martedì 27 giugno 2023

#Racconti: 1885

I mesi passano, i sentimenti cambiano, si increspano, si solidificano. Nessuna certezza, se non quella che dopo il caffè versato tutto cambia per tornare indietro, ai tempi che furono. È il presente che torna passato, o il passato che si fa presente? E mentre si disquisisce sulle tempistiche giuste da utilizzare, il futuro che è già presente attende paziente la nuova metafora, le nuove immagini, i nuovi modi per captare problemi inconsci. E finalmente vengono proiettati nella giostra visibile della vita.

Non è obbligatorio, ma è consigliabile recuperare 1883 e 1884

Il tuono sconquassa l’ozioso pomeriggio di una primavera mai iniziata ma che sta per finire. Erf sbuffa stiracchiandosi quanto più possibile, il corpetto ultimamente le preme maggiormente sul petto, forse è in quei giorni lì.
«Che strazio. So che non dovrei lamentarmi, che il tempo non può controllarlo l’uomo, ma non sto esagerando se mi sembra quasi che Dio mi voglia punire per un peccato non ancora commesso privandomi della gioia dell’estate.»
«Non penso che la tua vita sia così importante al punto da sconvolgere l’intero meteo per voi neoitaliani.» risponde atonica Idaa. Non ha voglia di seguire le lamentele della sua amica, ora ha altro per la testa e quando è nell’umore acidulo si distacca dalla nazione che l’ha privata dei titoli.
«Che ridere, in effetti è il 1885 e fino all’altro ieri voialtri eravate borbonici. Comunque mi trovi in disaccordo, lo sai. Amo questo abito color vinaccia con il petto e il collo ben coperti dal pizzo bianco, quindi lungi da me lamentarmi della temperatura fresca che ancora mi consente di indossarlo. Ma, e qui c’è il grande ma, amo anche sedermi all’ombra di un albero, mentre leggo un nuovo romanzo assuefatta dai profumi del gelsomino e delle rose…» Erf ha lo sguardo e il tono sognanti. «anche se questo mi costa vestirmi con l’abito color pesca dalla scollatura succinta. Sappiamo che non posso provocare così tanto il can che dorme, soprattutto se lo distolgo dalla sua vita.»
Erf sta parlando della sua ennesima cotta, che inspiegabilmente sta durando più a lungo rispetto alle altre: addirittura sette mesi, ed è un notevole record per la ragazza dalle facili emozioni. L’uomo in questione, però, è più dedito al suo lavoro che lo impegna per gran parte della giornata. A parte qualche sguardo lascivo che ha oggettivamente portato il fortunato a più di una notevole fantasticheria poi, non nutre un particolare interesse a trovare moglie.
«Abbiamo letto d’Annunzio insieme, sai? Vorrà dire pur qualcosa.»
All’ennesima pausa di silenzio dell’amica, Erf si volta verso Idaa.
«Ho il dubbio che tu non mi stia più ascoltando. Non ti interessano le mie turbe d’amore solo perché la persona in questione ha un lavoro che non ti soddisfa? Lo preferivi fornaio, di’ la verità. Guarda che anche il suo lavoro è rispettabile lo stesso. E poi questa cosa della psicologia andrà avanti, sai? Sentiamo che a breve nascerà una vera e propria scienza a riguardo e insomma! Perché non mi stai ascoltando? Dovrebbero inventare degli aggeggi elettronici che registrano la voce, così io potrei parlarti per venti minuti e tu potresti ascoltarmi quando deciderai che ne valgo la pena.»
«Hai ragione, scusami. È solo che…»

Idaa è interrotta dalla porta del salottino che si apre, è LucaGian, con una valigia in mano.

«Allora, credo sia arrivato il momento di dirci addio.» al solito, si arriccia i baffi non più curati come gli ultimi anni.
Erf alza le spalle. «Tanto non ci cambia molto. Mi dispiace solo che ritroverai una Sicilia non più borbonica.»
«Già, questo è oggettivamente motivo di disappunto. Sai, Erf, speravo tanto nella tua incoronazione al trono…»
«Stai sprecando il tuo fiato, LucaGian. Il Regno delle due Sicilie non ha mai fatto per me e lo sai.»
«Hai sempre preferito lo Stato Pontificio…» sussurra affranto.
«Non dire assurdità. Se devo sedere su un trono sarà nel nome di Roma, come una nuova imperatrice.»
«Spero tu possa prendere esempio da Vittoria.»
«Le scrivo settimanalmente, è una buona ispiratrice.»
Idaa si irrigidisce, sente che è arrivato il momento dei saluti anche per lei.
«Idaa» LucaGian sospira, non sa come dirle addio. «Immagino che con te potrò vedermi nei mesi in cui tornerai a controllare i tuoi appezzamenti.»
«Immagini male.»
«Un po’ me lo aspettavo, devo essere onesto.»
Il silenzio cala sul salottino, l’unico rumore è la pioggia scrosciante che ha cominciato a cadere incontrollabile. I chicchi di grandine battono sui vetri delle finestre, così Erf si alza a chiudere le imposte, per non rischiare di rompere i vetri, oltre che i cuori dei tre.
«Certo che non ci sono più le mezze stagioni.» sospira dando le spalle a LucaGian mentre un brivido la percorre lungo le sue braccia e la sua schiena.
No, non è per il freddo e il vento che soffia muovendo gli alberi come in una danza tribale. Si volta e vede Idaa che ha legato a una sedia LucaGian e si chiede da dove abbia preso la corda e dove abbia imparato a essere così agile. Il Regno delle due Sicilie deve aver avuto strani insegnanti.

«Ora da questa stanza non se ne andrà più nessuno». Idaa parla fissando lo sguardo assente e apatico di LucaGian e questo le dà solo più voglia di ucciderlo. Erf si siede sul divanetto.

«Idaa, se hai voglia di andare a Tellopoggio, basta dirlo. Faccio preparare la carrozza e in sole sei, sette ore staremo lì.»
«Sì. Mi piacerebbe farlo sembrare un incidente. Un momento stiamo passeggiando e il momento dopo: ‘Uh, ma dov’è LucaGian? Chissà chissà. Potrebbe essere caduto nel dirupo, o potrebbe essere diventato la cena di un orso. Come possiamo saperlo, noi siamo solo delle donne spaventate’. Vero?» Idaa sorride a LucaGian, che rimane in silenzio, forse solo scocciato che il tutto stia durando così tanto. «Ma poi penso: chi mai si dannerebbe l’anima per te, eh? Chi ti verrebbe a cercare? I tuoi genitori che hai deluso non contribuendo a dargli un erede?»
«Ti avevo detto che potevi sposarmi, così avremmo coronato il nostro sogno di vivere infastidendo il prossimo.»
«Già. Ma sei troppo pigro anche solo per dare i soldi di un matrimonio in pompa magna. E poi sei l’unico di noi che non compare nell’araldica. Non ti fai un po’ schifo?»
«Veramente discendo da Eleonora d’Aragona.»
Erf sorride. Anche la sua parte siciliana discendente dall’Aragona, così come quella di Idaa. Si è sempre chiesta come sia possibile che ogni abitante siculo discendi dalla stessa donna. Ma non può seguire il filo dei suoi pensieri perché Idaa schiocca uno schiaffo a LucaGian, la cui guancia si arrossa e si gonfia.
«Sono stata campionessa borbonica di lanci di schiaffi, sai? So come farti male e non ho paura di fartene.»
“Hanno davvero modi affascinanti di dilettarsi giù in Sicilia.”, pensa Erf.
Idaa stringe i capelli di LucaGian che non emette neanche un sussulto. Quando glieli tira, la donna capisce il perché: è un parrucchino.
«C’era da aspettarselo.»

Idaa passeggia lungo il salotto, nonostante la pioggia battente, sentono la carrozza di LucaGian andarsene via. «Guarda, nessuno ti aspetta per più di due minuti.» Idaa ride istericamente. Poi tira fuori dalla tasca della gonna un coltellino ed Erf pensa che sia un gesto davvero poco femminile il suo.

«Sto pensando a mille modi per ucciderti, ma tutto questo mi dà fastidio, mi fa arrabbiare, mi dà l’urto, e sai perché? Perché ti farei solo un favore a mettere fine alla tua vita. Tu hai bisogno di soffrire, ma soffrire per bene.» Erf giura di aver visto brillare il sorriso di Idaa.
«Erf, vedi quella scatola sul tavolino? Prendila, ma con delicatezza.» Idaa passa la lama fredda sulla guancia di LucaGian il quale sente aumentare i battiti cardiaci ma inspiegabilmente prova piacere.
Erf passa l’oggetto all’amica che la mette sulle gambe della vittima sacrificale, aprendola. Un ragno nero e pelosetto esce pigramente, sgranchia le sue zampette e cammina circospetto sulle cosce di LucaGian.
«No, ti prego, no. Tutto, fammi di tutto, ma il ragno no. L’ultima volta ho provocato un terribile incidente.»
Idaa ride rumorosamente. «Questo è solo l’inizio.» si avvicina alla guancia sinistra del ragazzo e la lecca, per poi morderla fino a mangiarsene un pezzo.
«Ora mi appartieni. Sei la mia marionetta. Benvenuto al tuo inferno, LucaGian. Sarà interminabile, come un conto che non arriva.»

Finito l’effetto del caffè i tre ragazzi si guardano, arresi all’evidenza.

«Abbiamo un problema.»
«Lo so, ma non è colpa mia se Oscar è così sexy».

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