mercoledì 14 giugno 2023

#TheBeatles: Across the Universe

Dopo aver analizzato canzoni “semplici” dei Beatles, ci sembra il caso di alzare l’asticella e tornare a ciò che più ci piace: la via difficile. Abbiamo scelto la canzone alla quale siamo più legati; sarà perché è la sigla di Apollo Station, il nostro programma su RadioSapienza (che potete seguire su Twitch o YouTube), sarà perché amiamo il film e musical omonimo del 2007 con protagonisti Jim Sturgess ed Evan Rachel Wood, sarà semplicemente che amiamo i testi introspettivi e criptici di John Lennon… la verità è che non ci interessa sapere la ragione che ci ha portati, oggi, ad analizzare “Across the Universe”, dei Beatles.

Il brano viene pubblicato per la prima volta nell’album “No One’s Gonna Change Our World” al quale parteciparono molti artisti dell’epoca; uscito nel dicembre 1969, aveva lo scopo di fare una raccolta di beneficenza.
La seconda pubblicazione è del maggio 1970, con la band ormai sciolta, per il loro ultimo album: “Let it be”.

Piccola curiosità: “Across the Universe” è l’unica canzone che l’essere umano ha trasmesso per l’Universo. Ancora adesso viaggia tra le costellazioni, chissà che qualche vita in qualche altra galassia non abbia la fortuna di ascoltarla.
 
 
Words are flowing out like endless rain into a paper cup
(Le parole scorrono fuori come una pioggia infinita in una tazza di carta)
they slither wildly as they slip away across the universe.
(strisciano selvaggiamente mentre scivolano via attraverso l’universo.)
Pools of sorrow, waves of joy are drifting through my opened mind
(Pozze di dolore, onde di gioie sono alla deriva attraverso la mia mente aperta)
possessing and caressing me.
(mi posseggono e mi accarezzano.)

Jai guru deva, om

Nothing's gonna change my world.
(Nulla cambierà il mio mondo.)

Come avete potuto vedere, non abbiamo voluto tradurre “Jai guru deva om”, perché per questo serve una piccola spiegazione.     
La frase è in sanscrito e significa: “Grazie ti saluto maestro divino” con l’aggiunta del suono Om che nell’induismo è una sillaba sacra, da mantra, solitamente posto all’inizio e alla fine di una preghiera o della lettura dei Veda. Possiamo definirlo quasi come un’affermazione di quanto si sta dicendo o chiedendo, e forse qui serve per concentrare meglio la nostra mente nelle immagini che ci vengono date, visto che nella canzone viene ripetuto almeno per dieci volte.


Andiamo ad analizzare il testo senza scadere nel banale, pensandolo solo come un trip da LSD.
Il primo verso arriva a John dopo una lite con la sua prima moglie, Cynthia, dove lei stava parlando a raffica. Nella mente di lui, le parole di lei scorrevano senza sosta e, preso dall’impeto del momento, andò nel suo studio e si mise a scrivere di getto quello che gli venne in mente. Poi dimenticò il tutto fino al giorno dopo, quando si mise al piano pensando alla giusta melodia.


Dato che il tutto nasce da una lite matrimoniale, non ci viene difficile pensare a come le parole di Cynthia siano entrate dentro la psiche di John che all’epoca era molto fragile, proprio perché ancora non aveva avuto modo di processare la morte improvvisa della madre (ve ne abbiamo già parlato in “Girl”, “Woman” e “Julia”).
Cosa accade quando l’acqua si posa sulla carta? La spappola, ovviamente, e così si doveva sentire John nel mezzo del litigio ed è per questo che cerca una via di uscita, immaginando che le stesse parole scorrano via per l’universo, senza toccarlo.

A confermare quanto fosse sensibile John Lennon, non fa mistero delle emozioni che prova: dolore latente, fermo, statico in una pozza, intervallato da onde di gioia che, proprio come il fenomeno marino, avvolgono e scombinano divertendo ciò che abbiamo attorno, ma durano pochi secondi.

Il saluto al maestro divino è come se John ricercasse un aiuto per evadere da dentro, e l’ultimo verso che possiamo considerare ritornello, ha totalmente cambiato la nostra visione dopo il docu-film “Get Back”. Inizialmente, infatti, pensavamo fosse una sorta di: “Nessuno può cambiare questo stato di concentrazione dove nulla mi tocca”. Poi abbiamo capito il senso di John: è più una richiesta di aiuto, un arrendersi al fatto che nulla potrà cambiare e lui sarà sempre nel dolore. Bastano pochi secondi della prima parte, quando i Beatles provano “Across the Universe” che John, dopo aver cantato “Nothing’s gonna change my world” aggiunge – in inglese, ovviamente – “Quanto vorrei lo facesse, cazzo”. Il tutto guardando Paul, perché la McLennon è onnipresente.

Images of broken light which dance before me like a million eyes
(Immagini di luci sconnesse che mi danzano davanti come fossero milioni di occhi)
they call me on and on across the universe.
(mi chiamano ancora e ancora attraverso l’universo.)
Thoughts meander like a restless wind inside a letter box
(I pensieri vagano come un vento inquieto dentro una scatola di lettere)
they tumble blindly as they make their way across the universe.
(cadono ciecamente mentre si fanno strada attraverso l’universo.)

Jai guru deva, om

Nothing's gonna change my world.
(Nulla cambierà il mio mondo.)

Sì, questa strofa ha ispirato il capitolo “Strawberry fields forever” di Penny Lane.


Anche qui troviamo un John che sa esattamente quanto ha dentro, il moto di un processo interiore che deve venire fuori (per i tempi, soprattutto per un uomo dei tempi ammetterlo era già un grandissimo passo avanti e poteva essere chiamato a tutti gli effetti un pionere) ma che non sa come trovare la strada per farsi comprendere.

Le luci sono sconnesse, quindi non danno una forma a ciò che vogliono mostrare. I pensieri sono come lettere scombinate da un vento che soffia forte e confonde tutto ciò che vi è scritto.

Eppure, quello che manca al John che ha scritto il brano è proprio vedere che oltre la luce che va e viene, oltre al movimento violento del vento, tutto è fermo. Le parole sono scritte sulla carta e quell’inchiostro non può andare via, basta solo attendere che il vento si calmi. La luce può essere sistemata, basta solo farlo.

Sounds of laughter shades of life are ringing
(Suoni di risate, sfumature di vita stanno suonando)
through my open ears inciting and inviting me.
(attraverso le mie orecchie aperte, mi incitano e mi invitano.)
Limitless undying love which shines around me like a million suns
(L’amore infinito e immortale che risplende attorno a me come un milioni di soli)
it calls me on and on across the universe.
(mi chiama ancora e ancora attraverso l’universo.)

Jai guru deva, om

Nothing's gonna change my world.
(Nulla cambierà il mio mondo.)

Ok, ammettiamo che qui stiamo sforzando un po’ la McLennon, ma a tutto c’è un perché.
John era sicuramente il più negativo tra i due, le sue canzoni profonde difficilmente trovavano un assaggio di questa positività senza che Paul ci mettesse mano. Se la terza strofa è quella che è, ci piace pensare che nel flusso di scrittura inconscia, John abbia avuto in mente le parole positive di Paul.

Tra tutto il dolore, tra tutto ciò che ancora non gli è comprensibile, John sente un’eco di risate, qualche spicchio di vita che lo invita a seguirlo, come una promessa di un futuro più tranquillo e gioioso.
Capisce così che l’amore vero, (già presente in canzoni come “The Word”) lo circonda in ogni luogo e in ogni tempo, con la sua luce intensa come se provenisse non da un Sole, bensì da milioni.

John si ricorda che è sostenuto dal divino, un preludio di “Instant Karma! (We All Shine On)” del 1970 dove ci ricorda che: “We all shine on/Like the moon and the stars and the sun” (trad. “Tutti noi brilliamo/come la luna, le stelle e il sole”) e che quando perdiamo la bussola, quando vediamo attorno a noi buio e gelo, cerchiamo di volgere lo sguardo proprio a quella luce che è l’amore infinito e immortale che ha creato tutto l’universo.


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