giovedì 13 ottobre 2022

#Libri: Appartamento 401

Avete presente quella strana sensazione di chiudere un libro e non capire se vi è piaciuto o meno il finale? Che è risultato talmente imprevedibile e talmente “strano” da rimanere con la confusione più totale in testa mentre ancora lo tieni stretto tra le mani? È quello che è successo a chi sta scrivendo l’articolo dopo aver letto “Appartamento 401” di Yoshida Shuichi. Si tratta di un romanzo noir, anche se fino alle ultime pagine, tutto sembra tranne che qualcosa che si avvicina a un thriller. Uscito per la prima volta nel 2002, quando all’autore valse il premio Yamamoto hu¯goro¯, in Italia è arrivato solo nel 2019 e inserito nella collana dell’Universale Economica Feltrinelli. Ma vediamo di parlare della storia, cercando di non fare spoiler.

La storia è ambientata a Tokyo, nel quartiere di Setagaya. Nell’appartamento 401 vivono illegalmente quattro ragazzi: Sugimoto Ryosuke (i 21 anni, iscritto alla facoltà di Economia dell’Università H.), Okouchi Kotomi (di 23 anni, chiamata affettuosamente da tutti Koto-chan), Soma Mirai (pittrice di 24 anni) e Ihara Naoki (28 anni, che lavora in una casa di distribuzione cinematografica). Questi quattro, insieme, hanno formato una sola grande famiglia, dovendo affrontare dei problemi comuni del quotidiano. A mettere una nota di mistero nella narrazione, c’è l’appartamento di fronte, il 402, dove sembrano nascondersi segreti loschi o strani giri di prostituzione. Mentre cercano di svelare lo strano mistero, improvvisamente i quattro ragazzi si trovano sul divano un ragazzo bizzarro, Satoru, che dormicchia. Di chi è amico? Nessuno sembra conoscerlo o ricordarsi di lui, nessuno sembra averlo invitato. Nel frattempo, nel quartiere si susseguono strane aggressioni nei confronti delle donne. Che il nuovo arrivato c’entri qualcosa?

Come detto prima, non vi diremo il finale, ma questo romanzo è davvero particolare. In meno di duecentotrenta pagine ci viene raccontata la quotidianità dei cinque ragazzi dai rispettivi punti di vista, uno per capitolo, ma niente fa presagire il finale. Niente fa pensare particolarmente al genere “noir”. Senza la rivelazione finale, sarebbe potuto essere la semplice narrazione delle vicende di quattro giovani normalissimi (si fa per dire) davanti a determinate avversità della vita: chi ha una relazione clandestina con una star della tv, chi si vede con la fidanzata del suo sempai (modo di chiamare una persona più grande o per cui si nutre un certo rispetto), chi si ubriaca ogni sera per non pensare ai propri traumi e così via. Ragazzi che affrontano una vita abbastanza normale, tanto che l’elemento delle aggressioni viene appena accennato in qualche capitolo, con l’avvertimento di una guardia che informa Mirai e Koto-chan di quello che sta accadendo nel quartiere. Nulla fa presagire il dramma, il thriller, tanto che si perde del tutto la costruzione di una trama intricata.

Se del noir ha poco, Shuichi spinge il lettore a una riflessione: quanto conosciamo le persone che ci stanno intorno? Anche se le conosciamo da anni, possiamo davvero mettere la mano sul fuoco nei loro riguardi? Tutti i personaggi non fanno che indossare continuamente delle maschere, tutti, nessuno escluso. Mettono in scena il proprio spettacolo fintantoché è alla presenza di uno qualsiasi degli altri coinquilini. Ed è inutile chieder loro di abbassare la maschera, perché la mettono ben consapevoli. Anche nei momenti più delicati, il modo che hanno di rapportarsi sembra lo sceneggiato di un testo teatrale. Tutti si mostrano per quello che non sono, ovvero puri e innocenti. Come dicevamo, tutti indossano una maschera e tutti sono consapevoli che gli altri fanno lo stesso. Anche Satoru, che diventa a tutti gli effetti un membro di questa strampalata famiglia, si ritrova a dover fingere. Tutti devono far finta che il coinquilino sia quello che mostra. Tutti sanno, nessuno parla. Perché, dopotutto, rompere quel delicato equilibrio che si è andato creando? E questo porta a dei risvolti inquietanti.

Diversamente dagli altri scrittori del Sol Levante che abbiamo avuto la possibilità di leggere, Shuichi non pone alcuna enfasi sul lato spirituale dei suoi personaggi. Indaga sul loro passato e su come questo possa aver influenzato il loro presente, senza aggiungere quel tocco quasi surrealista che permea autori come Banana Yoshimoto, Haruki Murakami, ecc... L’autore di “Appartamento 401” va dritto al punto, raccontandoci anche il lato maniacale di alcuni personaggi: analizzando le loro ossessioni, ogni personaggio potrebbe essere l’assalitore del quartiere, perché c’è chi si apposta costantemente fuori da determinati appartamenti senza mai suonare o chi nasconde delle cassette con solamente scene di stupri registrati tra gli asciugamani. Questi, per quanto agghiaccianti, sono elementi che sembrano fungere solo alla descrizione dei traumi dei personaggi, ma senza far presagire cosa succederà di lì a poche pagine. Se all’inizio il nostro approccio al romanzo è stato tranquillo, quasi “pigro”, l’ultimo capitolo ci ha catturati al punto tale che lo abbiamo divorato. Ci ha lasciato con un po’ di confusione in testa, quindi da questo punto di vista il lato noir, un po’ misterioso e un po’ conturbante, è riuscito nel suo scopo. Quindi, se avete voglia di leggere qualcosa che letteralmente vi lascerà con la bocca aperta, “Appartamento 401” fa al caso vostro.

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