lunedì 18 settembre 2023

#Venezia80: Io Capitano - Recensione

Il regista Matteo Garrone vince a Venezia80 il premio per la miglior regia col suo “Io Capitano
. Il leone d’argento sancisce quella che, a tutti gli effetti, è una storia di speranza e di movimento. Il protagonista Seydou Sarr, esordiente sul grande schermo di origini senegalesi, ha dedicato questa vittoria a tutti quelli che del mare hanno fatto la propria eterna casa. Il vincitore del “Premio Mastroianni”, col suo discorso, ha ricordato quanto a conti fatti non finiscano sempre così bene le storie narrate all’interno di questa pellicola. Occorre, però, soffermarci di più su questo film e concentrarci su ciò che Garrone ha donato al pubblico.

Venezia 2023 si è dimostrata un po’ politica, lasciando che le sue storie riuscissero a raccontare le avventure di eroi minimi o di individui socialmente isolati. In questo caso la lente viene incentrata su un argomento caldo per il nostro territorio, ovvero quello dell’immigrazione. Questa produzione Italo-Belga è già nelle sale italiane e ci trasporta all’interno dell’odissea vissuta da Seydou (personaggio e interprete hanno lo stesso nome) per poter arrivare tra le nostre coste. Dal Senegal, dunque, si attraversano i pericoli del deserto, così come la detenzione in Libia e il vero mostro: l’attraversamento del Mediterraneo. Barche fatiscenti, soldi estorti con l’unico appiglio dato dalla speranza.

Il punto di vista è, dunque, quello interno. Legato intrinsecamente alla propria esperienza e al proprio dolore. Un piccolo monito per poter ricordare quanto la scelta di lasciare ciò che finora era certo, non è presa a cuor leggero. Seydou ha perso il padre, vive con la madre e le sue sorelline, alterna le ore scolastiche con quelle lavorative, ma il suo sogno è quello di poter fare musica. Vuole diventare un cantante ed essere lui a “firmare gli autografi ai bianchi” e, in una sorta di multiverso, è ciò che è riuscito a ottenere.

Quello che firma Garrone è un racconto fatto di sogni e in tal senso si conclude anche. Possiamo ammettere che ciò che ci ha fatto davvero storcere il naso è la quantità di speranza trasposta all’interno della conclusione della narrazione e la non aderenza alla realtà. Sarebbe stato bello vedere quanto l’odissea non si concluda una volta arrivati nelle acque italiane. Sarebbe stato interessante cogliere gli aspetti più complicati nel momento in cui si arriva, ma ciò che si vuol narrare in realtà è il viaggio e di conseguenza dobbiamo accontentarci. Lo spettatore deve vivere, attraverso gli occhi del protagonista, tutto il moto all’azione che lo sprona a rischiare ogni cosa. Perché sì, partire vuol dire giocare a una pericolosa roulette russa di cui non si conoscono tutte le conseguenze.

È un film che va visto da tutti per poter entrare in un’ottica che quasi sempre viene rappresentata come distante dalla nostra. Troppo spesso si è vittime di una narrazione miope che descrive l’altro come semplicemente nemico o usurpatore. Troppo spesso si vive nell’incapacità di poter comprendere l’altro e Garrone fa un passo in avanti in tal senso. La pellicola non si risparmia con la descrizione del viaggio, non cela la durezza di quei momenti così come non elimina l’incanto di un ragazzino che sogna. In tal senso la regia è ben bilanciata e riesce a delineare un ottimo rapporto tra le diverse emotività portate in scena. Il conflitto viene, in questo modo, delineato in ogni suo più piccolo aspetto: quello interiore, dove possiamo notare la difficoltà nel lasciare la propria famiglia; quello col prossimo, in cui possiamo vedere quanto gli altri si approfittino delle vite di terzi.

Gli interpreti, nonostante la loro prima esperienza, non hanno nulla da invidiare a colleghi molto più navigati. Quasi come se, dunque, si potesse riuscire a fare un cinema del vero e “Io Capitano” segnasse una sorta di neo-realismo. Per la sceneggiatura, infatti, vengono anche citati gli aiuti che tutto il team di Garrone ha avuto: testimonianze dirette che hanno avuto modo di far sentire la loro voce.

Questo è a tutti gli effetti un film di formazione: Seydoy e l’amico Moussa abbandonano il mondo che finora li ha consigliati e si avventurano verso l’ignoto, crescendo e affrontando ogni singola difficoltà. La loro persona ne uscirà profondamente segnata e ciò lo possiamo percepire dalle urla strazianti che segnano la fine del film. Cicatrici indelebili che parlano e urlano a chi le vuole ascoltare.

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