giovedì 6 aprile 2023

#Cinema&SerieTv: 7 donne e un mistero - Recensione

A Natale dello scorso anno, nelle sale italiane, era arrivato “7 donne e un mistero”, un remake diretto da Alessandro Genovesi che adesso riprende il suo iter col pubblico attraverso la piattaforma di Netflix. Lo abbiamo visto fuori stagione, ma vogliamo comunque parlarne perché non è un film che abbiamo esattamente inquadrato.

Siamo alla vigilia di Natale e, in un’antica casa nobiliare in campagna, vive una famiglia borghese: Susanna (Diana Del Bufalo) è appena tornata da Milano per le feste; sua sorella Caterina (Benedetta Porcaroli) è la ribelle della famiglia; insieme loro troviamo anche la madre (Margherita Buy); la nonna (Ornella Vanoni); la Zia Agostina (Sabrina Impacciatore) e la domestica Maria (Luisa Ranieri). La mattina del  24, quando Maria si reca nella stanza del padrone di casa per svegliarlo, lo trova privo di vita e con un coltello ben piantato sulla propria schiena. Iniziano, immediatamente, le indagini tra di loro per poter capire chi sia stato a commettere il fatto. Le accuse reciproche, infatti, evidenziano quanta poca fiducia ci sia tra i membri della famiglia. Le cose si complicano ulteriormente con l’arrivo del primo amore di Marcello: Veronica (Micaela Ramazzotti). Resesi conto che sono praticamente bloccate in casa, non possono neanche sospettare del fatto che l’assassino non sia tra di loro. Il cancello è stato bloccato, l’auto messa fuori uso e la neve impedisce l’arrivo di chiunque dalla città.

Chi, dunque, tra queste sette donne avrebbe voluto la morte di Marcello?

Come abbiamo detto fin dall’inizio, questo è un remake. È il 1958 quando il drammaturgo francese Robert Thomas scrive la pièce teatrale “Huit Femmes”. Opera nella quale otto donne restano bloccate all’interno delle mura domestiche con un cadavere al pian di sopra. Successivamente, nel 2002, arriva la prima versione cinematografica di questa storia: François Ozon ne accentua i risvolti omosessuali e sottolinea la cattiveria di queste donne. Genovesi, con l’aiuto di Lisa Nur Sultan, riprende proprio la versione cinematografica e fa confluire due personaggi in uno, senza che la storia ne risenta minimante. Ne fa, però, emergere una struttura più simile a un giallo di Aghata Christie, elemento che viene evidenziato sia dall’ambientazione che dai costumi e dalla scelta musicale. Il respiro che quest’opera ha è, dunque, quello teatrale. Il tutto, infatti, è quasi interamente svolto al piano terra di questa casa, rendendo il tutto quasi un ambiente unico. Sono poche le scene che si spostano verso l’esterno, così come quelle che avvengono in stanze diverse e sono tutte, per lo più, funzionali al mettere in mostra dei dettagli di apparente intimità tra i personaggi o per poter svelare degli elementi chiave nelle indagini.

Ciò che, infatti, si vuol evidenziare con questa storia è una tematica volutamente femminista: le donne si supportano tra di loro. Se, infatti, le battute raggiungono un tono quasi surreale nel corso della prima parte della narrazione è per cercare di porre un netto contrasto con la seconda parte. Diviso, sostanzialmente, in due atti ci si può rendere conto che nel momento delle accuse, quando tra di loro non vi è neanche un barlume di fiducia, i dialoghi sono forzati e talvolta ridicoli. Nella seconda parte, quando ci si rende conto che tra donne ci si deve supportare e le dinamiche del gruppo si fanno più intime, le parole vengono usate per accentuare sguardi e intensioni. Il momento del pranzo di Natale segna nettamente il passaggio tra le due tematiche. Da una parte, infatti, oltre al pessimo atteggiamento messo in atto da parte delle donne possiamo anche trovare un risvolto polemico e anti-borghese. 
Il pranzo di Natale segna la famelica brutalità dell’egoismo attaccato all’avidità e al soddisfacimento personale. Portata dopo portata le donne iniziano a metter a nudo la propria intimità come se, saziate del proprio appetito, allora possono riuscire ad abbattere il muro che le cementifica nella loro posizione. Allo stesso modo possiamo cogliere, attraverso lo sguardo della camera, tutta la misoginia che le une riversano sulle altre. In alcune scene si gioca con il genere, trasformando il contesto in ciò che è tipicamente riconducibile al noir, sia per colori che per gioco di luci, elementi che evidenziano i ruoli archetipici di queste donne: la moglie contro l’amante; la madre contro la figlia; la sorella innamorata platonicamente del cognato. Otto donne che ruotano intorno a un insignificante uomo che non può far altro che togliersi di mezzo.

Il tono di questa pellicola, dunque, si tinge di dramma umano e di commedia. Un alleggerimento rispetto ai toni francesi che gli fanno assumere un sapore diverso. Non sappiamo ancora bene come concretamente archiviare questa pellicola nella nostra memoria, ma di certo ci ha divertiti. Sulle righe, surreale, con toni che potremmo definire sarcastici. Sette donne che acquistano la loro indipendenza, soprattutto se è un uomo a chiedere il loro aiuto.

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