martedì 3 gennaio 2023

#Personaggi: Lia Levi

Stamattina abbiamo pubblicato un articolo dedicato alle emozioni che abbiamo vissuto durante la lettura di “Una bambina e basta”, di Lia Levi. Oggi vogliamo parlarvi proprio della sua vita, che effettivamente era per lo più sconosciuta anche a noi.

Lia Levi nasce a Pisa il 9 novembre 1931. La famiglia, di origini piemontesi, si trasferisce di nuovo nella regione di appartenenza quando Lia è ancora piccola, prima ad Alessandria e poi a Torino. Al nucleo famigliare si aggiungono presto altre due sorelle, e la vita di Lia trascorre serena e senza problemi fino all’avvento delle leggi razziali in Italia: i Levi, infatti, sono di fede ebraica e in poco tempo il datore di lavoro del padre è costretto a licenziarlo, seppur a malincuore.

Nello stesso periodo per Lia è impossibile continuare a frequentare la scuola pubblica, per questo inizia gli studi a quella ebraica, ma neppure il tempo di ambientarsi che la famiglia si trasferisce a Milano per il nuovo lavoro del padre. Nel capoluogo lombardo trascorreranno poco tempo, perché Roma chiama i Levi, che si stabiliranno nell’allora nuovo quartiere di Monteverde.

Lia è una bambina estremamente timida, che va molto bene a scuola, soprattutto nelle materie letterarie. Purtroppo, però, il suo carattere chiuso non riesce a farla spiccare come dovrebbe. Questo non la ferma da avere compagni di gioco e in fin dei conti anche a Roma conduce una vita uguale a quella delle bambine della sua età.

Nel 1943 i tedeschi occupano l’Italia e la famiglia Levi, che ha già perso una parente scappata in Francia anni prima, è costretta a separarsi: il padre si nasconde presso una locanda a Piazza Fiume, la madre e le bambine in un convento e collegio delle suore di San Giuseppe di Chambéry, nell’allora campagna romana.
Lia e la sua famiglia non sono le uniche ebree che le suore hanno preso a cuore e nascondono, quindi la sua fede ebraica continua a essere professata, anche se la vicinanza al cattolicesimo fa vacillare la ragazzina, che pensa di convertirsi, seppur ostacolata dalla madre.
L’idea di un Dio buono e amorevole la tranquillizza, soprattutto da quando all’edificio accanto si sono trasferiti dei soldati tedeschi che le ragazze cattoliche più grandi non esitano a frequentare. La Levi, abituata a un Dio vendicativo, che punisce ogni errore, vive costantemente con l’ansia che le altre facciano la spia e a nulla servono i vari tentativi delle suore di distrarla, anche con recite natalizie dove sogna di interpretare la Madonna.

Con l’arrivo degli americani e la lenta e agognata liberazione, il clima si rasserena. Ben presto la famiglia Levi può riunirsi, ma anche se si è totalmente scrollata di dosso la fame, il freddo e la paura di venire scoperta, Lia porterà per sempre nel cuore il collegio che l’ha tenuta nascosta e salvata.

Tornata alla vita di sempre, Lia riprende a frequentare la scuola pubblica e lo fa iscrivendosi al liceo classico Virgilio. Anche se – o forse dovremmo dire proprio perché – ha vissuto in prima persona il dramma della Seconda Guerra Mondiale, Lia non si sente ancora pronta a riprendere i contatti con la sua comunità ebraica, almeno fino agli anni Cinquanta, quando iscritta alla facoltà di filosofia all’Università, frequenta il Centro Giovanile Ebraico di via Balbo, dove inizia a collaborare alla redazione di un bollettino.
Durante l’estate, invece, è incaricata di seguire i bambini nella colonia OSE (Organizzazione Sanitaria Ebraica) di Riccione. È proprio grazie a tutte queste esperienze che Lia torna con entusiasmo alla sua fede.

Nel corso del tempo inizia a lavorare – quasi sempre gratuitamente – al settimanale “Israel” di Carlo Alberto Viterbo. Nello stesso tempo collabora anche con “La voce della comunità”, dove ne diventa direttrice e nel 1967 si unisce al mensile “Shalom”, sempre sotto la sua direzione.
La rivista diviene in breve tempo il maggior mezzo di comunicazione per le comunità ebraiche di tutta Italia.

Si sposa con il giornalista e scrittore Luciano Tas che con lei condivide l’attivismo giornalistico e la sostiene nella scrittura di brevi racconti. Lia inizia anche con la scrittura di sceneggiati radiofonici da quaranta puntate ciascuno, ma più passa il tempo e più in Lia la ferita provocata dal nascondere la sua identità in età infantile prende piede.

È il 1994 quando sente di dover mettere per iscritto quella che è stata la sua vita, nasce così la stesura di “Una bambina e basta” – a oggi con venti ristampe – che vince nello stesso anno il Premio Elsa Morante come opera prima. Questo non solo la aiuta a guarirla emotivamente, ma le apre anche le porte della narrativa per ragazzi.

Sono veramente tante le opere della Levi, che abbiamo deciso di citare solo quelle premiate.

Nel 2001 vince il Premio Grinzane Cavour, nella sezione saggistica per “Che cos’è l’antisemitismo?”.
Nel 2005 vince il Premio Andersen libro dell’anno per “La portinaia Apollonia”.
Nel 2008 vince il Premio Rodari per “Un cuore da Leone”.
Nel 2010 vince il Premio Via Po per “La sposa gentile”.
Nel 2011 vince il Premio Moravia per “L’albergo della magnolia”.
Nel 2012 vince il Premio Pardès per la letteratura ebraica 2012.
Nel 2015 vince il Premio Rapallo per “Il braccialetto”.
Nel 2018 vince il Premio Strega Giovani per “Questa sera è già domani”.

La scrittura della Levi sembra essere di getto, ed è proprio per questo che riesce a tenere incollati i lettori. Seppur carente di descrizioni dettagliate, sa come far arrivare al lettore le emozioni fondamentali, perciò leggendo si ha la vera e propria impressione di guardare uno schermo.

Noi siamo certi che arricchiremo la nostra libreria con altri dei suoi titoli, e voi?


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