lunedì 30 gennaio 2023

#Cinema&SerieTv: L'estate in cui imparammo a volare

Nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo siamo giunti alla fine della prima stagione e credeteci, non vediamo l’ora di avere la nostra ora libera per vedere subito la prima puntata della seconda!

L’estate in cui imparammo a volare” – titolo originale: “Firefly Lane” – è una serie tv statunitense, del 2021 disponibile su Netflix.
L’ideatore è Maggie Friedman; ogni puntata dura circa cinquanta, sessanta minuti ma vi garantiamo che rimarrete incollati allo schermo. 

Il tutto si muove su tre linee temporali: passato, presente e futuro. Il presente, però, non è dei nostri giorni, ci troviamo infatti nel 2003.

Tully (l’adolescente interpretata da Ali Skovbye, mentre l’adulta da Katherine Heigl) e Kate (l’adolescente interpretata da Roan Curtis, l’adulta da Sarah Chalike) sono amiche fin dalle scuole medie, anche se vengono da due famiglie opposte.
Kate è la classica ragazzina bionda, cresciuta con i genitori e il fratello Sean (l’adolescente interpretato da Quinn Lord, l’adulto da Jason McKinnon) in quella che sembra essere una tipica famiglia americana: il padre Bud (Paul McGillion) lavora a una fabbrica che prepara pezzi per la Nasa, la madre Margie (Chelah Horsdal) è casalinga. Tully, invece, per i primi sei anni è cresciuta dalla nonna, per poi trasferirsi definitivamente con la madre hippie Nuvola (Beau Garrett).
Le due diventano subito amiche e decidono che lo saranno per sempre condividendo gioie e dolori dell’adolescenza, ma anche un futuro insieme: Tully vuole diventare giornalista, Kate produttrice e scrittrice televisiva.
Vivono in simbiosi, vanno allo stesso college e stanno insieme anche al loro primo lavoro su un’emittente locale. Lì conoscono il produttore Johnny Ryan (Ben Lawson) che nel corso del tempo diventerà il marito di Kate.

Le vediamo ragazzine negli anni Settanta, dove devono combattere con un ruolo di giovani donne che non possono dire la loro in una società molto più maschilista rispetto a ora.
Durante i loro vent’anni stiamo negli anni Ottanta, ad affrontare il mondo come le donne in carriera che vogliono essere.
Nonostante le loro aspettative, però, il presente (il 2003, appunto) non è come loro se lo aspettavano: sono rimaste migliori amiche, sì, ma Tully, nonostante un programma televisivo tutto suo (“L’ora delle amiche”) è circondata dalla solitudine e Kate deve affrontare il divorzio da Johnny e una figlia adolescente, Marah, (Yael Yuman) che non riesce a gestire la sua rabbia, proprio come ogni adolescente.

Dopo aver parlato della trama, andiamo a vedere perché ci ha colpito così tanto.

Siamo amanti dei flashback, crediamo che diano più senso alla storia e riescono a essere un mezzo fondamentale – se fatti bene – per comprendere meglio la psicologia dei personaggi. È grazie a questa tecnica se vediamo nel rapporto tra Tully e Kate una vera e profonda amicizia.
Tully ha sempre fatto da madre a sua madre, che non l’ha mai saputa apprezzare, probabilmente perché sempre sotto l’uso di droghe. A Kate viene naturale prendersi cura degli altri, ha un carattere estremamente materno a ha trovato in Tully una specie di sorella da poter accudire.
D’altro canto Kate è timida, ingenua, la classica nerd che viene presa di mira dalle sue ex amiche quando queste sono diventate le fighe della scuola. In Tully ha trovato una vera e propria sostenitrice, un’amica che la sprona a migliorarsi e che la lascia brillare di luce propria, facendo leva su quelli che sono i suoi talenti non troppo nascosti.

I ragazzi passano, così come gli anni di scuola e i vari lavori. Tutto muta ed è in continuo cambiamento, le due comprendono fin da subito che neanche i loro genitori sono questo grande esempio di virtù e per poter crescere salde hanno bisogno di mettere le radici l’una per l’altra.
Ci sono sempre, spesso anche senza dover parlare o chiederlo, ma il loro rapporto non è tossico, non c’è del soffocamento o i classici ricatti emotivi in cui, purtroppo, si può sfociare quando è presente un legame profondo.
Kate e Tully si lasciano libere, pur rimanendo sempre vicine.

Eppure qualcosa deve aver disturbato questa quiete, perché nella linea temporale del futuro le troviamo sole, ma su questo non diremo altro per non fare spoiler.

Attraversando gli anni Settanta, Ottanta, Novanta e i primi del Duemila, notiamo quarant’anni di cambiamenti anche all’interno della società: la donna deve decidere se dedicarsi alla carriera o alla famiglia (non che questo sia cambiato più di tanto, purtroppo), gli uomini non si interessano di tutto ciò che è casalingo, le donne sono premiate solo se di bell’aspetto e disponibili verso i loro superiori… Certo, ora tutto ciò ci fa giustamente indignare, abbiamo il coraggio di denunciare e tirare fuori gli artigli, ma all’epoca la donna era sotto la vera e propria manipolazione misogina che faceva credere loro che senza un uomo non poteva fare nulla.
Ecco che capendo il contesto culturale dei ruggenti anni Ottanta, vediamo quanto Tully sia stata forte e determinata, vediamo il perché il suo lavoro per lei conti tanto e capiamo che a lungo andare di forza solitaria, è normale cedere.

Il rapporto genitori-figli attraversa tre generazioni ed è sorprendente vedere come sia cambiato.     
Kate è cresciuta con due genitori che le hanno sempre omesso la verità, ma che dopotutto non le hanno fatto mancare niente sia economicamente che emotivamente. Kate è “l’orsacchiotta” della famiglia, la figlia sempre brava e perfetta. Chi soffre, dentro le mura domestiche, è Sean: il primogenito che non può esprimere ciò che davvero è per non deludere le aspettative della famiglia.
Allo stesso tempo Kate, diventata madre, è abbastanza matura da comprendere che non può replicare gli stessi errori dei genitori e che un figlio non è l’estensione del proprio sé, ma una persona e come tale è unica al mondo. Anche se con un’adolescente è complicato parlare, lei è sempre presente per Marah e piuttosto che sgridarla o minacciarla dopo i suoi atteggiamenti ribelli, preferisce optare per il dialogo e la comprensione, cercando di non nasconderle nulla.

È estremamente piacevole passare del tempo in compagnia de “L’estate in cui imparammo a volare”, soprattutto se, come noi, amate seguire le storie di vita alla “This is us”. Non vi neghiamo, infatti, che spesso abbiamo pensato: “Però, sarebbe figo vedere tutta la mia vita in una serie tv”.
Anche perché, dopotutto, i momenti di dolore sono fondamentali nella vita e ci portano a essere chi siamo. Rivederci e notare i miglioramenti fatti, non sarebbe male.
Però è questo a che servono le serie tv ben fatte: a immedesimarci nei personaggi. Poi, se come noi siete dei Millenials, non è neanche male ritrovare un po’ del nostro passato perduto.

E cavoli, quanto vorremmo di nuovo le lucine natalizie stile anni Ottanta!

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