martedì 30 agosto 2022

#Musica: Dargen D'amico - Lorenzo De Medici

“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.”

(Lorenzo De Medici)

Torniamo a parlare di Dargen D’Amico, un artista particolare che ha da sempre sperimentato con il rap attraverso le sue produzioni insolite. Dell'artista in questione abbiamo già analizzato “Dove si balla”, ma oggi analizzeremo “Lorenzo De Medici”, brano inserito nell’album “Vivere aiuta a non morire” del 2013.

Questa, secondo noi, è la canzone che più rispecchia il titolo dell’album, attraverso un edonismo che ribalta i concetti di “vita” e “morte”. Una preghiera dal cielo alla terra, o forse un’esaltazione dell’ultra-terra, intesa come un nuovo Eden nella sua dimensione fisica.
 
In questo brano, Dargen tratta la morte con leggerezza ma non con superficialità. L’artista ammaestra l’ignoto attraverso l’arte, è capace di creare tranquillità laddove è presente irrequietezza. Dargen compie proprio questo atto, trascinando la morte nel sensibile e nel sensuale. Il paradiso, infatti, viene immaginato non come la realtà dello spirito libero dai bisogni terreni, bensì come un luogo dove tutte le necessità umane possono trovare la loro soddisfazione.

La morte viene presentata come un’esperienza umana e terrena, come esperienza limite che non mette fine all’esistenza, ma che permette di esistere al di là delle miserie del mondo.

Nessun bisogno di denaro, nessun bisogno di lavorare. Nessun limite imposto, ma un corpo che non invecchia e che è libero di dispiegare le sue volontà.

Verso la fine del brano viene citata un’opera di Samuel Beckett, probabilmente messa non come mero sfoggio culturale, ma per una ragione legata al significato della canzone.

L’opera in questione è “Aspettando Godot”, e tratta di due individui che per tutto il tempo della recita aspettano l’avvento di un signore.

Contestualizzata all’interno della canzone, la citazione all’opera di Beckett potrebbe anche ricalcare il significato della morte immaginata da Dargen. Una morte che colma lo scarto di senso e significato presente nella vita (vista nell’opera di Beckett come “attesa” inconcludente).

Sei al mio funerale: salta, ridi! Che a piangere si piange già abbastanza da vivi.

Ma anche una morte dalle caratteristiche pienamente umane, una morte che ci fa comprendere come la vita e la vitalità umana siano elementi comunque centrali da far propri dell’esistenza di ognuno di noi. 

Ed è qui che si risolve l’apparente tautologia del titolo dell’album “Vivere aiuta a non morire”: Non esiste la morte nell’orizzonte di chi impara a vivere la vita a pieno, godendo di ciò che offre il presente senza le incombenze del passato e del futuro (in cui è inclusa la dipartita). 

La commistione tra vita e morte è una caratteristica di diverse opere d’arte (un ulteriore esempio potete trovarlo qui). Questa canzone riempie la morte di vita, ma allo stesso tempo compie un’operazione di significazione della vita attraverso la morte.


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