venerdì 22 settembre 2023

#Musica: Sono solo parole

Crediti:
https://hernameismoon.tumblr.com/post/43670184714
Noemi presenta il brano “Sono solo parole”, scritto da Fabrizio Moro, al Festival di Sanremo 2012 arrivando con tanto merito al terzo posto in un’edizione che ha visto vincitrice Emma con “Non è l’inferno”.


Qualunque sia la versione che preferite, se quella cantata da Noemi o da Moro, sappiate che noi le amiamo entrambe e non riusciamo proprio a scegliere la migliore tra le due. Forse è proprio per il tema che offre, così tanto comune ai giorni d’oggi; la stessa Noemi ha infatti dichiarato: «È un testo sull’incomunicabilità, sull’importanza dei gesti al di là delle parole, sul fatto di riuscire a risolvere i problemi e ad andare sempre avanti nella vita. […] Canto l’incomunicabilità in un periodo storico particolare in cui stiamo vivendo. Comunichiamo tanto tramite Internet, Facebook e Twitter ma poi si ha difficoltà a vivere la vita reale. Si crea un divario non solo tra persone che si amano ma anche nella società in cui viviamo.»

Possiamo tranquillamente aggiungere che in una società dove tutto è rimpiazzabile in breve tempo, tanto da non processare qualsiasi tipo di rottura, basta davvero un periodo di blocco per mettere fine a una relazione o al raggiungimento di un obiettivo, se vogliamo rimanere nel tema del lavoro; ecco perché questa canzone acquisisce un grande valore: andare avanti nonostante i nonostante.

Avere l’impressione di restare sempre al punto di partenza
e chiudere la porta per lasciare il mondo fuori dalla stanza
considerare che sei la ragione per cui io vivo
questo è o non è
amore.

Cercare un equilibrio che svanisce ogni volta che parliamo
e fingersi felici di una vita che non è come vogliamo
e poi lasciare che la nostalgia passi da sola
e prenderti le mani e dirti ancora:
“Sono solo parole, sono solo parole
sono solo parole, le nostre
sono solo parole.”

Crediti:
https://www.deviantart.com/nataliadrepina
Non sappiamo se la colpa di questa situazione sia da attribuirsi alla società o, come già accennato nell’introduzione, al fatto che oggigiorno è estremamente facile passare da una situazione all’altra senza fermarci il tempo necessario a processare il lutto. Come facciamo con ogni canzone, infatti, non vogliamo fermarci solo al significato di una storia d’amore, perché il sentimento di stallo e incertezza può arrivare anche dal lavoro o da una passione che non si riesce a trasformare in tale.


Se interrompiamo una relazione (d’amore o amicizia) abbiamo centinaia di altri modi per passare al compagno o all’amico successivo. Sarà capitato, infatti, un po’ a tutti di avere tra i propri contatti chi dice di amare una persona, anche se questa cambia ogni tre/quattro mesi circa.
Così come abbiamo mille opportunità di mollare il lavoro e averne un altro, anche a costo di lasciare l
Italia.

Certo, non possiamo sapere da quanto tempo dura la situazione della canzone, se non immaginarlo. Quello che invece sappiamo è che ha portato il protagonista (usiamo il neutro) a vivere e non vivere, come guidato dalla corrente degli eventi.

Anche se la dedica è rivolta verso la ragione della propria vita, il protagonista preferisce il silenzio e chiudersi in se stesso, perché sa che aprendosi potrebbe scatenare una nuova lite, o un qualsiasi motivo per essere bersagliato. Non si confida con nessuno, anzi, finge di vivere serenamente, senza alcun problema, dicendo agli altri che tutto è perfetto così, anche se dentro si sta distruggendo. Crede che se non parla di ciò che non va, questo passerà da solo.

Ciò che ci sconvolge, nel senso che lo troviamo tremendamente ironico avendolo ovviamente provato anche noi, è che spesso tutto ciò di cui abbiamo bisogno è anche il motivo che porta alla rottura: parlare. O meglio, ascoltare. Quando passiamo questo tipo di periodo abbiamo solo bisogno che qualcuno ascolti senza giudizio, senza attivare il processo del rincalzare, con l’obiettivo di mantenere una posizione di potere. Capita davvero raramente che due persone riescano ad ascoltarsi per venirsi incontro, per ricostruire insieme ciò che sta crollando. Come spiegato anche in “Ammettere di sbagliare” e come vedremo a fine ottobre nel XXX canto della Divina Commedia, spesso e volentieri siamo più concentrati a sminuire le nostre colpe, dandole all’altro, anche a costo di ingigantirle, se necessario.

Questo, però, non accresce noi stessi, né qualsiasi relazione stiamo vivendo. Anche in ambito lavorativo: non vedere i propri limiti, non vedere come si può migliorare, non può che portare alla pesantezza e alla frustrazione di inseguire una chimera.
Vogliamo la vita perfetta, senza nessun problema e ostacolo, eppure non consideriamo che spesso siamo noi quel monte insormontabile. Basterebbe solo mettersi in ascolto e cercare di comprendere l’altro. Viviamo in una società superba, dove noi siamo sempre gli esseri senza macchia né peccato, gli eroi trionfanti e incompresi, ma quanto ce la raccontiamo?

Sperare che domani arrivi in fretta e che svanisca ogni pensiero.
Lasciare che lo scorrere del tempo renda tutto un po’ più chiaro
perché la nostra vita in fondo non è nient’altro che
un attimo eterno, un attimo
fra me e te.

[…]

E ora penso che il tempo che ho passato con te
ha cambiato per sempre ogni parte di me
tu sei stanco di tutto, io non so cosa dire
non troviamo il motivo neanche per litigare.

Siamo troppo distanti, distanti fra noi
ma le sento un po’ mie le paure che hai
vorrei stringerti forte e dirti che non è niente

posso solo ripeterti ancora:
«Sono solo parole….»

Nella seconda parte traspare tutto l’amore che ha il protagonista, anche se arreso. È possibile che il blocco derivi proprio dal fatto che lui non riesca a esprimersi “io non so cosa dire”, “vorrei stringerti forti e dirti che non è niente”, ma se volere è potere, perché non lo fa?
Chi sta scrivendo sa perfettamente quanto sia fondamentale la comunicazione, ecco perché cerca di essere sempre chiara e diretta in ciò che prova, anche a costo di risultare un po’ troppo schietta. Le parole possono far soffrire, certo, ma esattamente quanto lo fa il silenzio.
Fare finta che vada tutto bene distrugge esattamente quanto numerose liti senza vie d’uscita. Vi chiederete perché abbiamo parlato della facilità che abbiamo di passare oltre, e siamo arrivati finalmente al punto: se non ci diamo modo di fermarci e analizzare i nostri comportamenti, come possiamo migliorare?

Quante volte abbiamo detto: “Ma tutti io li devo conoscere?” “Ah, i casi umani spettano solo a me…” ecco, riflettiamo bene: ma non è che siamo noi il caso umano? Interrompiamo una relazione, apriamo Tinder (o qualsiasi altra app di incontri/social) e abbiamo già il prossimo, in un loop infinito in stile “Avanti un altro”, dove non conta più la persona con cui stiamo, purché non restiamo soli. Ci diciamo che abbiamo bisogno di amare, eppure non amiamo noi stessi.
Abbiamo l’esempio di Carrie, Miranda, Charlotte e Samantha (chi sta scrivendo adora “Sex and the city”, quindi nessun giudizio) eppure non ci accorgiamo che le quattro poco sono cresciute in venticinque anni, arrivando – forse – all’età matura solo in “And just like that...”, alla soglia dei sessant’anni, per intenderci.


Nella situazione del brano c’è una distanza enorme scaturita dal silenzio, nonostante le mille parole che si ripetono i due proprio perché manca l’ascolto. L’amore, però, quello rimane e lo troviamo nel sentire le paure dell’altro, nella consapevolezza che nonostante tutto i due sono cambiati e delle parti si sono plasmate le une alle altre. C’è una possibilità per i due, una piccola fiammella che illumina il buio e permette di vedere le timide ombre impaurite.
Basta solo fare un passo verso quella luce.  

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