martedì 25 aprile 2023

#Libri: Alzarsi

Ormai c’è questa sorta di connessione tra noi e la Fazi Editore che ci porta a scegliere libri estremamente emotivi e toccanti. Questa è la volta di “Alzarsi”, romanzo pluripremiato di Helga Schubert.

Tra i premi più importanti troviamo l’Ingeborg-Bachmann-Preis, il più prestigioso di quelli presenti alla Giornata della letteratura tedesca. La motivazione riesce già a rendere l’idea dell’impatto sentimentale che ha da offrire il romanzo: “Helga Schubert parla di come sia possibile riconciliarsi con la vita e mostra come si possono trasformare le storie di vita in letteratura”.


Siamo soliti darvi le motivazioni per l’acquisto del libro a fine recensione, ma oggi vogliamo andare subito al sodo: se amate i racconti di vita vissuti, se amate vedere come i cambiamenti storici hanno intaccato la vita dei civili e quali possono essere le loro conseguenze anche decenni dopo, se in più amate commuovervi e cercate sempre il perdono dietro ogni rapporto genitoriale complesso… beh, questo libro fa al caso vostro. 
Possiamo considerarla una biografia a tutti gli effetti, anche se lo stile ricorda più un flusso di coscienza dove Helga racconta la sua vita, soffermandosi maggiormente sulla sua infanzia. Classe 1940, è una bambina che ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale, di cui forse ricorda poco, ed è una ragazzina, adolescente e donna che è cresciuta nella Germania dell’Est. Dalla sua nascita alla soglia dei cinquant’anni, insomma, Helga ha conosciuto solo un tipo di governo: la dittatura.

Come spesso accade a chi ricorda questo tipo di passato, però, i suoi ricordi non si soffermano tanto sulla propaganda che la faceva da padrona, quanto a ciò che ha vissuto in prima persona. Ha una sofferenza latente per non aver mai conosciuto suo padre, morto in guerra quando lei aveva appena un anno, che la porta a vivere un rapporto negativo con la madre fredda e anaffettiva.
Pagina dopo pagina ci viene da piangere assieme a lei per la mancanza di affetto provata, per una gioia di vivere che le viene incontro solo durante l’estate, quando può andare a farsi coccolare dalla nonna paterna, cercando di apprendere un po’ di più di quel padre assente suo malgrado e che spera di ritrovare in ogni figura maschile. Ma l’estate dura un battito di ciglia, poco di più la vita dei propri nonni, così Helga cresce chiedendosi il vero significato dell’amore, desiderosa di sentirlo in qualche modo.
Non demorde, né sfocia nel vittimismo. Vive la sua vita come intellettuale, spesso chiamata dall’Occidente e per questo nel mirino della Stasi (Polizia Segreta della DDR); la sua mente brillante riesce a farle tenere il piede in due staffe tra censura e voglia di libertà.
Quella libertà che viene finalmente conquistata – con molti turbamenti e intimidazioni – il 9 novembre 1989, quando i cittadini dell’Est e dell’Ovest abbattono un muro di oppressioni durato quasi trent’anni.

È come se il muro di Berlino stesso, con la sua dittatura sovietica annessa, facesse da metafora al rapporto con la madre. Helga non ha mai capito cosa avesse fatto di così catastrofico da non meritare l’amore materno, eppure se è diventata la persona forte, indipendente e coraggiosa che è, è anche merito dell’unico genitore che abbia mai avuto.

Forse la madre ha sempre avuto quell’indole, con chiunque, anche con il padre, o forse no. Forse la morte prematura del marito le ha provocato un trauma emotivo così grande da rendere impossibile provare amore per qualcun altro, persino per la propria unica figlia.
Qualunque fosse stata la causa, Helga tra razionalità, psicologia e spiritualità, cerca di capire meglio se stessa e chi l’ha cresciuta, identificandosi con lei una volta diventata a sua volta madre.
Si mortifica per non riuscire a seguire il quarto comandamento (“Onora tuo padre e tua madre”) perché proprio non riesce a sentirsi amata, e di conseguenza ad amare sua madre e in una sorta di rivelazione – sua quanto nostra – è la sua stessa pastora che le comunica quanto in realtà stia sbagliando, e che giorno dopo giorno mantiene fede a quel comandamento.
Ed è grazie a quella chiacchierata, grazie alla morte della madre centenaria e grazie all’uomo che ha accanto e che ama, se riesce a perdonare la donna che l’ha messa al mondo, rivedendo proprio come la sua stessa esistenza sia il dono più importante.

Personalmente non crediamo che la madre l’abbia davvero odiata, pensiamo che il suo comportamento fosse frutto di una società ben diversa dall’attuale dove all’affetto si doveva anteporre la pragmaticità. Non dimentichiamoci, poi, che ogni problema, conflitto interiore o dubbio doveva rimanere nascosto, perché non si poteva rischiare di essere definiti “pazzi” da chi non riusciva ancora a comprendere come l’essere umano sia fatto dei suoi alti e dei suoi bassi.

La madre di Helga l’ha tenuta con sé nonostante le molteplici scappatoie su cui poteva contare. L’ha tenuta da madre vedova e per questo lavoratrice, in una società dove la donna per poter vivere degnamente doveva per forza di cose avere un marito. E forse il rinfacciarlo, per quanto sia deleterio, è una sua conferma, una sorta di: Non vedi quanto ti amo?

Non pensiamo di aver fatto neanche uno spoiler con questo articolo, perché crediamo che “Alzarsi” debba essere letto e interiorizzato, in quanto ognuno di noi può dare alle vicende significati diversi.
Di certo quello che affascina è vedere quanta Storia sia trascorsa in una donna ancora in vita.
Nell’epoca dei social, della Pandemia e di continue guerre che potrebbero dare origine in un solo attimo a una Terza Mondiale, le parole, i ricordi e i pensieri di un’Helga Schubert sono davvero preziosi.
Potete trovare “Alzarsi” in tutte le librerie a partire da oggi.

Nessun commento:

Posta un commento