mercoledì 23 febbraio 2022

#Cinema&SerieTv: Manifest

Se siete parte di quel pubblico che nel corso degli anni è rimasto incollato davanti allo schermo, a cercare di dipanare la complicata matassa di “Lost”, noi di 4Muses oggi vi parliamo di una serie non troppo distante da quel fenomeno cult che ha conquistato gli amanti della serialità. È tra i trend di Netflix, stiamo parlando di “Manifest”, una serie tv statunitense mandata in onda nel 2018 e disponibile sulla piattaforma. Si compone di quattro stagioni, ma di cosa parla nel concreto?

È il 2013 quando un gruppo di passeggeri sale a bordo dell’aereo Montego Air, con il volo 828, dalla Giamaica a New York. Il viaggio affronta una difficile turbolenza, ma quando i 191 passeggeri e l’equipaggio dell’aereo scendono a terra, trovano ambulanze e forze dell’ordine ad attenderli perché è successo qualcosa che ha dell’incredibile: i passeggeri del volo 828 sono spariti per cinque lunghissimi anni, mentre per chi era a bordo non sono passate che un paio di ore. Il divario temporale è evidente, perché nessun passeggero è invecchiato, nonostante per gli altri il tempo sia passato eccome. A tutti sembra essere stata data una seconda possibilità, un nuovo inizio, ma bisogna fare i conti con chi, invece, quei cinque anni li ha vissuti sul serio. Cosa è successo davvero durante la turbolenza?

Se per “Lost” il problema era intorno a loro, era l’isola a chiamarli, in “Manifest” qualcosa di strano è all’interno dei passeggeri. Tutti si ritrovano collegati, in un intreccio complicato e inspiegabile, perché esternamente non sembra cambiato nulla in loro. Ogni puntata mette in relazione tra loro i personaggi a causa di una sorta di “chiamata”: ordini, suoni, visioni di manifestano nei personaggi, spingendoli a fare qualcosa. A volte riescono ad aiutare il prossimo grazie a queste “interferenze”, altre volte questo vociare tormenta i passeggeri fino a spingerli al suicidio. I personaggi principali su cui si concentra la narrazione sono Ben e Michaela Stone (interpretati rispettivamente dal Principe Azzurro di “C’era Una VoltaJosh Dallas e Melissa Roxburgh) e Saanvi Bahl (Parveen Kaur).

Oltre alle domande di rito di stampo prettamente soprannaturale, come “Che cosa è successo su quel volo?” il motore della storia è proprio il concetto del “dopo”. Per quanto riguardava “Lost”, il cosa sarebbe successo in un improbabile ritorno a casa era solo un sogno, una frase detta per aggiungere un tocco di realismo alla narrazione, ma qui il “dopo” irrompe in maniera violenta e bisogna farci i conti nell’immediato. Se qualcuno viene dato morto per cinque anni, è impensabile che tutto rimanga in una stasi perenne: le relazioni cambiano, le persone muoiono, crescono e cambiano. Cinque anni possono sembrare una eternità se si è vissuti fuori dal tempo quanto ci si rende conto che le persone sono andate avanti. Un time skip non da poco, un po’ come l’avanti veloce di “Cambia la tua vita con un click”. Solo che qui viene evidenziato l’aspetto drammatico e umano: è possibile tornare alla vita normale se c’è un divario di cinque anni? Ecco, quindi, che un marito cerca di recuperare il rapporto con la moglie, un padre con una figlia, un’amica con un’altra anche se a dividerle è stato un uomo. Non sarà un’impresa semplice, ma saprà senza dubbio catturare l’attenzione del pubblico.

Ad aggiungere una nota ancora più drammatica ci pensa Carl, figlio di Ben, anch’egli passeggero del volo 828. Malato di cancro terminale, al piccolo nel 2013 gli erano stati dati solamente sei mesi di vita, ma qualcosa nel suo sangue sta cambiando. Le ricerche, nei cinque anni di assenza sono progredite e le possibilità di salvezza sono molto più rosee, anche perché dalla sua parte c’è l’abile dottoressa Saanvi. Anche lei era sul fatidico volo, ma è grazie alle sue ricerche se Carl potrà sopravvivere. Le voci, però, hanno un impatto maggiore sul piccolo, come mai?

Il lato umano dei personaggi si lega inesorabilmente con la fede. Il versetto 8:28 delle Lettera ai Romani recita “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene” e sarà un concetto molto pressante per i personaggi di Manifest, soprattutto per Michaela Stone, che per tutta la prima stagione viene “perseguitata” da questo mantra. Ma qual è il bene a cui si fa riferimento nella serie? Qual è il destino dei personaggi? Hanno davvero avuto una seconda possibilità o anche per loro, come in “Lost”, c’è una fine già scritta?

E voi avete visto questa serie?

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