giovedì 10 febbraio 2022

#Libri: La figlia perduta

 “La carneficina ebbe luogo nel Ventesimo secolo, a spese di una famiglia che spesso si filmava con le telecamere, perciò è facile trovare su YouTube alcuni video che ritraggono i figli mentre saltellano nei giardini dei palazzi, sguazzano in mare e giocano con i marinai sul panfilo imperiale. Le ragazze sembrano bellissime e profondamente innocenti, con l’unica colpa di essere nate nella famiglia sbagliata nel periodo sbagliato. Sarebbero potute diventare madri e nonne, mogli e amanti, contadine, artiste o scrittrici. Nei miei romanzi, lo sono.”

Così scrive Gill Paul nella sezione “Note dell’autrice” e pensiamo che questo basti nel dirvi il perché abbiamo scelto di recensire il suo romanzo “La figlia perduta”, pubblicato nel 2019 per la Newton Compton Editori. Non abbiamo mai nascosto il nostro amore per le famiglie reali, e i Romanov hanno un posto speciale nei nostri cuori, probabilmente per l’ingiustizia subita nel loro brutale assassinio. Da come avrete dedotto, oggi vogliamo parlarvi del romanzo in cui Marija - terzogenita dello Zar Nikolaj II e della moglie Aleksandra - vive la vita di cui è stata privata troppo presto.

 Marija era di fatto una ragazza cordiale ed estroversa con un sano interesse per il sesso opposto. Se le guardie avessero voluto salvare una delle sorelle, non avrebbero scelto proprio lei? Se poi fosse riuscita a fuggire, la sua resistenza fisica l’avrebbe aiutata a sopravvivere. È stato quello il mio ragionamento di partenza quando ho cominciato a tessere la trama della Figlia Perduta.

Della famiglia Imperiale Russa e delle molte fake news che la propaganda Comunista metteva in giro sul loro conto, ne abbiamo parlato già negli articoli sulla Zarina Alessandra e sulla Rivoluzione Russa, ormai si sa molto. Le rivoluzioni non sono note per la grazia e l’eleganza con cui vengono attuate, ma anzi, la loro crudezza, a più di un secolo, ancora ci lascia senza parole. Crediamo, però, che il mito dei Romanov sia rimasto alla storia proprio perché nessuno ha mai accettato realmente la morte dell’intera famiglia, soprattutto dei figli dello Zar. Il grande classico Anastasia, è un esempio di come ancora adesso ci piange il cuore ogni volta che ripensiamo alla breve vita di Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija e Aleksej. Ricordiamo che Ol’ga, la più grande, aveva solo ventitré anni quando fu uccisa, mentre Aleksej, il più piccolo, quattordici.

Il loro unico errore è stato quello di avere come padre lo Zar di Russia, e tale errore non poteva essere perdonato o tollerato dai bolscevichi. È storicamente vero che la famiglia intrattenesse buoni rapporti con le guardie, tanto che molte furono allontanate per l’amicizia che stavano stringendo e che le stava portando a nutrire dei dubbi riguardo quello che si diceva su di loro. Le ragazze non erano per niente frivole, anzi. Si interessavano alla vita dei carcerieri e rimanevano visibilmente commosse dai racconti che ascoltavano.

I soldati erano rimasti sconvolti dal vedere Aleksej affetto da una gravissima malattia, l’emofilia. Vedendo il piccolo Romanov soffrire terribilmente, con il volto perennemente emaciato e con gravi emorragie interne, è stato subito chiaro il perché Aleksandra avesse improvvisamente abbandonato la vita pubblica. Le motivazioni della propaganda - che descrivevano un’Imperatrice snob e menefreghista – perdevano giorno dopo giorno di valore. In più i soldati erano piacevolmente sorpresi nel constatare che la stessa Aleksandra per le figlie aveva da sempre preferito le amicizie con domestici e servi, rispetto a quelle con le persone del loro stesso rango. Gli abiti che avevano, inoltre, non erano per niente costosi o all’ultima moda, anzi. Anastasija non ne aveva neanche di nuovi, perché indossava quelli utilizzati gli anni precedenti dalle sorelle maggiori. Insomma, i soldati si erano ritrovati a controllare una famiglia come tante, che non voleva rivendicare il diritto al trono – pensiamo infatti dovesse essere stata una vera liberazione per Nikolaj rinunciare al titolo – e che attendeva dignitosamente il proprio esilio in Inghilterra, o in qualsiasi altra parte del mondo.

Ma gli ordini si sono rivelati diversi, e ci sarebbe veramente piaciuto pensare che più di una guardia abbia aiutato almeno le ragazze a fuggire. Solitamente si parla spesso di Anastasija, ma l’autrice si è soffermata più sulla storia di Tat’jana e Marija. Nel romanzo, infatti, la secondogenita (Tat’jana) pensa a un modo per far evadere la famiglia, così scambia il suo posto con una domestica, per riscambiarsi di nuovo la mattina successiva. La Romanov, però, non fa mai ritorno e al giorno dell’esecuzione, è la poveretta a perdere la vita al suo posto. Marija non è stata colpita in punti vitali, ma perde comunque i sensi e quando torna in sé, è circondata dai resti inermi dei suoi famigliari e amici. Viene caricata su un furgone, e nonostante i commenti animaleschi che sente dalle guardie, cerca di rimanere immobile, per non attirare l’attenzione. Non emette nessun suono e i continui svenimenti la aiutano nel suo piano.

Solo Peter, un soldato di guardia, si accorge del fatto che sia viva e l’aiuta a fuggire portandola in spalle nella foresta. Non si sa bene come - almeno fino al finale - ma i due riescono a scappare agli altri soldati e a far perdere del tutto le tracce. Sfruttando il fatto che all’epoca nessun cittadino sapesse effettivamente dei lineamenti dei Romanov, Peter e Marija, del tutto innamorati, decidono di sposarsi e andare a lavorare come contadini in una fattoria.

Ci fermiamo qui con la trama, per non fare troppi spoiler. Il romanzo percorre tutto il Novecento, giungendo fino ai primi anni del Duemila. È stato interessante notare come l’autrice abbia mantenuto il carattere dolce e gentile di Marija, con tutte le sue insicurezze – era presa in giro dalle sorelle per via del suo peso, in più pensava di non essere abbastanza amata dai genitori, tanto da aver confidato in una lettera alla madre tutte le sue paranoie – e siamo rimaste impressionate del grande lavoro nell’immaginarsi la Granduchessa maturata dopo una vita da personaggio comune, impossibilitata a ricordare pubblicamente del suo passato o a tentare una ricerca della sorella in apparenza scomparsa.

La Storia non ha fatto effettivamente in tempo a raccontarci una biografia completa di Marija – uccisa a diciannove anni da poco compiuti – ma siamo state felici nel leggere la sua reazione ad avvenimenti realmente accaduti, come la sorpresa di una guardia, che il 26 giugno 1918, al suo ultimo compleanno, la sorpende con una torta preparata dalla madre; o che la sua tempra d’artista e l’amore per il disegno e la fotografia, l’abbiano seguita fino all’età anziana.

Nel romanzo la storia di Marija si intreccia con quella di altre donne russe, ma soprattutto con Val, una ragazza australiana degli anni ‘70 appassionata della famiglia Romanov, con la quale si troverà ad avere un legame decisamente inaspettato. Un romanzo sicuramente fantasioso, ma con dei riferimenti storici così accurati che abbiamo avuto l’ansia della polizia russa a ogni pagina, così come abbiamo sentito il freddo estremo della Russia, e abbiamo esultato, pianto, gridato per le gioie e i dolori che Marija ha accolto nella sua vita. Perché siamo convinte che se fosse rimasta in vita, avrebbe accettato ogni esperienza che le si fosse palesata, proprio come ha sempre accettato senza lamentele la sua prigionia.

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