venerdì 24 luglio 2020

#StorieRomane: Vampiri e Licantropi

Licantropi e vampiri non sono creature immaginarie tipiche degli altri Paesi europei, né hanno origine recente. Affondano le loro radici già nell’antica Grecia, passando poi per la cultura Romana.
I vampiri, per i Romani, erano una sorta di demoni donne che si dividevano in lame ed empuse.
Le prime rapivano e uccidevano i neonati, strappandoli dalle braccia della madre. Erano streghe attirate dalla morbidezza della loro carne, dalla purezza del sangue, ma soprattutto dal dolore che la perdita avrebbe provocato alle madri.

Il nome deriva da Lamia, figlia del re di Libia Belo, e una delle tante amanti di Zeus. La dea Era era abituata ai tradimenti del marito, ma non tollerava che le amanti gli dessero dei figli. Alla notizia del parto di Lamia, Era scatenò la sua ira sui bambini appena nati, strangolandoli. Si salvò solo Scilla. Da quel momento Lamia impazzì dal dolore e divenne gelosa tutte le madri felici. Si trasformò in un mostro, con il compito di divorare i bambini appena nati, godendo per le urla strazianti delle madri.

Empusa, figlia di Ecate, invece, si divertiva a terrorizzare i viandanti. Rapiva i bambini solo per passatempo, ciò che l’attirava maggiormente era il sangue dei giovani, sia uomini che donne. Amava il sangue vergine: quello che conosceva il peccato ma che non lo aveva ancora commesso.
Cacciava le ragazze per le strade, studiava le malcapitate e le seguiva per le vie buie. Amava i loro pianti e le loro suppliche, le ascoltava e le stuzzicava, dando loro la speranza di potere avere salva la vita. Quando la vittima era sollevata, però, lei colpiva in modo atroce.
Quando doveva cacciare i ragazzi, Empusa si fingeva preda: prendeva le sembianze di una giovane donna sensuale, e ammirava gli sforzi dei ragazzi che si impegnavano nel conquistarla. Lei stava molto sulle sue, sciogliendosi piano piano e quando loro cominciavano a esultare per la vittoria, lei li divorava e beveva il loro sangue.

I licantropi, per i romani, erano invece maschi. Ne parla già Petronio nel Satyricon, dove racconta la storia di un soldato che si trasforma in lupo mannaro e durante la notte fa strage di pecore.

In epoca medievale, invece, era il diavolo a trasformare streghe e stregoni in licantropi che poi, successivamente alla loro morte, sarebbero diventati vampiri.
La licantropia, per gli antichi, era associata alla malattia mentale. Sono diversi i racconti romani di persone affette da questo disturbo, tra le più recenti troviamo quella della lupa di Posillipo, datata anni Cinquanta.
Iolanda Pascucci soffriva di questo male dall’età di dodici anni. Durante le notti di luna piena la sua gola si seccava, provava un forte impulso di bere, gli occhi le uscivano dalle orbite, il volto diventava mostruoso e le urla gutturali non sembravano appartenere alla sua persona.

Crescendo, le crisi divennero sempre più rare, tanto che in età adulta le considerò un lontano ricordo di un’adolescenza difficile. Si sposò con un musicista ed ebbe due figli. Le crisi ricominciarono quando essi divennero grandi. Lei passava le notti di luna piena lontano da casa per non spaventarli.
Fu sottoposta a esami e cure, al trattamento in manicomio, ma nulla sembrò risolvere la situazione. Quando si accorse che era abbandonata al suo destino, decise di lasciare la famiglia scappando a Napoli, facendosi dimenticare presto da tutti.

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