mercoledì 9 novembre 2022

#TheBeatles: While my guitar gently weeps

Come vi abbiamo promesso in precedenza, non è nostra intenzione parlare solo ed esclusivamente della McLennon, ecco perché oggi abbiamo scelto di analizzare il capolavoro di George Harrison: “While my guitar gently weeps”, contenuta nel “White Album” (1968).

Lo sappiamo, il White Album è uno dei migliori del gruppo, e questo brano è sicuramente il migliore dell’album.
La canzone, secondo Rolling Stones, è al 136esimo posto tra le 500 più grandi canzoni di tutti i tempi e al settimo tra le 100 più grandi canzoni chitarristiche di tutti i tempi. Nonostante questo, però, John, Paul e Ringo non furono abbastanza collaborativi nel brano di George, per questo quest’ultimo dovette affidarsi al suo amico Eric Clapton per la chitarra solista.

Nell’articolo “Watching the wheels”, chi sta scrivendo l’articolo (Frè) vi ha raccontato di come la canzone le faccia pensare a John Lennon come se fosse il suo migliore amico. Ecco, lo stesso accade con George in “While my guitar gently weeps”. 

I look at you all see the love there that’s sleeping
(Vi guardo tutti quanti, vedo l’amore che là sta dormendo)
while my guitar gently weeps.
(mentre la mia chitarra piange dolcemente.)
I look at the floor and I see it need sweeping
(Guardo il pavimento e noto che ha bisogno di essere pulito)
still my guitar gently weeps.
(la mia chitarra ancora piange.)

Possiamo dire che George non la tocca piano, insomma. Amiamo il suo essere diretto, preciso, schietto; chi lo chiama “il beatle silenzioso” forse non ha ben capito chi sta descrivendo.
George è anche riflessivo, ma perché ha lo sguardo che indaga nel profondo, siamo sicurissimi che se lo avessimo conosciuto avremmo potuto parlare profondamente pur rimanendo in silenzio. Insomma, sono quelle sensazioni da Pesci che solo un altro Pesci può capire.

Per George la chitarra rappresenta il mezzo con cui esprimere le proprie emozioni. Per noi può essere una penna, un computer; per i pittori un pennello, ancora per un parrucchiere la spazzola, per un cantante la voce… insomma, ogni artista ha un oggetto con cui riesce a esprimersi al meglio. Chi sta scrivendo lo ripete spesso: “Non sono brava a dire ciò che provo a voce, devo scriverlo.” perché è attraverso la scrittura che trova il coraggio e la voglia di esprimere tutta se stessa.

George è sempre stato il Beatle che meno si è messo in gioco, forse perché non credeva al cento per cento in se stesso, ma cerchiamo di capirlo: immaginatevi di essere un quattordicenne che entra in un gruppo e si deve confrontare con Paul McCartney e John Lennon. Insomma, vi sfido a dire: “Sai, so scrivere canzoni anch’io” a persone del genere. Non che fossero supponenti, ma è come se chi stesse scrivendo andasse da d’Annunzio a dire: “Sai, scrivo anch’io.” Insomma, su.
Eppure, nonostante gli sforzi di Paul e John per andare incontro a George, quando quest’ultimo ci si mette, i due non sembrano apprezzarlo come dovrebbero.

La profonda sensibilità di George la vediamo perché fa piangere la sua chitarra, lo strumento che suona, che è suo. È un pianto dolce, però, quasi confortante. Vede l’intera umanità vivere con l’amore dentro di sé ancora assopito, nota che il pavimento deve essere pulito, come se il mondo materiale avesse lo stesso bisogno. Lui però, non può fare nulla, se non osservare e piangere.

I don’t know why
(Non so perché)
nobody told you
(nessuno vi ha detto)
how to unfold your love.
(come rivelare il vostro amore.)
I don’t know how
(non so come)
someone controlled you
(qualcuno vi abbia controllato)
they bought and sold you.
(vi hanno comprati e venduti.)

Che George amasse particolarmente la spiritualità è un dato di fatto, così come si sa quanto spesso meditasse, tanto da mettere in crisi il suo matrimonio con Pattie Boyd.
Questi versi ci hanno colpiti fin dal nostro primo ascolto del brano, quando eravamo alle scuole medie. Ci siamo chiesti, infatti, già alle elementari come fosse possibile che gli altri vedessero la vita solo sul piano materiale.
Anche se può sembrare ci sia giudizio nelle nostre parole, in verità non è così: è davvero un chiedersi un perché, o un come? Nessuno ha mai detto a noi che ci fosse altro, lo abbiamo fin da subito dato per scontato.

Credendo nelle vite precedenti, ora abbiamo una nuova consapevolezza: ognuno viene su questo pianeta con un bagaglio di esperienze passate, di conseguenza le anime più “piccole” – dove per piccolo intendiamo semplicemente con meno esperienza su questo pianeta – hanno una strada più lunga da fare.
Se sono addormentati, controllati da un sistema che li vuole merce da vendere o comprare, è giusto che sia così, non c’è rabbia o cattiveria nelle nostre parole.

I look at the world and I notice it’s turning
(Guardo il mondo e mi accorgo che sta girando)
while my guitar gently weeps.
(mentre la mia chitarra dolcemente piange.)
With every mistake we must surely be learning
(con ogni errore che di certo dobbiamo apprendere)
still my guitar gently weeps.
(la mia chitarra ancora piange dolcemente.)

Tutto ciò che possiamo fare è aiutare chi vuole farsi aiutare, chi è pronto per un risveglio, per vivere la vita seguendo il proprio Amore, la propria Anima, o la Scintilla, per dirlo alla maniera disneyana.
Possiamo lanciare dei semi, proprio come ha fatto George in questo brano: il mondo gira e continuerà a girare qualsiasi decisione ognuno di noi prenda. Faremo sempre errori, è normale, essi sono – come amava ripetere – solo lezioni da apprendere. Non c’è nulla di sbagliato, semplicemente perché non esiste la divisione tra bene e male.

Siamo esseri umani, spesso ci abbandoniamo alle emozioni o all’impulsività, bisogna solo impegnarsi a prendere il comando (abbiamo perso il conto di quante volte lo abbiamo ripetuto, quindi vi lasciamo direttamente il link all’articolo di Inside Out) di noi stessi, connetterci con il proprio centro.

La mente, così, diventa proprio come la chitarra – o qualsiasi sia il nostro strumento per veicolare le emozioni – servendoci quando vogliamo, esprimendo ciò che decidiamo di esprimere. Lei continuerà a ridere, a piangere, ma saranno altri tipi di emozioni: più mature, più rassicuranti, in un certo senso più lontane dal nostro Ego che vuole metterci al centro del mondo.

I don’t know how
(Non so come)
You were diverted
(siete stati sviati)
you were perverted too.
(e siete stati anche corrotti.)
I don’t know how
(Non so come)
you were inverted
(siete stati capovolti)
no one alerted you.
(nessuno vi ha avvisati.)

È l’umanità intera a divenire il nostro fulcro, il motivo per cui facciamo ciò che facciamo. L’io diventa noi, pur mantenendo la propria unicità. Si muore a se stessi per diventare parte dell’Uno, si abbandona la superbia di credersi importanti per interpretare un ruolo con consapevolezza.
John in “Watching the wheels” lascia andare la giostra, qui George osserva, e capiamo che le domande le rivolge a tutti noi, in attesa non della nostra risposta, ma che ci poniamo la stessa identica domanda.
Non è importante, infatti, cosa ci rispondiamo, bensì cosa ci domandiamo.
Ci è sempre stato detto di avere risposte, certezze, sicurezze, tutto ciò, però, è inutile, se non sappiamo per primi chi siamo. Perché siamo qui? Cosa dobbiamo fare? Perché ce la prendiamo così tanto, se tra un secolo saremo morti e sepolti? Se tra due secoli anche i nostri figli e probabilmente i nostri nipoti saranno morti e sepolti? Figuriamoci tra tre secoli, o quattro… Quanti di noi sanno la storia del proprio avo vissuto nel 1600? A meno che non siate membri di una famiglia reale, dubito la conosciate. Allora, qualsiasi cosa stiate facendo, perché la state facendo?

I look at you all, see the love there that’s sleeping
(Vi guardo tutti quanti, vedo l’amore che sta là dormendo)
while my guitar gently weeps.
(mentre la mia chitarra piange dolcemente.)
I look at you all
(Vi guardo tutti quanti)
still my guitar gently weep.
(la mia chitarra piange ancora dolcemente.)


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