giovedì 27 ottobre 2022

#RoFF17: Sanctuary - Rencensione

Quanto delle nostre perversioni siamo in grado di nascondere alla sfera pubblica?
Quanto omettiamo nella vita di tutti i giorni, tanto da arrivare a odiare le maschere che indossiamo?
Cosa succede quando queste maschere crollano?

Zachary Wigon lo mostra nel film arrivato alle sale di RoFF17: Sanctuary, una pellicola che dissacra il concetto classico di coppia e la inserisce in un adrenalinico thriller (che, osiamo dire, possiede un sapore romantico).

Hal Porterfield (Christopher Abbott) è l’erede di una proficua compagnia alberghiera e ama intrattenersi in un rapporto sado-masochistico con Rebecca (Margaret Qualley), la sua dominatrice. Apparentemente, il loro rapporto è circoscritto alle mere formule contrattuali: lui paga lei per recitare una parte, al fine di sottometterlo soddisfacendo le sue fantasie. Un rapporto, il loro, che viene definito mentale e non fisico; perché principalmente non vi è reale contatto fisico se non quei gesti finalizzati alla sottomissione di lui. Non vi è del sesso tra i due, ma qualcosa di forse anche più intenso e intimo.

Incontro dopo incontro, nella stanza di uno degli hotel posseduti dall’uomo, tra i due si suggella questo intimo e nudo legame, decisamente difficile da lasciare andare. Quando, infatti, al termine dell’ultima sessione Hal le confessa che vuole interrompere i loro incontri, la storia prende una piega del tutto inaspettata. Rebecca non vuole lasciar andare via Hal e non solo per il denaro.

Quello che Wigon porta in scena è un thriller che è in grado di incollare lo spettatore allo schermo, perché secondo dopo secondo ne vorrete di più. Scena dopo scena, ogni qual volta la porta della camera d’hotel viene aperta, si resta col fiato sospeso e si fa quasi il tifo che uno dei due fermi l’altro o torni sui propri passi. Quel singolo posto nel mondo, infatti, permette loro di abbassare ogni sorta di difesa e di mostrarsi per le persone orribili che sono. Una zona franca, dunque, nella quale tutto prende vita e loro accettano l’oscurità che li contamina e li pervade.

Il loro rapporto si basa tutto sul potere, ma come possiamo negare che la scesa a compromessi nella propria camera da letto non sia la stessa cosa? Per questo osiamo dire che questo thriller è quasi romantico, una storia malata forse, ma di una verità sacrosanta. Loro due, al di fuori da quelle mura, hanno la loro vita, il resto della giornata scorre odiando la persona che mostrano agli altri. Ma quando sono soli possono scendere nell’oscurità e annegare in essa. Rebecca domina Hal, lo pervade e lo plasma in ogni suo singolo momento, ma vi è una cieca accettazione da parte dell’uomo. Apparentemente, infatti, sembra quasi che lui non abbia volontà, ma in realtà lui accetta quel compromesso, lui desidera essere pervaso dalla donna. Avrebbe potuto risolvere le cose in un milione di modi differenti, ma la verità è che non vuole. Il gioco di potere, quindi, è ad armi pari. Un gioco fatto di conoscenza, di ricatto quasi, ma che fa parte di loro.

Rebecca e Hal due facce della stessa medaglia che appagano se stesso e l’altro senza remore.

La pellicola di Wigon è brillante, a tratti divertente per quanto paradossali possano essere certi istanti, ma non è mai banale. Se ne vuole di più, si insegue la coppia nel loro disperato climax tifando quasi per questo loro assurdo rapporto.

Non ci sentiamo in grado di definire questo amore malato, proprio per la consapevolezza con cui i due protagonisti affrontano la storia. Non è di certo canonico, ma è vero nella loro intensità.

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