giovedì 24 dicembre 2020

#Natale: La pace degli ultimi

Siamo alla vigilia di Natale, in una enorme casa di campagna. Un’anziana signora è sdraiata sul letto, da troppo tempo per ricordarsi effettivamente da quanto. La badante che è con lei dovrebbe aiutarla ad alzarsi, ma è fuori sul balcone, a fumare e a chiacchierare al cellulare con le sue amiche da chissà quante ore. Nessuno si cura della povera donna, bloccata a letto. Non ha la forza di parlare e non ha neanche voglia di lamentarsi. Con chi, poi? Se la dovrebbe prendere con i figli, ormai adulti e troppo occupati per pensare alla loro povera madre? Non si curano di lei, hanno già pronti i fogli per spartirsi la casa guadagnata in anni e anni di lavoro. Perché dovrebbero preoccuparsi di lei? Hanno i figli da crescere, gli amici da incontrare. E quest’anno non è arrivata neanche la tanto agognata telefonata per farle gli auguri. Se ne saranno dimenticati, poveri cari, pensa la signora, chiudendo gli occhi. La sua unica compagnia è la voce distante della sua badante e il gracchiare della televisione. Sono tutti felici, tutti che cantano e ballano. 

Appoggia la testa sul cuscino, senza provare alcun risentimento verso i suoi due figli e sui nipoti. La loro è una vita frenetica, quindi che colpa hanno? L’averla abbandonata? Macchè, pensa, ormai sono grandi e hanno spiccato il volo, che senso ha fargliene una colpa? Appoggia la testa sul cuscino, dove i capelli bianchi sparsi la fanno sembrare una santa con tanto di aureola. La sua mente, cullata dai programmi tv, la riporta indietro, quando era una donna che doveva crescere due figli da sola, con un marito morto in guerra anni e anni addietro. Ricorda solo i momenti gioiosi, perché non c’è posto nel suo cuore per i piagnistei, le marachelle e le litigate. L’anziana signora ripensa a quando li ha tenuti in braccio per la prima volta. Ricorda le prime parole, i primi passi, i primi sorrisi e le prime letterine fatte a scuola in cui scrivevano “ti voglio bene mamma”. Conserva ancora quei bigliettini, ne ha un cassetto pieno che fino a qualche mese prima apriva nei momenti di maggior sconforto. Le capitava spesso di sentirsi sola, che il vuoto della casa risultava spesso talmente assordante che aveva bisogno della tv per non buttarsi più giù del dovuto. Ora non riesce più a farlo, non riesce più a muoversi liberamente, quindi si accontenta dei ricordi. Ricorda i drammi dell’adolescenza, i primi amori e le prime rotture dei suoi figli. Lei provava a consolarli con una cioccolata calda, carezze e parole di conforto, ma erano anche gli anni della ribellione, così era solita rimanere in silenzio quando le urlavano contro che non riusciva a capirli. Si sbagliavano, perché anche lei era stata giovane un tempo, ma non aveva senso ribattere. Erano nervosi, complice una vita spesso ingiusta. 

Però quanto era bello suo figlio, così simile a suo padre, nel giorno del matrimonio. Quanto era radiosa sua figlia quando era riuscita a coronare il suo sogno lavorativo. E i suoi nipoti, che splendide creature! Glieli lasciavano spesso quando erano piccolissimi. Poi con il tempo erano venuti a trovarla sempre di meno, rendendo ancora più rare le chiamate. Non porta loro rancore, ma solo tanto amore. 

Alla tv è partito anche un canto di Natale e la sua mente fa un balzo ancora più indietro, a quando lei era una bambina, a quando lei e i suoi genitori per le feste si trovavano in quella stessa casa come un giorno qualunque. Non c’erano cenoni particolari, ma ogni piatto era fatto con talmente tanto amore da esserne continuamente grati. Sua madre le accarezzava sempre i capelli, quei filamenti oggi bianchi e spenti. Quanto calore c’era allora, quando si stava tutti intorno alla radio, a ballare e a chiaccierare fino a tardi, sotto un albero di Natale le cui sole decorazioni che potevano permettersi erano formine storte fatte con la pasta di sale. 

Ricorda quando la mattina dell’8 dicembre si metteva accanto a sua madre, inventando animaletti strani e forme a cui si divertivano a dare un nome. Sua madre poi faceva un buchetto sulle creazioni in cui far passare il filo, così da poter essere appese. Quella che un tempo era una bambina se ne stava così in attesa, con gli occhi colmi di curiosità mentre attendeva che le formine si asciugassero. 

Il torpore inizia ad espandersi per tutto il corpo dell’anziana, mentre ripensa a quanto era felice quando c’erano in vita la sua mamma e il suo papà che, anche se piegati tutto il giorno a lavorare per i campi, la sera avevano tutto il tempo per stare con lei. Si divertiva a cucinare con sua madre e ad intrecciare i cesti di vimini con suo padre. Quanto era semplice e tranquilla la vita allora. E nonostante tutto, attendeva lo stesso che le sue decorazioni si aciugassero, lanciando continuamente occhiate al bancone su cui erano state appoggiate. 

“Mi chiami quando sono pronte?” chiede la piccola bambina dei suoi ricordi alla mamma. Le basta un cenno del capo per tranquillizzarsi, riponendo in lei la sua più totale fiducia. 

I respiri dell’anziana signora si fanno sempre più radi mano a mano che si abbandona ai ricordi della sua infanzia felice. 

Rivede sua madre che si presenta in fondo al suo lettino, scuotendola appena. 

“Vieni, è tutto pronto” le dice e per un istante all’anziana signora sembra davvero di sentirla lì accanto a sé. Per lei è pronto, quindi le si allarga un sorriso di pace sul volto, mentre il petto le si alza per un’ultima volta, in pace e di nuovo bambina, con la mano di sua madre per andare via con lei. 

Ora è davvero pronta.

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