sabato 15 maggio 2021

#Costume&Società: Anastasia - tra mito e reltà

Festa e balli, fantasia/è il ricordo di sempre/ ed un canto vola via quando viene dicembre./ Sembra come un attimo/ dei cavalli s'impennano/ torna quella melodia/ che il tempo portò via...

Se l’avete letta cantando, allora è probabile che negli anni '90 abbiate visto un numero imprecisato di volte il cartone “Anastasia”, la storia della Fox in cui viene raccontata la storia della principessa Anastasia Romanov. Un mito che per anni sembrava possibile, ma che poi si trova a fare i conti con la dura realtà. Ne avevamo parlato tempo fa con gli articoli "La rivoluzione russa" e "La zarina Alessandra" ma oggi vogliamo soffermarci sulla principessa della leggenda e su come sia andata davvero la sua storia.


Partiamo parlando del cartone animato del 1997, prodotto dalla Fox.

È il 1916 quando lo zar di tutte le Russie, Nicola II, decide di indire un ballo per festeggiare il trecentesimo anniversario dell’ascesa al potere dei Romanov al palazzo di Santa Caterina a San Pietroburgo. La granduchessa è a palazzo e si sta divertendo, quando l'imperatrice madre, Maria Fëdorovna (nonché voce narrante della storia) decide di fare un regalo a sua nipote Anastasia (in italiano doppiata da Tosca): un carillon, la cui chiave è un ciondolo con l'incisione "Insieme a Parigi". L’allegria della festa viene interrotta dall’arrivo di Rasputin che, scacciato dallo zar, lancia una maledizione sulla famiglia dei Romanov. Scoppia il caos e i bolscevichi mettono a ferro e fuoco il palazzo. Anastasia e sua nonna rimangono indietro, ma riescono a fuggire grazie a un giovane garzone. La nonna riesce a salire sul treno che la salverà, ma la granduchessa perde la presa sulla mano della Fedorovna, cade e batte la testa, perdendo i ricordi.


La storia fa un balzo in avanti di dieci anni, dove l’imperatrice madre spera che qualcuno le riporti la nipote, offrendo un sostanzioso compenso. Scatta quindi la “caccia ad Anastasia”. Nel frattempo, quella vera lascia l’orfanotrofio in cui era stata portata, pronta a cercare la propria strada, ma ha solo un indizio: un ciondolo che le dice di andare a Parigi. Ma come uscire dal paese se non ha un visto? Le viene consigliato, quindi, di rivolgersi a due truffatori: Dimitri (doppiato da Fiorello) e Vladimir, anche loro intenti a cercare una ragazza che possa spacciarsi per Anastasia, così da riscuotere il compenso. Anya, suo malgrado, si ritrova a doversi “fingere” la granduchessa e mentre viaggia per arrivare al cospetto di Maria Fëdorovna, a Parigi. Ovviamente si tratta del viaggio dell’eroe, quindi Rasputin farà di tutto per ucciderla. Nello stesso momento, comincia a fiorire l’amore tra Dimitri e Anya, che sembra perdere ogni valenza quando Anya viene riconosciuta come la vera Anastasia. Dimitri rifiuta la ricompensa e fa per tornare in Russia, mentre la sua amata viene tratta in inganno da Rasputin per lo scontro finale, in cui il cattivo muore per colpa del suo stesso maleficio. Il ragazzo arriva giusto in tempo e, innamorati e consapevoli di ciò, lasciano Parigi per vivere insieme la loro storia in Russia.

Ecco, ora vi abbiamo rinfrescato la memoria sul cartone. Bene, nulla di tutto ciò è mai successo, perché Anastasia non è mai scampata al massacro dei Romanov.

Anastasia Romanov nasce nel giugno del 1901, la quinta dei sei figli di Nicola II, zar di tutte le Russie e Alessandra, nipote della regina Vittoria del Regno Unito. Dopo tre figlie femmine, lo zar e consorte speravano di avere finalmente un erede maschio, ricorrendo a ogni rimedio possibile per far sì che la quarta fosse la volta buona, cosa che avvicinò soprattutto Alessandra alla spiritualità. La quarta gravidanza sembrava la via d’uscita da un tunnel oscuro, fatto di morte e depressione (la regina d’Inghilterra era morta nel gennaio del 1901). Ma, malgrado le tante aspettative, fu ancora una volta il turno di una figlia femmina.


Carismatica e con compoprtamenti spesso da maschiaccio, Anastasia crebbe conoscendo l’umiltà: non aveva problemi a indossare i vestiti delle sorelle e più in là, durante la prigionia, si metteva a pulire il pavimento per aiutare la servitù. Dal ramo materno aveva ereditato il gene dell’emofilia, ma non ebbe lo stesso risvolto che gravò sulle spalle del fratellino Alessio che, massacro dei Romanov o meno, non sarebbe sopravvissuto a lungo. La malattia di quello che doveva essere il futuro zar fece sì che nella vita della famiglia si inserisse una figura misteriosa: Grigorij Rasputin, che sembrava in grado di curare l’emofilia o per lo meno alleviarne le sofferenze. Divenne ben presto una guida spirituale e un caro amico. “Con i bambini era molto affettuoso: Alessio aveva fiducia in lui e gli si affidava quando stava male e Olgra, Tatiana, Maria e Anastasia erano sempre felici di vederlo. A volte lo facevano persino entrare in camera da letto, ma di nascosto, perché sapevano che la governante non approvava. Padre Grigorij sedeva sul letto conversando con loro come uno di famigia.” Si diceva di lui. Che Rasputin fosse così vicino alla famiglia dei Romanov e il fatto che passasse tanto tempo con i figli alimentò pettegolezzi che lo portarono inevitabilmente alla morte. La famiglia ne uscì distrutta da quel lutto.

La Russia era da tempo in subbuglio, sembrava inevitabile la fine del periodo zarista anche perché Nicola II non era l’uomo adatto al potere. Divenuto zar molto giovane, non aveva propriamente la voglia e la forza morale per sopravvivere al cambiamento dei tempi e al malcontento che serpeggiava in Russia con il vento della Prima Guerra Mondiale. Vi era l’anarchia più totale nelle strade di San Pietroburgo. I militari si sparavano l’un l’altro e ormai la capitale non apparteneva più allo zar. Anastasia si ammalò e così le due sorelle, mentre il padre faceva la spola da una stanza all’altra per sincerarsi della loro salute. Nicola era sull’orlo del baratro, tra l’impero che cadeva a pezzi e i figli gravemente ammalati. Decise quindi di abdicare a favore del fratello, che abdicò di rimando. Era la fine dell’Impero. Il governo provvisorio del paese valutò di esiliare i Romanov nel Regno Unito, ma per evitare che potessero espatriare, i soviet bloccarono la ferrovia. Giorgio V, re inglese, temeva che accogliere la famiglia imperiale avrebbe avuto conseguenze che avrebbero provocato la rivolta della sinistra, quindi rifiutò a malincuore di ospitarli. Pensate che si portò quel fardello per tutta la vita, i sensi di colpa non lo lasciarono mai, tanto era forte il legame con i suoi cugini. 

Tra un luogo di prigionia e l’altro, serrati in diverse residenze nel giro di poche settimane, la famiglia sembrava ben contenta di lasciare alle spalle il passato da regnanti. Anastasia, nelle sue foto, mostrava scene di un paradiso di campagna, più che di una prigione... coltivarono la terra, la ripulirono dalle erbacce, insomma sembravano una famiglia come tante. Delle lettere anonime vennero mandate nel 1918 allo zar, in cui veniva scritto che la fine dei bolscevichi era ormai prossima e che avrebbero dovuto attendere il segnale che avrebbe significato per tutti i Romanov la fuga. Ma quel segnale non arrivò mai. I soviet salirono al governo e divenne impensabile che potesserro lasciare in vita uno qualsiasi dei Romanov che un giorno avrebbe pootuto rivendicare il potere. Allarmati per un tumulto in città, a tutta la famiglia e alla servitù venne ordinato di nascondersi nel seminterrato. Vennero poste nella stanza due sedie: una per la zarina e una per Alessio. Anastasia e le sorelle, insieme al padre, attesero alle loro spalle. Un gruppo di soldati entrò nella stanza e si parò davanti a loro, armi alla mano e puntate verso i Romanov e pochi membri della corte. Nicola, sconcertato, ebbe solo il tempo di voltarsi a guardare le figlie, prima di venire fucilato. Fu una carneficina, nessuno sopravvisse. Secondo alcune carte, Rasputin lo aveva predetto, annunciando che alla sua morte la Russia sarebbe ormai stata perduta. I corpi dei Romanov vennero sciolti nell’acido e ciò che non si consumò finì in un pozzo.

I giornali dell’epoca, controllati, parlarono solo della morte dello zar Nicola II alludendo che Anastasia e tutto il resto della sua famiglia si fossero salvati. Quando vennero alla luce i macabri dettagli della tragica fine della dinastia, lo sdegno fu del mondo intero: la rivoluzione aveva messo la parola fine alla vita di tre ragazze e a quella di un bambino debole e malato. Gli scettici non riuscivano a credere a un crimine così atroce, il che alimentò dicerie sul fatto che qualcuno magari era riuscito a salvarsi.


Ma quando ebbe inizio il mito di Anastasia? Nel febbraio del 1920, in Germania, un poliziotto vide una ragazza tentare il suicidio nelle acque gelide. Venne salvata e interrogata. Addosso non aveva documenti. Incapace di rispondere alle domande degli inquirenti, la ragazza venne chiusa in un manicomio, ma dopo poco fece una rivelazione che sconvolse tutti: affermava di essere Anastasia Romanov, miracolosamente sopravvissuta al massacro. Tra lei e la granduchessa vi erano diverse somiglianze, come il colore degli occhi e il viso, ma emersero anche contraddizioni: la ragazza non conosceva una parola di russo, francese o inglese (lingue che la vera Romanov aveva appreso da giovane), parlava solo tedesco. Amnesia da shock? Ma le zie di Anastasia e sua nonna, Maria Feredova, non la riconobbero come vera. Una volta scoperta l’idendità della giovane, il caso Anastasia non si estinse, anzi, prese vigore con il tempo, perché molte ragazze, interessate al presunto patrimonio dei Romanov sembravano pronte a giurare di essere la granduchessa perduta. Nel 1976 vennero trovati in una fossa dei resti umani, analizzati nel 1991, ma solo nel 1998 si ebbe la conferma ufficiale che quelli fossero gli effettivi resti di Nicola, Alessandra e di tre dei cinque figli. Questo alimentò le speranze che due si fossero salvati. Nel luglio del 2007 delle ricerche portarono alla luce nuovi reperti che, confrontati con il DNA di Filippo d'Edimburgo, marito ora defunto della Regina Elisabetta II, si dimostrarono essere di Alessio e Maria, togliendo ogni dubbio sul fatto che un discendente dei Romanov fosse sopravvissuto.

Come si può vedere da queste due storie, quella del cartone animato del 1997 e la storia vera e propria, negli anni Novanta si cercò di romanzare e si raccontare come sarebbe stata la storia di Anastasia se fosse sopravvissuta, il tutto anelato da decenni in cui si credeva che la discendente dei Romanov fosse sopravvissuta. Il cartone, uscito negli USA nel '97 e da noi l’anno dopo, portava dentro di sè una speranza venuta meno lo stesso anno che arrivò in Italia. Anastasia non è mai stata separata dalla famiglia e non è mai uscita da quel seminterrato al termine della Prima Guerra Mondiale. Malgrado la fine dell’Impero fosse inevitabile, perché i tempi erano cambiati e gli zar non rispecchiavano più le voltà del popolo (perché sì, ogni governo è lo specchio del popolo), realtà e fantasia prendono strade diverse. A noi non resta che la consapevolezza di una tragica fine, ma anche le melodie di un cartone che ha segnato l’infanzia di molti.

"Forse un giorno tornerò/ il mio cuore lo sente/. E allora capirò/ il ricordo di sempre/ ed un canto vola via/ quando viene dicembre."

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