lunedì 31 maggio 2021

#Costume&Società: La banalità dell'etica


Al giorno d’oggi sentiamo spesso la gente parlare di etica, ma diamo a certi concetti un peso sbagliato. L’etica è, nel linguaggio filosofico, una riflessione intorno al comportamento pratico dell’essere umano, che gli permette di distinguere bene e male e dare a determinate azioni le altrettante connotazioni. Per esempio: è giusto pensare che il fine giustifichi i mezzi? Giusto? Perché? Sbagliato? Perché? Le azioni che l’individuo compie sono moralmente accettabili?
Nelle ultime settimane parliamo di problema etico in merito alle morti sul lavoro, ma non solo: parliamo di etica sanitaria per l’accanimento terapeutico, per l’eutanasia, l’aborto. Parliamo di etica quando un determinato comportamento lede la vita altrui. Si è discusso della condotta lavorativa quando le persone che si trovano in determinate fabbriche venivano schiacciate dai macchinari, perdevano la vita cadendo in dei pozzi o addirittura si staccava qualche pezzo delle infrastrutture e cadeva addosso a dei lavoratori fino a un momento prima ignari di tutto. Il lavoro, diritto fondamentale dell’uomo ribadito dalla nostra Costituzione, diventa un pericolo perché non vengono fatti gli opportuni controlli: una maglietta si impiglia in un rullo e strappa la vita ad una giovane ragazza, un ponte crolla su una strada trafficata, una funicolare si schianta al suolo, dei rifiuti tossici vengono sparsi sul terreno come concime. Eticamente siamo tutti pronti, soprattutto sui social, ad additare certe scene tristemente quotidiane. Ci siamo stretti intorno alle famiglie abruzzesi per il terremoto de L'Aquila, abbiamo metaforicamente abbracciato gli abitanti di Amatrice, abbiamo pregato per le famiglie dei genovesi morti con il crollo del ponte Morandi e tanti altri momenti in cui gli italiani si sono sentiti un unico popolo, un fronte comune contro le ingiustizie sociali, contro chi doveva fare gli opportuni controlli e non li ha fatti. Gli impianti funicolari, che sono stati fermi per un anno, sono stati alterati, sono venuti meno i meccanismi che avrebbero permesso a quattordici persone di sopravvivere e ad un bambino di avere ancora la sua famiglia. Eticamente sappiamo cosa sia giusto fare e cosa non fare. E allora perché ci sono le registrazioni di chi, ridendo, pensa al bambino che mangia qualcosa che nasce da una terra avvelenata? Perché sentiamo che una funicolare viene manomessa perché possa portare a casa la giornata di lavoro? Già, perché? Se tutti sappiamo riconoscere le condotte moralmente accettabili, sappiamo distinguere giusto e sbagliato, buono e cattivo, perché la cronaca è tempestata di quella che sembra una apologia del male?

Ne “La banalità del male” di Hannah Arendt si parla del processo ad un gerarca nazista, Adolf Eichmann. La cosa che sconvolse la maggior parte delle persone che preso parte al Processo di Norimberga era quanto i soggetti in questione fossero umani, quindi capaci di scegliere se opporsi a Hitler o meno. Non erano mostri, ma le loro azioni erano, d’altro canto, mostruose. Per noi sarebbe più facile identificare come inumani soggetti che compiono volutamente il male, ma non è così. L’Arendt scrive infatti, riguardo al criminale nazista: “Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo." Il soggetto diviene semplicemente un automa che si appella ad una colpa più grande: “non ho fatto gli opportuni controlli perché quel giorno avevo altro da fare”, “non ho messo in sicurezza la struttura perché ti pare che possa accadere una cosa simile?” Frasi di questo tipo, capite bene, possono scappare a ognuno di noi. A molti capita di non pagare il biglietto dell’autobus, tanto “ti pare che becco il controllore?” Certo, non siamo qui a paragonare una “strage annunciata” con il non pagare una corsa. Nel nostro piccolo, a volte ci allontaniamo dall’etica, certi che non si possa fare del male a nessuno. Ma immaginate questo: se tutti pagassero il biglietto, magari gli autobus non prenderebbero fuoco, magari gli operatori sarebbero più invogliati a fare gli opportuni controlli perché ci sarebbe una coscienza collettiva diversa. Sappiamo tutti distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, malgrado spesso dipenda dai punti di vista. Per rimettere l’etica sui giusti binari, dovrebbe cambiare il pensiero comune, il non lasciare nulla al caso. Anche il giornalismo, con il tempo, ha perso un po’ della sua etica. Lo scopo era quello di informare, così che ognuno si potesse fare la propria idea, ma la dignità che tendono a ledere ha dell’incredibile: titoli acchiappalike, domande insopportabili perché il tribunale online possa metterci del suo. È di pochi giorni fa la tragedia della funivia e già abbiamo scritto il futuro dell’unico sopravvissuto.

Se le tragedie potevano essere evitate, perché così non è stato? Ci si sente vittime di ingiustizie per cui che male c’è nel compiere altre ingiustizie? Tanto si parla dell’“orticello lontano da me”. Il “Ma vedi se deve capitare proprio a me” non deve esistere perché è lì che l’etica fallisce, dove pur riconoscendo lo sbaglio. lo si perpetua. E allora, perché ci mettiamo in bocca parole che non pensiamo fino in fondo? “Etica” è una parola tanto bella, ma nessuno ci pensa mai seriamente.

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