venerdì 23 ottobre 2020

#MustToRead: Piccole donne

Bistrattati, incompresi, ignorati, a volte letti per costrizione, i grandi classici della letteratura stanno lentamente scomparendo. Si allontanano sempre di più dai nostri gusti, li reputiamo come storie ormai andate, lontane nel tempo. Eppure andrebbero assaporati, letti ogni anno per cercare di apprendere quanto più possibile.

Esiste un motivo se un romanzo diventa un grande classico e solitamente va oltre il linguaggio, il modo in cui è scritto o la storia che narra. I grandi classici sono quelli che non passano mai, quelli che parlano a noi, anche se è trascorso più di un secolo da quando sono stati pubblicati. Quale migliore modo di iniziare questa nuova rubrica se non parlando di “Piccole donne”, il celeberrimo romanzo di Louisa May Alcott

 “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.”

Italo Calvino

Venne diviso inizialmente in due volumi, pubblicati in America nel 1868 e nel 1869. Nel 1880 furono uniti in un unico, dal nome “Little Women”. In Italia venne tradotto nel 1908 e assieme ad altri paesi europei, si preferì lasciare la divisione in due volumi.

Ambientato durante la guerra di secessione americana, (1861-1865) il manoscritto di Louisa May Alcott colpisce da subito il pubblico giovanile per il linguaggio schietto e semplice, comune nei ragazzi dell’epoca. Non è solo la storia di quattro sorelle: Meg, Jo, Beth e Amy (sempre chiamate rigorosamente con i loro soprannomi) ma è la storia di crescita, di come non dobbiamo rimanere ancorati ai nostri difetti.

Le quattro piccole donne vengono cresciute dai genitori Robert e Margaret March come donne indipendenti, sagge e libere. La loro realizzazione non è finalizzata al matrimonio, ma a ciò che vogliono fare nella vita. Il percorso non è sgombro da difficoltà, anzi. La madre ricorda sempre alle figlie che sono i nostri difetti a ostacolarci e, proprio come succede con i fardelli, alcuni vanno portati con pazienza, altri devono essere lasciati andare nel momento in cui non ci servono più. Solo alleggerando il carico sulle nostre spalle, possiamo andare avanti con facilità.

Le quattro sorelle non rimangono  dei personaggi di fantasia, lontani anni luce dal nostro modo di pensare o essere. Sono vive perché rispecchiano i nostri limiti, le nostre mancanze e ci danno la voglia di continuare nonostante le avversità. Le vicende sembrano essere state scritte per ogni epoca, proprio perché le sorelle March raffigurano i tipi di carattere più comuni. Ognuno di noi, leggendo il romanzo fin dall’infanzia, può ritrovarsi in una di loro e affrontare il proprio destino più o meno allo stesso modo.

“Per realizzare un sogno, una persona deve superare tante prove”

C’è chi rimane ancorato al passato come Meg, e da Meg impara a prendere il buono da ogni situazione per viverla a proprio vantaggio. È inutile recriminare per qualcosa che non si ha più, il cambiamento va sfruttato per raccogliere comunque del buono. Jo insegna che un carattere ribelle può essere messo a freno, perché la schiettezza e l’impulsività fanno del male più a noi stessi che agli altri. Con Beth impariamo ad aprirci all'esterno, a non rimanere nella nostra comfort zone. Procedere con passo sicuro anche fuori dal cancello di casa non è poi così spaventoso come poteva sembrarci. Finché non si prova, non si sa. Amy ci mostra che tutto è possibile, se si è caparbi e costanti con il lavoro su noi stessi. Ottenere ciò che si visualizza è complicato, ma porta una soddisfazione maggiore.

Non mancano di certo i personaggi maschili, ben rappresentati anche loro, al pari delle donne, anche se quest’ultime rimangono le protagoniste indiscusse. Tra tutti troviamo Laurence, nipote del vicino di casa dei March. Vive a casa del nonno dopo aver perso i genitori, e se all’inizio ha un carattere timido e chiuso, ben presto fa amicizia con Jo, diventando compagno di giochi delle sorelle. È grazie alla loro influenza, e a quella della madre, se torna sempre sulla retta via quando a volte sbanda. Le ama immensamente, e attraverso i suoi occhi notiamo tutte le sfumature dell’amore: le ama come amiche, come sorelle e come compagne di vita.

“L’affetto bandisce il timore e la gratitudine può debellare l’orgoglio”

La grande forza di questo romanzo sta nella semina che la Alcott dona ai suoi lettori. Chi legge il romanzo almeno una volta all’anno si ritrova a risolvere con maggiore facilità i propri problemi; anche se senza internet o la nostra tecnologia, i dilemmi dei ragazzi ottocenteschi non sono poi così diversi da quelli di oggi: scuola, prese in giro, giudizi, cattive compagnie, gelosie, invidie... “Piccole donne” è una sorta di guida alla sopravvivenza nella società, di qualsiasi secolo.

I semi che Louisa ci ha donato crescono in noi giorno dopo giorno e sbocciano perché lei per prima li ha fatti crescere e maturare sotto la guida del padre: l’educatore, l’insegnante e il filosofo Amos Alcott. Era vicino alla filosofia trascendentale ed era sicuramente molto avanti mentalmente rispetto all’epoca in cui si trovava. Era un fermo sostenitore del diritto di voto per le donne e dell’abolizione della schiavitù, -la domestica Hannah viene vista dai March come parte integrante della famiglia-.

Aprì diverse scuole sperimentali, dove alla base c’era il suo sistema educativo, già testato con le sue quattro figlie. Pensava che l’istruzione dovesse essere un’esperienza piacevole, quindi incluse educazione fisica, danza, arte e musica tra le materie. Tutto ciò lo rivediamo in Robert che insegna l’alfabeto ai suoi nipoti con il corpo, nella passione di Jo per la scrittura, di Beth per la musica e di Amy per la pittura.

Il nuovo metodo di insegnamento non piacque molto all’epoca –fa strano, se pensiamo che adesso è la normalità- e per questo gli Alcott dovettero fare i conti con la povertà. Come ci insegna Louisa, però, non bisogna abbattersi per ciò che non si ha, bensì bisogna fare del proprio meglio con ciò che si ha. Così nel 1879, Amos costruì, sul retro della propria casa, la Scuola di Filosofia che divenne ben presto sede di incontri intellettuali.

La Alcott mette nero su bianco una lezione non da poco, e se ci fermiamo a ragionare, comprendiamo che solo dopo centocinquantadue anni dalla sua pubblicazione, vediamo una società che riflette più o meno gli ideali dei March.    
 

Ecco perché leggere è fondamentale: ogni romanzo custodisce un insegnamento. Lo apprendiamo a ogni rigo, a ogni pagina girata e a un nuovo capitolo. Quando finiamo un libro, siamo sempre più grandi e ricchi.

“Un classico è uno specchio essenziale: riflette l’anima di tutti i tempi che attraversa.”

Nunzio La Fauci

Rileggere “Piccole donne” nel 2020 può farci comprendere cosa dobbiamo abbandonare di noi stessi per raggiungere i nostri obiettivi, nonostante gli impedimenti o i condizionamenti con cui siamo nati.

In una società che non offre opportunità, dobbiamo cercare di creare con ciò che abbiamo in mano. La mancanza di denaro, l'assenza di amicizie influenti nella società, non dovrebbero scoraggiarci se non hanno mai intaccato gli Alcott o i March.

Tutto è possibile, se abbiamo la forza di voler cambiare il nostro stato mentale.

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