia e si abbandona a un pianto liberatorio, finalmente circondato dalla famiglia e dagli amici.

A un primo impatto questo film sembra la storia di un bullo che cerca la redenzione. Il film, dopotutto, inizia con la cattiveria di Shoya nei confronti della bambina sorda, come a stigmatizzarla per poi fare ammenda. A perorare questa causa sono anche i comportamenti dei suoi ex compagni di classe che, in un modo o nell’altro, devono convivere con ciò che hanno fatto in passato. Ishida cerca in tutti i modi di scendere a patti con se stesso, incapace di accettarsi, al punto che non accetta neanche la “diversità” di Nishimiha e le fa male anche solo inconsapevolmente. Shoya, che in primis aveva subito bullismo, viene mostrato non come il bulletto banalizzato in molte opere, ma come qualcuno che non capisce e questa incomprensione lo porta ad avere paura e ribrezzo nei confronti di Shoko.

Se avete visto e apprezzato “Your name”, questo film fa proprio al caso vostro perché, mettendo in scena frammenti di vita quotidiana, si può sollevare l’attenzione verso temi molto delicati, primo fra tutti l’accettarsi per come si è. Ishida vede il resto del mondo con una grande “x blu” sul viso, mettendo in luce una totale alienazione del protagonista che lo porta a pensare di farla finita con la sua vita. La nuova vita che decide di intraprendere è quella della comprensione, della sua emotività: non si arrabbia per niente, neanche quando gli altri sembrano avercela con lui – e in realtà la rabbia che rivolgono a Shoko o Shoya è la stessa che hanno nei loro stessi riguardi - .

Nel film non ci sono buoni o cattivi, ma solo incomprensione, come succede nella realtà. Il percorso di crescita non è facile per nessuno. Alla fine Ishida capisce che è il momento di togliersi le mani dalle orecchie e di iniziare finalmente ad ascoltare il prossimo, smettendo di alienarsi, perché è ascoltando e capendo gli altri che potrà fare ammenda e non essere più solo. Shoko, a conti fatti, è sempre stata in grado di “ascoltare” e capire gli altri. Il “sordo” agli altri era solo Shoya.

Nessun commento:

Posta un commento