martedì 20 ottobre 2020

#Pensieri: Museu Coleção Berardo e l'arte contemporanea


Un giorno ero a Roma, il giorno dopo ero in Portogallo; ho la fortuna di avere una zia che ama viaggiare e che mi porta con lei quando possibile.
Il tempo passato a Lisbona è stato un po' limitato, ma mi conosco e certamente non potevo farmi scappare questo museo.
Situato a Belém, a pochi passi dalla Torre de Belém, il Padrão dos Descobrimentos, il monastero dos Jerónimos e dal MAAT, il museo Berardo è stato inaugurato nel 2007, ed oggi viene considerato il museo di arte Contemporanea e Moderna più importante del paese.
Non mentirò: non ho mai considerato l'arte Contemporanea e Moderna due dei miei movimenti preferiti ma anzi, in realtà l'ho sempre largamente "snobbate" e, per un momento della mia vita, addirittura disprezzate.
Almeno fino al momento in cui non ho visitato questo museo.

In realtà l'ultima volta che sono stata a un museo di arte moderna è stata nell'agosto del 2016 al MoMA di New York, e sarà stata colpa del fatto che avevo sedici anni ed ero incredibilmente chiusa di mente, o sarà stata colpa del mio scarso interesse per l'arte che avevo in quel periodo, ma nemmeno davanti a "Notte stellata" di Van Gogh e nemmeno davanti a opere di artisti come Matisse, Hopper, Miró e Picasso mi sono riuscita a smuovere.
A pensarci oggi, mi viene da mangiarmi le mani per la mia stupidità, e per non aver capito la fortuna che avevo nel trovarmi in un museo, scrigno di così tante meraviglie.

Questa volta, invece, sono entrata al Museo Berardo con una mentalità decisamente più aperta e sicuramente una dose di maturità nettamente maggiore rispetto a quattro anni fa, anche se non completamente senza pregiudizi.

"Perché vuoi andare a quel museo se non ti piace l'arte moderna?", è stata la domanda più che lecita di mia zia a cui ho potuto rispondere solo con: "ci voglio riprovare, alla fine l'ho sempre bistrattata, non dandogli mai veramente una possibilità".

Che dire, menomale che gli ho dato un'altra possibilità.

Sabro, Franz Kline, 1956.
Ho scoperto di essere una persona capace di trovare la bellezza davanti a opere come "Concetto spaziale. Attesa" di Lucio Fontana, "Sabro" di Franz Kline e tanti altri quadri quasi sempre ignorati o guardati con sguardo diffidente, perché raramente si riesce o se ne vuole cogliere il significato.

È stato bello camminare divertita tra i quadri colorati di Mimmo Rotella, Joan Mitchell, Peter Saul e Robert Indiana e una volta scesa al piano -1, nella parte del museo dedicata a Julian Opie sono rimasta letteralmente a bocca aperta.
Non so come spiegarlo, ma non sapevo letteralmente più dove guardare.
Le figure stilizzate di Opie, con i loro colori e le loro linee non si limitano solo ad essere appese ai muri, come delle normali opere d'arte, ma si possono trovare su enormi cubi, su tutto un muro (che si alza per otto metri), o addirittura appese al soffitto.

La mia visita al è durata poco più di due ore, ma il tempo lì dentro è sembrato passare così velocemente che quando mi sono resa conto del tempo che era passato quasi non ci credevo, e quando è arrivato il momento di tornare nell'ostello in cui avrei dormito quella sera, per quanto stanca, ho pensato che mi sarei fatta senza problemi un altro giro lì dentro, e magari passarci anche un altro paio d'ore.
Julian Opie
Che dire, le seconde possibilità sono una cosa meravigliosa, e spero che anche voi, nel momento in cui vorrete dare una seconda possibilità a qualcosa, non vi facciate fermare da niente e deciderete di provare di nuovo e cambiare idea.





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