mercoledì 6 luglio 2022

#Pensieri: Nei giardini che nessuno sa

La categoria Pensieri è altamente emotiva, ogni pagina virtuale scritta sotto la sua etichetta è carica di emozioni intense, spesso del tutto contrastanti.
Solitamente scrivo in Pensieri quando una mia ferita emotiva è quasi del tutto cicatrizzata. Ho scritto di argomenti forti dopo anni che sono avvenuti, proprio perché metterli per iscritto è più semplice se il male è stato curato.
Questa volta no. Questa volta affronto la ferita emotiva gettandole il sale quando ancora sanguina incontrollata. Forse ci sarà una punta di vittimismo o di autocommiserazione, perché a volte proprio non riusciamo ad accettare che tutto serve per la nostra crescita.
Cercherò comunque di non entrare nei dettagli, perché lo sapete, sebbene stia pubblicando un pezzo di me, rimango sempre sul riservato.

Dal titolo della canzone di Renato Zero: “I giardini che nessuno sa” si può evincere quanto questo articolo parli di un lato di me (il giardino lo associo sempre alla cura dell’inconscio) che nessuno, io compresa, conosce. Una sorta di Giardino Segreto dell’anima, la parte che è ancora da mettere in ordine ma che allo stesso tempo mi spaventa affrontare. Vorrei avere il coraggio di Mary per poterlo fare, e forse sto scrivendo proprio per trovarlo. 

 “Senti quella pelle ruvida
un gran freddo dentro l’anima
fa fatica anche una lacrima a scendere giù.

Troppe attese dietro l’angolo
gioie che non ti appartengono
questo tempo inconciliabile
gioca contro di te.

Ecco come si finisce poi
inchiodati a una finestra noi
spettatori malinconici
di felicità impossibili.

Tanti viaggi rimandati e già
valigie vuote da un’eternità
quel dolore che non sai cos’è
solo lui non ti abbandonerà mai.”

Sto solo all’introduzione di ciò che vorrei dire e già piango come una fontana. Sul web l’ostentazione delle proprie emozioni è quasi sempre finta, ma chi mi conosce sa quanto sia poco probabile vedermi piangere pubblicamente. Posso avere gli occhi lucidi, posso avere qualche lacrima che scende, ma il pianto incontrollato l’ho mostrato solo una volta, a Ilaria, la mia migliore amica.
Oggi, invece, ho mandato una foto sia al gruppo che ho con le altre, sia su Apollo Station, con i registi presenti. Non per mostrarmi sensibile, né per suscitare un chissà quale tipo di interesse, semplicemente per far vedere che sono fragile esattamente quanto tutti.
Per farlo vedere a loro? No, lo sanno bene – soprattutto le Muse – quanto io non sia forte, ma ho voluto abbassare il mio Ego arrogante che deve mostrarsi sempre all’altezza della situazione, sempre con la soluzione pronta, sempre positivo, e far vedere a me stessa in primis che ho una grande paura di esplorare una zona di me.     
Ho già parlato nell’articolo “La forza della vita” del mio periodo di depressione in cui preferivo rimanere spettatrice della vita degli altri per non affrontare la mia, in quanto la voglia di vivere era sul serio bassa, quindi non mi dilungherò più di tanto.

“È un rifugio quel malessere
troppa fretta in quel tuo crescere
non si fanno più miracoli
adesso non più.
Non dar retta a quelle bambole
non toccare quelle pillole
quella suora ha un bel carattere
ci sa fare con le anime.”

Non è l’articolo adatto per parlare dei tantissimi errori che ho fatto in adolescenza per la fretta di crescere: quelli li ho compresi, accettati e adesso li amo con tutta me stessa. Non voglio parlarne proprio perché ho perdonato del tutto l’adolescente che sono stata, e già l’ho scritto in: “Cambiamento”. Voglio citare gli articoli già passati perché credo che siano come una storia, i capitoli precedenti che portano a questo.

“Ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi:
l’energia, l’allegria per strapparti ancora sorrisi.
Dirti sì, sempre sì e riuscire a farti volare
dove vuoi, dove sai, senza più quel peso sul cuore.

Nasconderti le nuvole, quell’inverno che ti fa male
curarti le ferite e poi qualche dente in più per mangiare
e poi vederti ridere e poi vederti correre ancora
dimentica, c’è chi dimentica distrattamente un fiore, una domenica

E poi, silenzi.
E poi, silenzi.
Silenzi.”

Ed ecco le emozioni contrastanti. Non parlerò esplicitamente di alcune mie ferite emotive, mi manterrò sul vago. Penso comunque siano comuni per molti perché tutti abbiamo perso una persona a noi cara improvvisamente, o abbiamo dovuto affrontare la malattia (fisica o mentale) di qualcuno che abbiamo amato, o amiamo, tantissimo. Conosciamo, più o meno, la tremenda sensazione di essere inutili davanti a una determinata situazione.
A me tutto ciò spaventa terribilmente. Non mi piacciono i cambiamenti, vado in totale attacco di panico anche se penso che devo cambiare telefono o computer. So accettarli comunque in pochissimo tempo, ma li odio perché durante l’infanzia ho dovuto subire un cambiamento improvviso.      
Chi c’era sempre stato per me, chi mi accudiva, improvvisamente non poteva più farlo. E ho visto quella stessa persona passare dall’essere sempre in movimento, energica, in piedi prima dell’alba, all’essere immobile a letto per anni, dieci anni.     
E io non ho potuto fare niente se non osservare. Questo mi ha portata, crescendo, a perdermi determinati momenti della vita perché troppo spaventata dalla possibilità di perdere ciò che amo. Solo adesso, a trentatré anni, sento che è arrivato il momento di non precludermi nulla, di puntare al massimo che posso, ma in contemporanea a questa voglia c’è il terrore di perdere tutto e rimanere nuovamente inerme.

“Nei giardini che nessuno sa
si respira l’inutilità
c’è rispetto, grande pulizia
è quasi follia.

Non sai com’è bello stringerti
ritrovarsi qui a difenderti
e vestirti e pettinarti, sì
e sussurrarti: ‘Non arrenderti.’

Nei giardini che nessuno sa
quanta vita si trascina qua
solo acciacchi e piccole anemie
siamo niente senza fantasie.”

So perfettamente che il dolore provato è servito a farmi diventare quella che sono. E credetemi, sono veramente felice di riuscire a percepire il dolore degli altri, di ascoltare, accogliere le lacrime di chi ha il coraggio di esprimerle e lasciarle scorrere. Non rinnego questo, ci mancherebbe. Rinnego il non aver fatto. Silvia una volta ha detto: “I traumi non sono solo cose che ti sono successe, ma anche cose che non sono successe. Esperienze che avresti voluto fare o attenzioni che avresti dovuto avere e non hai avuto.” Ecco, non accetto ancora di non aver fatto.
Posso raccontarmi quanto voglio che ero troppo piccola, che non avevo la consapevolezza che ho adesso, ma nella realtà dei fatti chi piange è quella bambina che avrebbe voluto essere abbracciata, e non abbracciare solamente. Che crescendo, proprio per vendetta, ha smesso di dare amore perché che senso ha, se poi tutto può finire? Per carità, ora sono l’adulta che ama incondizionatamente, ma c’è un enorme periodo della mia vita in cui non ho dimostrato questo amore e mi ferisce ancora tanto. 

“Sorreggili, aiutali, ti prego non lasciarli cadere
esili, fragili, non negargli un po’ del tuo amore.
Stelle che ora tacciono, ma daranno un senso a quel cielo
gli uomini non brillano se non sono stelle anche loro.

Mani che ora tremano perché il vento soffia più forte
non lasciarli adesso no, che non li sorprenda la morte.
siamo noi gli inabili che pur avendo a volte non diamo
dimentica, c’è chi dimentica distrattamente un fiore, una domenica.

E poi, silenzi.
E poi, silenzi.
Silenzi.”


Penso che la paura di fare per vedersi portato via tutto sia molto comune. Lo vedo dai commenti scritti sui social carichi di invidia e astio nei confronti di chi riesce ad avverare i propri sogni. Non sono di certo l’unica, quindi. È perché so di essere in ottima compagnia, che ho deciso di pubblicare questo articolo: può essere d’aiuto a molte persone.
Ciò non toglie che quando stai avverando tutti i tuoi sogni e soffri di questa paura, che ha un nome: Disturbo d’Ansia Generalizzato (DAG), non riesci quasi a respirare dal panico.
Anche la cosa più semplice ti uccide. Anche il commento più positivo sulla tua persona ti manda nel panico. E sento di nuovo quella voglia di non scrivere più, di cancellare dal web ogni mia storia, ogni mio articolo, di non lasciare nessuna traccia.
Vorrei di nuovo sparire, rimanere ferma e in contemporanea mi assalgono i sensi di colpa del: “Avresti potuto fare di più prima”, “Sei stata in questo modo, davvero pensi di meritarti qualcosa di bello?”, “Continuerai ad allontanare tutto e tutti da te…
Perché, vedete, le parole di incoraggiamento cantate da Renato Zero per me sono come rimproveri per tutto ciò che non ho fatto e che so non posso recuperare.
O meglio: non so come recuperare.
Mi è stato detto che sostenere ora gli altri può essere d’aiuto, che occuparmi di chi sta male è una sorta di rivincita. La verità? È che mi fa sentire ancora più in colpa.

Attendo un perdono da una voce che non può più parlare.
O, semplicemente, finché non vedo questo nuovo dolore, lui non mi abbandonerà mai.

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