lunedì 24 ottobre 2022

#Racconti: Samarcanda

Questo è un racconto di fantasia, frutto dell’immaginazione dell’autrice che ha usato i personaggi del franchise di League of Legends. Ogni personaggio citato è svincolato dal reame di appartenenza per rendere possibile la narrazione.

È il destino di tutti gli esseri umani, quello di morire. Qualsiasi sia la strada che si decida di prendere, il finale è il medesimo per tutte le creature. “Il domani è una speranza, mai una promessa.

Pelle ambrata, capelli lunghi e neri come la notte, barba corta e curata, sorriso sfrontato e rigorosamente a petto nudo, ma con un mantello a coprirgli la schiena, Akshan era famoso per la sua bellezza e per le sue abilità da ladro. Riusciva a scalare i palazzi più alti grazie al suo rampino e, una volta raggiunti i tetti, eludeva abilmente le guardie e aveva alla sua portata qualsiasi gioiello. Non era povero, ma rubava per il gusto di farlo, per poter testare le sue abilità. Fino ad allora, non c’era tesoro che non fosse riuscito a rubare. Non importava quante guardie fossero state messe a sorveglianza del prezioso, perché lui era ingegnoso e silenzioso come un gatto e se ne andava via allo stesso modo, contemplando con un sorriso sghembo la sua nuova conquista.

Nato per strada e cresciuto come un piccolo furfantello, senza amici o parenti, si era arricchito seguendo di nascosto i rigidi insegnamenti dei soldati. E a uno dei soldati della sua città natale aveva rubato proprio il rampino che si portava dietro. Era da un po’, però, che i furti avevano cominciato ad apparirgli banali, senza che ci fosse abbastanza sorveglianza. Si stava letteralmente annoiando, perché sembrava che nulla riuscisse più a stuzzicare il suo interesse. Per un po’ rimase nell’ombra, sperperando la sua refurtiva, tenendo le orecchie ben attente nel caso in qualche bettola si fosse parlato di qualche prezioso particolare. Sentiva spesso parlare di gemme e cristalli, ma si era già cimentato in furti all’interno di immensi castelli e ormai sembrava non provare più alcun gusto.

Si spostava di continuo, sempre più abbattuto. Il Re dei Ladri, come era solito soprannominarsi, non aveva più quella scintilla di passione. Che fosse ormai invecchiato? Forse doveva semplicemente campare di rendita in una terra lontana con la sua refurtiva e condurre un’altrettanta vita semplice. Forse i suoi giorni da ladro professionista erano giunti ormai al tramonto. Quella prospettiva lo deprimeva, così vagava e vagava, alla ricerca di qualcosa che neanche conosceva.

Senza rendersene conto, i suoi passi lo condussero nelle terre del nord. Quello che non sapeva era che due figure nell’ombra lo seguivano, silenziose e attente. Una tempesta di neve impervia lo costrinse a trovare riparo all’interno di una locanda e, mentre mangiava quasi febbrilmente la zuppa che lo stava riscaldando, la locandiera notò che, anche con le rigide temperature del nord, Akshan era costantemente a petto nudo.

«Ma non hai freddo?» domandò con tono brusco la donna, dalla faccia tonda, coperta da quello che sembrava un ammasso informe di lana. Lui le rivolse un sorriso smagliante e scosse la testa.

«Mi creda, madama, a me basta la tua zuppa e il tuo sorriso per trovare calore.» rispose con tono affabile. Ma la locandiera non stava sorridendo e di certo non si lasciava abbindolare così facilmente. Ne passavano di continuo tipi strambi come quello nella sua locanda.

«Beh, farai meglio a trovare un abbigliamento adatto. Domani arriverà la principessa Isolde per il matrimonio e il re, Viego, non permettà che la sua futura regina trovi dei cadaveri o dei pezzenti in giro per le strade. È prevista un’epurazione totale di tutto ciò che può arrecare “danni” alla vista.» mormorò, mimando le virgolette e, dopo un’ultima occhiata, gli diede le spalle e prese a lavare le stoviglie nel lavello. Lei il suo lo aveva fatto.

Le orecchie del ladro captarono quell’informazione, ma ad accendere la scintilla del suo interesse furono i discorsi di altri due clienti della locanda che, come lui, si erano fermati per il pasto e per ripararsi dalla tormenta.

«Ho sentito dire che la principessa porterà in dono il “Fulcro dei Geli”, sarà vero? Se ne sono perse le tracce secoli e secoli fa.» stava dicendo uno. Non aveva mai sentito parlare di quell’oggetto, ma qualcosa in lui gli suggerì che doveva informarsi. Saltò giù dalla sedia e la spostò ancora più vicino ai due, che lo guardarono inizialmente in maniera diffidente, ma persero ogni considerazione negativa nei suoi riguardi quando lui ordinò dei boccali ricolmi della birra più costosa.

«Cosa sarebbe questo “Fulcro dei Geli”?» chiese Akshan, con il suo solito tono affabile e il sorriso accattivante. E gli uomini iniziarono la loro spiegazione: secondo la leggenda, nelle terre del nord vigeva un inverno che durava anni, non mesi. Non c’era nulla in grado di sopravvivere a quelle rigide temperature. Fu allora che una regina, che il marito aveva ripudiato in quanto sterile, venne abbandonata in quella landa di ghiaccio. Inginocchiata nella neve, cominciò a pregare gli dèi perché la proteggessero e le sue lacrime caddero sulla neve, sciogliendola. All’improvviso un sole caldo cominciò a rischiarare il mondo intorno a lei e, quando si rese conto che gli dèi le avevano risparmiato la vita, le sue lacrime divennero un cristallo, con l’inverno che si era condensato al suo interno. Da lì nacque la leggenda del Fulcro dei Geli. Dopo essere passato di mano in mano, di regno in regno, il cristallo avrebbe fatto ritorno a casa.

Akshan credeva poco alle leggende, ma di sicuro la principessa Isolde avrebbe portato in dono qualcosa di interessante per il suo matrimonio. Decise quindi di provare e al solo pensiero la sua pelle venne attraversata da un brivido di eccitazione. Se si trattava davvero di un oggetto leggendario, promise, sarebbe stato il suo ultimo furto, prima di ritirarsi dal mondo del crimine. Era così su di giri al solo pensiero che non si accorse delle due paia di occhi che lo fissavano nell’oscurità.

Giunse il giorno del matrimonio e Akshan si alzò letteralmente all’alba. Sparì saltando giù dalla finestra della sua stanza, agile come un felino. Qualcuno avrebbe pagato per lui quanto consumato, comunque non sarebbe stato un suo problema. Il freddo non era diminuito, anche se c’era il sole, l’inverno sembrava penetrargli nelle ossa, ma l’adrenalina era tale da non farci neanche caso. Corse in direzione del castello, notando subito la quantità ingente di guardie reali. Di certo non sarebbe riuscito a passare dall’ingresso, così si spostò su di un lato che si affacciava sul di un gigantesco bosco e lanciò il suo rampino. Affilato più di ogni altra cosa, l’uncino si agganciò saldamente al muro esterno e Akshan iniziò la sua scalata. Raggiunta la cima senza troppe difficoltà, due guardie lo notarono e provarono a ucciderlo, armati di lunghe lance. Senza dar loro modo di attaccare, il ladro fece roteare il suo rampino e recise ad entrambi la carotide. Aveva messo in conto qualche morto sulla coscienza, ma erano solo i rischi del mestiere, inoltre per lui quelle vite non avevano alcun valore. Nascondendosi nell’ombra e usando il rampino per eludere ogni possibile sorveglianza, Askan riuscì ad arrivare nella sala del trono in una manciata di minuti. Si trovava esattamente sopra la regale seduta, accucciato sulle travi del soffitto. Viego era in piedi, davanti al trono. I suoi capelli castani e lunghi, il viso affilato e un portamento elegante gli conferivano un aspetto giovanile e ammaliante.

Lo sguardo di Akshan percorse attentamente la sala, individuando quali fossero le pareti migliori per il suo rampino. La sala era gremita di persone e il giovane non vedeva l’ora che giungesse il momento opportuno. All’improvviso tutti gli ospiti si zittirono e le enormi porte dell’ingresso si aprirono e una bellissima donna fece il suo ingresso. Vestita di bianco, aveva i capelli color del rame in parte acconciati in una ricercata treccia che le scendeva fin sotto le spalle, insieme al resto della chioma. Dalla sua posizione, poteva vedere che teneva lo sguardo basso, fino a che non giunse a pochi passi dal suo futuro sposo, che le si inginocchiò immediatamente davanti. Accanto a lei, marciava quello che doveva essere un valletto, che teneva tra le mani un piccolo scrigno.

Viego non sembrava interessato al presente, quanto più alla sua futura sposa. Ne era letteralmente abbagliato e a fatica si voltò verso il vassallo. Preso tra le mani lo scrigno, re Viego lo aprì e immediatamente nella sala la temperatura precipitò. Akshan ebbe la pelle d’oca, ma si sporse dalle travi per osservare meglio: una sfera perfetta, in cui sembra imprigionata una terribile tempesta, brillava come la neve al sole. Sembrava che delle forze contrastanti si stessero sfidando in una interminabile lotta, racchiusa in quel piccolo spazio. A guardarla bene, sembrava poter entrare facilmente in un comune boccale di birra. Viego sembrò apprezzare molto il dono e, nel momento in cui abbassò nuovamente il coperchio sulla sfera, la temperatura della stanza tornò normale. Il ladro, quindi, dichiarò mentalmente che quello era davvero il “Fulcro dei Geli”: era davvero l’inverno incastonato in una sfera.

Senza abbandonare il suo posto sicuro tra le travi, Akshan non prestò minimamente attenzione alla cerimonia che si stava svolgendo sotto di lui, ma attese che la celebrazione fosse conclusa. Dopo quella che sembrò un’attesa interminabile, finalmente Isolde e Viego si unirono in matrimonio e i festeggiamenti vennero spostati in una sala adiacente. Mentre metà della guardia reale seguiva i sovrani, l’altra si diresse verso la sfera. Le spade dei soldati adornavano i fianchi di ognuno di loro, pronto a uccidere chiunque avesse provato ad avvicinarsi. 
 
Ma Akshan era ben più sveglio e, nel momento in cui le guardie cominciarono a organizzarsi per trasportare l’oggetto, il Ladro lanciò il suo rampino che, come per magia, si attorcigliò intorno alla cassa. Velocissimo, Akshan ritirò la sua arma e in pochi secondi lo scrigno era tra le sue mani. La sua operazione, però, sembrò non andare liscia come aveva pensato e in un attimo alle guardie armate di spade, si affiancarono degli arceri che cominciarono a scagliare frecce su frecce nella sua direzione. Una lo colpì alla spalla, ma non riuscì a farlo cadere dalla trave. Stringendo al petto il tesoro, Akshan sfondò con un calcio le vetrate del palazzo e, sempre grazie al suo rampino, fuggì dal castello e si inoltrò nel bosco, strappandosi di dosso la freccia. Malgrado perdesse molto sangue, le guardie non riuscivano a raggiungerlo. Il suo uncino si aggrappava da un albero all’altro, tanto da sembrare che volasse e, in poco tempo, persero completamente le sue tracce. Akshan continuò la sua fuga fino alla notte inoltrata, fino a quando, ormai stanco e senza forze, non riuscì più a lanciare il suo rampino e cadde, ruzzolando fino al centro di una radura. Si tirò su a sedere, ansante, e si controllò la ferita.

«Potete anche venire fuori, sono giorni che mi seguite.» disse ad alta voce, mentre si strappava un lembo del mantello per abbozzare un bendaggio di fortuna. Il sangue, però, fluiva in maniera copiosa.

Dall’oscurità spuntarono allora due figure spettrali: una aveva l’aspetto di un’agnella ma che si muoveva su due zampe, mentre intorno a lei si avvolgeva quello che sembrava un lupo dall’aspetto spettrale, privo di zampe. Entrambi indossavano una maschera del colore opposto: mentre l’Agnella, dal manto bianco, indossava una maschera nera, il Lupo dalla pelliccia scura, celava il suo sguardo dentro una chiara. Maschere antiche, pensò Akshan, magari valevano un sacco di soldi.

Fu l’Agnella a parlare, con una voce dolce come il miele.

«Ti seguivamo perché è qui che dovevi morire. Dovevamo accertarci che non fossi troppo lontano.»

Ad Akshan sfuggì una risata. «Troppo lontano? » chiese. «Quindi qui finisce la mia corsa?»

Fu il turno del lupo di rispondere «Puoi anche fuggire, anzi, fuggi! Scappa! Adoro la caccia. » e rise in una maniera da far accapponare la pelle.

Ma il ragazzo era stanco e ferito, non sarebbe riuscito ad andare lontano neanche se lo avesse voluto. Era ovvio che quei due fossero l’impersonificazione della morte.

«Il lupo insegue chi non vuole andarsene volontariamente.» Spiegò l’Agnella. «Negare noi è negare l’ordine naturale delle cose.» concluse con un filo di voce.

Con le poche forze che aveva, Akshan si alzò in piedi. Non sarebbe morto come un codardo.

«Se le cose devono andare così, allora…» Sorrise, mentre cominciava a sudare per lo sforzo. Sollevò il suo rampino e lo fece roteare verso di loro. Kindred, così veniva chiamata la duplice creatura, non si mosse affatto, ma sotto le zampe dell’Agnella, si formò un cerchio che cominciò a splendere nella notte. La sentì mormorare qualcosa, che al giovane suonò come: “Brilla un’ultima volta prima della fine”, ma non gli diede alcun peso. Senza pensarci ulteriormente, prima che l’Agnella e il Lupo potessero attaccarlo, sfilò la sfera dallo scrigno e se la avvicinò al petto. Nel farlo, il suo sguardò cadde sul riflesso che vedeva nel tesoro luccicante: sulla sua fronte, notò che c’erano due centri concentrici che brillavano come il cerchio evocato dalla creatura. “La morte mi ha marchiato” dedusse. 
 
Senza dar modo a Kindred di strappargli la vita, si avvicinò il gioiello al petto, prendendo un lungo respiro. Immediatamente il cristallo gli penetrò nel petto e il gelo cominciò ad avvolgerlo nella sua morsa, spegnendo nel dolore ogni senso. Si bloccò il torace, e per una frazione di secondo Akshan annaspò, ma l’ultimo pensiero coerente fu che aveva scelto lui come morire, con l’ultimo tesoro nascosto nel suo petto. Si gelarono gli arti e in poco tempo, sotto i raggi di luna, Akshan si trasformò in una statua di ghiaccio, con il Fulcro dei Geli che brillava ancora, ma il segno sulla sua fronte era sparito. Kindred si fermò a osservare quella trasformazione, in silenzio, senza mostrare alcun segno di sorpresa: sapeva che Akshan avrebbe scelto come morire e la sua statua non si sarebbe mai sciolta, almeno fino a quando un guerriero del sole non fosse venuto a liberarlo. Né il fuoco, né il sole poteva fermare l’eterno gelo che teneva prigioniero il grande ladro. Solo l’ardore del coraggio avrebbe potuto vincere, ma fino ad allora avrebbe riposato indisturbato in quella radura. Akshan aveva compiuto il suo destino, senza sapere che tutto era andato come doveva andare.

Dopo un ultimo sguardo alla statua, l’Agnella e il Lupo tornarono nell’ombra.

«Ogni vita…» cominciò lei.

«…termina con noi.» concluse lui.

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