giovedì 10 novembre 2022

#AlicenellaCittà: Piove - Recensione

Quante volte ci siamo ritrovati a nutrire il “mostro dagli occhi verdi”? Quante volte la gelosia è divenuta rabbia o rancore? L’invidia sottrattiva che ci logora dentro l’anima, nel profondo, tanto da far divenire noi stessi quel mostro?

Paolo Strippoli dà forma a quella vocina nella nostra testa, firmando un nuovo film dell’orrore: “Piove”, un dramma familiare che si mescola al body horror. Presentato in anteprima per Alice nella Città, passato anche dal Lucca Comics & Games, arriva in sala il 10 novembre. Se il nome di Strippoli non vi è nuovo è perché in molti hanno visto il successo di Netflix “A Classic Horror Story”, progetto co-firmato con Roberto De Feo, di cui vi abbiamo già parlato in un altro articolo. Inutile sottolineare quanto stessimo aspettando questa pellicola, visto che era stata già presentata durante lo svolgimento dell’Heroes Film Festival; è, però, importante sottolineare che non ha affatto deluso le attese.

Piove ci introduce in una Roma vittima dell’effetto di una furia omicida. Una nube verde si innalza dai canali di scolo romani inebriando le vie aeree tanto da provocare delle allucinazioni, specchi di quel rancore che gli individui portano dentro di sé. Sotto una costante pioggia battente, il dramma di una famiglia viene fagocitato dalla furia innescata da questa nebbia. Thomas (Fabrizio Rongione) ha perso all’incirca da un anno sua moglie Cristina (Cristiana Dell’Anna), a causa di un incidente stradale; l’uomo si è trovato così a dover pensare ai due figli: Enrico (Francesco Gheghi) e Barbara (Aurora Menenti). L’incidente, oltre ad aver causato la dipartita della donna, costringe la piccola di casa a lunghe ore di fisioterapia per poter cercare di recuperare l’uso delle gambe. Il sinistro poteva essere evitato e, davanti a questa consapevolezza, padre e figlio hanno smesso di rivolgersi parola: si accusano a vicenda e nutrono reciproci rancori. Emozioni che emergeranno durante l’intero arco narrativo in un crescendo fatto di sangue e lacrime.

I colori cupi della città dati dalla costante pioggia, rendono metaforici gli eventi narrati. Strippoli, ancora una volta, si fa portavoce di un horror che rende omaggio ai classici stilemi, ma li fa propri connotandoli di significati ben più profondi. Roma diviene simbolo di una società incapace a comunicare, l’isolamento è per tanto la chiave di volta di quel costante malcontento che regna negli individui. Una popolazione fatta di dolore e di rabbia, emozioni che possono solo essere espiate grazie all’acqua che si abbatte su di loro. L’orrore, così, si tinge di dinamiche sociali a familiari che spingeranno i protagonisti a parlare tra di loro per poter espirare le reciproche colpe.

Visivamente è in grado di colpire i sensi dello spettatore, la musica contribuisce a creare un’atmosfera pregna di tristezza e malinconia. Un connubio in grado di innalzare, ancora una volta, il genere allo splendore che un tempo ci veniva globalmente riconosciuto. Non è necessario comprendere cosa si stia abbattendo su Roma, così come non è necessario che venga spiegato. Ci si lascia, in questo modo, trasportare dalla storia e delle emozioni dei suoi protagonisti. Il finale è preannunciato, ma non per questo meno potente.

Un plauso, dunque, al regista di questa pellicola, ai suoi interpreti e agli scrittori della storia.

Nessun commento:

Posta un commento