venerdì 4 dicembre 2020

#MustToRead: Il giovane Holden

 

Nel 1951 J.D. Salinger pubblica uno dei capolavori della letteratura mondiale. Il titolo originale, “The catcher in the rye”, è un gioco di parole inglese che è stato difficile tradurre in alcuni paesi europei. In Italia “Il prenditore nel campo di segale”, sua traduzione letterale, diventa “Il giovane Holden”. La copertina bianca con il titolo nero è una scelta che  Salinger prende fermamente: ogni lettore, infatti, avrebbe dovuto scegliere il libro solo in base al suo contenuto.

Il romanzo è totalmente scritto in prima persona, e anche se il tempo in cui è ambientato viene omesso, possiamo capire da alcuni fatti e avvenimenti che ci troviamo a pochi giorni dal Natale del 1949. Scritto tra una cittadina della Pennsylvania e New York siamo la mente, il corpo e i ricordi di Holden Caulfield.

È un adolescente in piena crisi esistenziale: è stato espulso dalla scuola di preparazione al college a causa del suo pessimo rendimento. Per paura di dire tutto ai suoi genitori, decide di passare una settimana in varie zone di New York. Incontra solo vecchi professori, qualche amico e la sorella di dieci anni, a cui rivela il segreto.

Durante la sua prima lettura, noi disprezziamo la società e i modi ipocriti che la governano, proprio come fa Holden. Così come il personaggio, ci ricordiamo di quando non riusciamo ad adattarci a qualche ambiente, e troviamo negli altri le stesse identiche incoerenze che il giovane ci mostra. Ma in una seconda rilettura, quella più critica e distaccata, figlia del tempo che passa, notiamo come sia Holden stesso a essere incoerente. Lo scopriamo come un bugiardo cronico che ha bisogno di una terapia.

Non riesce a intrattenere dei buoni rapporti con nessuno nelle sue cerchie: famigliari, amici, ipotetiche fidanzate… Si allontana da loro al primo accenno di contraddizione o bugia. Proprio come accade davanti al nostro specchio, le persone che abbiamo attorno ci mostrano parti di noi che non sappiamo riconoscere, e quando il riflesso non ci piace, scappiamo da esso.

Quello che Holden disprezza negli altri, è in realtà il grido interiore del malessere che vive. Compie scelte impulsive, salvo prendersene la responsabilità quando essa bussa alla porta. Trova giustificazioni, incolpa e accusa gli altri per ogni azione da lui commessa.  

Non possiamo incriminare Holden per questo lato del suo carattere, soprattutto se pensiamo che è tipico dell’adolescenza. Il romanzo è un primo campanello d’allarme che spingerà in seguito genitori, psicologici e insegnanti a tenere conto della salute mentale dei giovani studenti liceali. I traumi e i pensieri che avvengono in questa età sono fondamentali per gli adulti che diventeranno.

Holden vive la solitudine, la rabbia, la disillusione, tutti effetti del cambiamento fisico e mentale tipici di chi sta diventando un adulto. Si sente abbandonato e al tempo stesso non si accorge che il rimanere solo è una sua decisione. È combattuto tra la maturità e l’infanzia, e per assurdo, o per ironia della sorte, è proprio sua sorella, una bambina di dieci anni, a dargli la forza di ammettere la realtà all’interno di se stesso. Come se il nostro bambino interiore fosse la persona più indicata a mostrarci il cammino.

È uno di quei romanzi che va letto proprio durante gli ultimi anni dell’adolescenza, e riletto per ricordarci cosa abbiamo passato prima della maturità mentale. I drammi di Holden sono stati i nostri, e sono gli stessi degli adolescenti di oggi.

Rispetto a sessantanove anni fa, però, gli adolescenti hanno più aiuti e sostegno. E questo, forse, proprio per la fama mondiale de “Il giovane Holden”.

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